L. PANDOLfi

ANALISI MATEMATICA 1

L. Pandolfi: Dipartimento di Scienze Matematiche “Giuseppe Luigi Lagrange”, Politecnico di Torino

 

La citazione seguente descrive perfettamente la differenza tra l’ingegnere e l’esteta:

Un tale numero di acquedotti ed una tal quantità di opere necessarie confronterai con le inutili piramidi e le costruzioni improduttive dei Greci, pur tanto lodate.

Sesto Giulio Frontino (I sec. D.C.) Gli acquedotti della città di Roma.
Però l’ingegniere serio non trascura l’estetica: sono opera di ingegneri l’acquedotto di Segovia, il Pont du Gard e il Lingotto.

 

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Copyright ©2013, Luciano Pandolfi.

Premessa

  Il contenuto di questi appunti corrisponde al programma di Analisi Matematica 1 del Politecnico di Torino.

Un argomento trattati in molti corsi di Analisi Matematica 1 e che qui non viene presentato è quello delle successioni e serie di funzioni, che verrà visto nei corsi successivi. Inoltre, per risparmiare tempo, le successioni numeriche, che meriterebbero un intero capitolo, vengono presentate esclusivamente come casi particolari di funzioni da in sé.

Ogni capitolo è seguito da esercizi che servono a testare la comprensione della teoria. Alcuni sono molto semplici e altri, indicati col segno () , più complessi. Per imparare a risolvere problemi numerici è necessario usare un libro di esercizi.

Alfabeto greco
I testi tecnici di matematica, fisica, ingegneria ecc. usano correntemente le lettere dell’alfabeto greco. chi non le conosce, deve impararle subito.

alfa beta gamma delta epsilon zeta eta teta iota kappa lambda α β γ δ 𝜖 ζ η 𝜃 ι κ λ A B Γ Δ E Z E Θ I K Λ mi ni csi omicron pi ro sigma tau ipsilon fi chi psi omega μ ν ξ o π ρ σ τ υ ϕ χ ψ ω M N Ξ O Π R Σ T ϒ Φ X Ψ Ω

Indice

1 Richiami e preliminari
 1.1 Notazioni insiemistiche e logiche
 1.2 Le implicazioni e i quantificatori e
 1.3 Le funzioni
  1.3.1 Funzioni composte e funzioni inverse
 1.4 Insiemi di numeri
 1.5 Ordine tra i numeri reali
  1.5.1 Operazioni algebriche e punti della retta
  1.5.2 L’ordine ed il valore assoluto
 1.6 Insiemi limitati di numeri reali
 1.7 Estremi superiori ed inferiori
  1.7.1 Conseguenze della proprietà di Dedekind
 1.8 Funzioni dall’insieme da in
  1.8.1 Le successioni
  1.8.2 Funzioni ed operazione di somma e prodotto
  1.8.3 Funzioni e relazione di ordine
  1.8.4 I punti di estremo
  1.8.5 La convessità
  1.8.6 Grafici di funzioni elementari
  1.8.7 Grafici di funzioni inverse l’una dell’altra
  1.8.8 Le inverse delle funzioni trigonometriche
 1.9 Funzioni ed “espressioni analitiche”
 1.10 Appendice: progressioni
 1.11 Alcuni esercizi
2 I limiti
  2.0.1 I limiti infiniti
  2.0.2 I limiti finiti
 2.1 I limiti per x tendente ad x0
  2.1.1 I limiti infiniti
  2.1.2 I limiti finiti
  2.1.3 Regole di calcolo e forme indeterminate
  2.1.4 Ancora sulle definizioni di limite
  2.1.5 Limiti di restrizioni di funzioni e limiti direzionali
  2.1.6 Gli infinitesimi: ricapitolazione
  2.1.7 Gli asintoti
  2.1.8 Alcuni errori concettuali importanti
  2.1.9 Il numero e
  2.1.10 Limiti da ricordare
 2.2 La continuità
  2.2.1 Classificazione delle discontinuità
  2.2.2 Continuità di alcune funzioni importanti
 2.3 Limiti di funzioni composte
  2.3.1 Le sottosuccessioni e i loro limiti
  2.3.2 Risultati “in positivo”: calcolo di limiti per sostituzione
  2.3.3 Risultati “in negativo”
 2.4 Le funzioni iperboliche
 2.5 Confronto di funzioni
  2.5.1 Infiniti e infinitesimi di confronto fondamentali e formule da ricordare
 2.6 Appendice: ancora sulla formula del binomio di Newton
 2.7 Alcuni esercizi
3 Velocità, tangenti e derivate
 3.1 La derivata
  3.1.1 La funzione derivata e le derivate successive
 3.2 La prima formula degli incrementi finiti
 3.3 Regole di calcolo per le derivate prime
 3.4 Notazioni usate nei corsi di fisica
 3.5 Derivate ed ordine dei numeri reali
  3.5.1 Il teorema di Fermat ed i punti di estremo
 3.6 Osservazione finale ed importante
 3.7 Alcuni esercizi
4 Funzioni: proprietà globali
 4.1 Teorema delle funzioni monotone
 4.2 Il Teorema di Bolzano-Weierstrass
 4.3 Il teorema di Weierstrass
  4.3.1 La dimostrazione del Teorema di Weierstrass
 4.4 Teorema dei valori intermedi
  4.4.1 La dimostrazione del teorema dei valori intermedi
  4.4.2 Una conseguenza sulle funzioni iniettive
 4.5 Funzioni derivabili su intervalli
  4.5.1 Conseguenze del Teorema di Lagrange
 4.6 Le primitive
  4.6.1 Primitive generalizzate
 4.7 Alcuni esercizi
5 Teoremi di l’Hospital e di Taylor
 5.1 Teorema di l’Hospital
  5.1.1 Calcolo di derivate direzionali
 5.2 La formula di Taylor
  5.2.1 La formula di Taylor con resto in forma di Peano
  5.2.2 La formula di Taylor con resto in forma di Lagrange
  5.2.3 Polinomio di McLaurin e parità di una funzione
 5.3 Estremi e convessità
  5.3.1 Derivate successive ed estremi
  5.3.2 Convessità e punti di flesso
 5.4 Alcuni esercizi
6 Ricapitolazioni
 6.1 le successioni
 6.2 Studi di funzione
7 Numeri complessi
 7.1 La definizione dei numeri complessi
 7.2 Operazioni tra i numeri complessi
  7.2.1 Somma di numeri complessi
  7.2.2 Il prodotto
 7.3 Il coniugato
 7.4 Radici di numeri complessi
 7.5 Esponenziale ad esponente complesso
 7.6 Continuità e derivate
 7.7 Il teorema fondamentale dell’algebra
  7.7.1 Polinomi a coefficienti reali
  7.7.2 Il metodo di completamento dei quadrati
 7.8 Alcuni esercizi
8 Equazioni differenziali
 8.1 Introduzione
 8.2 Soluzione delle quazioni differenziali a variabili separabili
  8.2.1 Problema di Cauchy per le equazioni differenziali a variabili separate
  8.2.2 Domini massimali di soluzione
 8.3 Le equazioni differenziali lineari
  8.3.1 Equazioni differenziali lineari del primo ordine
  8.3.2 Problema di Cauchy per le equazioni differenziali lineari del primo ordine
  8.3.3 L’equazione differenziale lineare del secondo ordine
  8.3.4 Problema di Cauchy per le equazioni differenziali lineari del secondo ordine
  8.3.5 Il comportamento in futuro e la stabilità
 8.4 Manipolazioni usate nei corsi applicativi
 8.5 Alcuni esercizi
9 Integrali definiti ed impropri
 9.1 La definizione dell’integrale
  9.1.1 Proprietà dell’integrale
  9.1.2 Classi di funzioni integrabili
  9.1.3 La media integrale
 9.2 Integrale orientato
 9.3 La funzione integrale
  9.3.1 Integrazione per sostituzione
 9.4 Integrale improprio
  9.4.1 L’integrale su una semiretta
  9.4.2 L’integrale in presenza di un asintoto verticale
  9.4.3 Casi più generali
 9.5 Criteri di convergenza per integrali impropri
  9.5.1 Criteri di convergenza: funzioni positive su semirette
  9.5.2 Criteri di convergenza: funzioni positive su intervalli
  9.5.3 Il caso delle funzioni che cambiano segno
 9.6 Alcuni esercizi
A Glossario

Capitolo 1
Richiami e preliminari

Frase letta in un Museo Archeologico:

Sepoltura di individuo adulto di sesso femminile.

Un ingegnere, o un matematico, esprimerebbe lo stesso concetto, in modo ugualmente preciso, scrivendo “tomba di donna”. Infatti, le scienze e l’ingegneria costruiscono linguaggi precisi e sintetici. Esempi importanti sono il linguaggio della matematica e il disegno tecnico.

In questo capitolo si richiamano brevemente alcuni elementi del linguaggio matematico ed alcune nozioni note dai corsi precedenti. Inoltre, si introducono alcune proprietà nuove almeno per alcuni studenti. In particolare, in questo capitolo introdurremo la proprietà di Dedekind che è la proprietà che differenzia in modo essenziale i numeri reali dai numeri razionali.

1.1 Notazioni insiemistiche e logiche

Di regola indicheremo un insieme con una lettera maiuscola, per esempio A, B. Un insieme si identifica specificandone gli elementi, o elencandoli esplicitamente oppure mediante la proprietà che li caratterizza. Per esempio scriveremo

A = {x|x > 0}

per indicare l’insieme i cui elementi sono i numeri positivi; oppure A = {1, 2, 3} per indicare l’insieme i cui elementi sono i numeri 1, 2 e 3.

In questa notazione si noti:

Osservazione 1 E’ importante sottolineare che quando un insieme si identifica specificando la proprietà dei suoi elementi, la proprietà non deve essere ambigua. Una definizione del tipo “l’insieme delle persone bionde” non è accettabile come definizione di insieme, perché non tutti giudicano nel medesimo modo la “biondezza” di un individuo. E’ invece accettabile definire “l’insieme delle persone che oggi sono cittadini italiani”.  

Per indicare che un elemento a appartiene ad A si scrive a A oppure A a. Per dire che a non appartiene ad A si scrive aA oppure Aa.

Se ogni elemento di B appartiene ad A si dice che B è contenuto in A, o che B è un sottoinsieme di A, e si scrive B A oppure A B.

E’ importante notare che a ed {a} sono oggetti diversi: il primo indica un elemento di un insieme e il secondo indica l’insieme il cui unico elemento è a. Quindi sono corrette le scritture a A, a {a} ed {a} A mentre sono sbagliate le scritture {a} A ed a A.

Col simbolo si indica l’insieme vuoto, ossia l’insieme privo di elementi.

Le operazioni tra insiemi sono:

1.2 Le implicazioni e i quantificatori e

Per dire che una proprietà ne implica un’altra si usa il simbolo . Per esempio

a A a > 0 (1.1)

si legge “se a è un elemento di A allora a è un numero positivo”. Per esempio, ciò vale se gli elementi di A sono numeri pari positivi (ovviamente, non solo in questo caso); non vale se A contiene anche il numero 1.

La doppia freccia si usa per indicare che due proprietà sono equivalenti. Per esempio

a A a > 0

si legge “a appartiene ad A se e solo se è un numero positivo” e significa che gli elementi di A sono tutti e soli i numeri positivi.

Il simbolo si legge “esiste”. Per esempio,

a A|a > 0

si legge “esiste a in A che è maggiore di zero” e vuol dire che l’insieme A contiene almeno un numero positivo. Niente si dice degli altri elementi di A, che potrebbero anche non essere numeri.

Il simbolo si legge “qualsiasi” o “per ogni”. Per esempio,

a A a > 0

si legge “per ogni elemento a di A segue che a è un numero positivo” o, più semplicemente, “ogni elemento di A è un numero positivo” ed è una notazione più precisa di (1.1).

Osservazione 2 In questo paragrafo abbiamo usato il termine “proprietà” come termine facilmente comprensibile da tutti. Il termine più corretto da usare è il termine proposizione intendendo con ciò un’affermazione della quale si può decidere se è vera o se è falsa. Dunque, le proposizioni1 vengono sempre a coppie: se 𝒫 indica una proposizione, con ¬𝒫 si intende la negazione di 𝒫: quella proposizione che è vera se e solo se 𝒫 è falsa. E’ importante esercitarsi a costruire la negazione di semplici proposizioni e rendersi conto di come la negazione opera sui quantificatori logici.

Nel linguaggio comune ci sono affermazioni che si possono controllare e si può decidere se sono vere oppure false ed affermazioni ambigue, che persone diverse possono ritenere vere oppure false. Per esempio “tutti gli studenti di quest’aula sono citadini italiani” può essere vera oppure falsa, ma non dipende dal giudizio di chi la verifica: per verificarla basta chiedere un documento a ciascuno. Invece l’affermazione “Paola è bionda” potrà essere giudicata vera da un meridionale e falsa da uno svedese. Una certa affermazione si chiama “proposizione” quando è possibile assegnare un metodo per verificare se è vera o meno, in modo non ambiguo. Si confronti quanto ora detto con l’Osservazione 1  

1.3 Le funzioni

Col termine funzione si intende una trasformazione tra due insiemi A e B che ad ogni punto di A associa al più un punto di B.2

Dunque, è possibile che un certo elemento di A non abbia corrispondente in B.

Le funzioni si indicano con una lettera minuscola: f, g, ϕ ….

Diciamo che A è l’insieme di partenza della funzione mentre B è l’insieme di arrivo.

Ripetiamo: è possibile che alcuni punti di A non abbiano corrispondente, o come si dice più comunemente, immagine, in B. L’insieme dei punti di A che ammettono corrispondente si chiama il dominio della funzione e si indica col simbolo  domf (se f indica la funzione).

Per dire che la funzione f trasforma a in b si scrive

afbo, più comunemente,b = f(a).

L’insieme

{f(a),a  domf} B

si chiama l’immagine o il codominio della funzione f. L’immagine di f si indica col simbolo  imf.

Fare attenzione al termine codominio: in certi testi questo termine indica l’insieme di arrivo B.

Una funzione la cui immagine è l’insieme di arrivo B si dice suriettiva

E’ importante notare che la definizione di funzione è dissimmetrica: un elemento di A deve avere al più un corrispondente, ma un elemento di B può provenire anche da più elementi di A.

Si chiama controimmagine di K B l’insieme

f1(K) = {a A|f(a) K}

Ovviamente, f1(B) =  domf e f1(K) = se K  imf = .

Niente vieta che l’insieme K sia costituito da un solo punto b. Come si è detto, la controimmagine di {b} è un sottoinsieme di A che può contenere più di un elemento. Esso andrebbe indicato col simbolo f1({b}), ma usa scrivere più semplicemente f1(b).

Fare attenzione al simboli f1. Questo simbolo ha numerosi significati. Uno si è appena visto: f1(K) indica un certo insieme. Più avanti vedremo che lo stesso simbolo indica una particolare funzione associata alla f, quando questa ha una proprietà particolare. Se f opera tra numeri, f1(a) potrebbe anche indicare 1f(a). Generalmente il significato va capito dal contesto.

Infine, si chiama grafico di f l’insieme

𝒢(f) = {(a,f(a))|a domf} A × B.

Osservazione 3 Notiamo una proprietà del grafico: se due coppie (a,b) e (a,c), con i medesimi primi elementi, appartengono al grafico, allora è anche c = b, perché la funzione è univoca. Inoltre, è chiaro che un s.insieme 𝒢 di A × B con questa proprietà è grafico di funzione: la funzione il cui dominio è costituito dai primi elementi delle coppie di 𝒢 e se (a,b) 𝒢 allora ad a corrisponde b. Dunque, una funzione potrebbe essere assegnata specificandone il grafico.  

Esempio 4 Sia A = {a,b,c,d,e,f,g}, B = {x,y,z} e consideriamo la funzione

cfz bfx dfx efx.

E’:

 domf = {b,c,d,e} A, imf = {x,z} B f1(x) = {b,d,e}f1(z) = {c} f1({x,z}) = f1(B) =  dom f A 𝒢(f) = {(c,z), (b,x), (d,x), (e,x)}.

Siano ora f e g due funzioni da A in B. Sia H A. Diciamo che f è restrizione di g ad H se

 domf = H  domge inoltre: se x  domf allora f(x) = g(x).

Ossia, f opera su ciascun punto di H esattamente come fa g.

La restrizione di g ad H si indica col simbolo

g|H.

Sia ora K  domf. Diciamo che g è estensione di f a K

 se  domg = K e inoltre: se x  dom fallorag(x) = f(x).

Ossia, g opera come f sui punti di  domf, ed opera in un qualsiasi altro modo nei punti di K nei quali f non è definita.

Notare che la restrizione di una funzione ad un insieme è sempre unica, mentre l’estensione non è unica, salvo nel caso in cui l’insieme B consista di un solo elemento, B = {b}, perché in tal caso le funzioni a valori in B devono essere costanti.

1.3.1 Funzioni composte e funzioni inverse

Siano ora f e g due funzioni, con f da A in B e g da B in C:

AfB,BgC.

Se accade che

 imf  domg,

è possibile definire la funzione composta di g con f, che si indica con g f, in questo modo

(g f)(a) = g(f(a)),

definita sugli elementi a A tali che abbia senso calcolare g(f(a)); ossia:

 dom(g f) = {a|f(a)  domg}.

Il simbolo che useremo più comunemente per la funzione composta è proprio g(f(a)), lasciando sottinteso il dominio.

Si è notato che nella definizione di funzione A e B non giuocano ruoli “simmetrici”, nel senso che se (a,b) ed (a,b) sono elementi del grafico e a = a allora necessariamente b = b. Invece, è ben possibile che sia b = b con aa. Si chiamano iniettive le funzioni con questa proprietà: un elemento dell’immagine proviene da un solo elemento del dominio; ossia tali che se (a,b) ed (a,b) sono nel grafico, allora a = a.

Le funzioni (univoche ed) iniettive vengono sempre a coppie: se (a,b) è nel grafico di una funzione iniettiva, una prima funzione trasforma a in b; una seconda funzione (anch’essa univoca ed iniettiva) trasforma b in a. Queste due funzioni si dicono inverse l’una dell’altra.

In pratica, una delle due funzioni si intende data e l’altra deve determinarsi. In questo caso si assegna il simbolo f alla funzione data e la sua inversa si indica col simboli f1.

Si noti che in questo caso f1 indica una funzione; e quindi f1(b) si userà per indicare la funzione inversa di f, calcolata nel punto b.

Ricapitolando, f opera da A in B mentre f1 opera da B in A con

 domf1 =  imf imf1 =  domf

e inoltre,

a  domff1(f(a)) = a; b  domf1f f1(b) = b.

Una funzione f dall’insieme di partenza A a valori in B il cui dominio è A stesso e che è sia iniettiva che suriettiva si dice biunivoca

Controimmagine, funzione inversa ed equazioni

Sia f una funzione da H in K e si consideri l’equazione

f(x) = y. (1.2)

Ossia, dato y K si vogliono trovare le x H che verificano l’uguaglianza. In questo contesto, y si chiama il “dato” del problema (notare, anche f è data) ed x si chiama l’“incognita”. Le x che verificano l’equazione si chiamano le “soluzioni” dell’equazione.

E’ possibile che non esistano soluzioni. Ciò avviene se e solo se y imf. Inoltre, le soluzioni, se esistono, appartengono a  domf.

Può essere che ci sia più di una soluzione. L’insieme di tutte le soluzioni si è indicato col simbolo f1(y).

Per certe funzioni f accade che l’equazione (1.2) ammette al più una soluzione per ogni dato y. Sono queste le funzioni iniettive, e per esse è possibile definire la funzione inversa

x = f1(y).

La funzione inversa fa corrispondere al dato y l’unica soluzione dell’equazione f(x) = y. Questa è l’interpretazione della funzione inversa dal punto di vista di chi deve risolvere equazioni.

1.4 Insiemi di numeri

La maggior parte del corso userà insiemi di numeri reali.3 L’insieme dei numeri reali si indica col simbolo e suoi sottoinsiemi notevoli sono:

L’uso di questi insiemi numerici è noto dai corsi precedenti. Notiamo però esplicitamente che come insieme , dei naturali, si intende l’insieme dei numeri che si usano per contare: 1, 2,…A seconda dell’opportunità introdurremo anche 0 in quest’insieme, oppure talvolta considereremo come “primo elemento” dei naturali un numero maggiore di uno. Molto spesso se 0 si considera o meno come elemento di viene implicitamente dedotto dalle notazioni usate. Per esempio, se definiamo

A = {1n|n }

implicitamente escluderemo 0 dall’insieme , perché la divisione per 0 non può farsi.

Si sa che i numeri reali si possono porre in corrispondenza biunivoca con i punti di una retta orientata ossia, come anche si dice, si rappresentano mediante i punti di una retta orientata. In questa rappresentazione, il numero più grande tra due corrisponde al un punto più a destra.4

Avendo identificato i numeri reali mediante punti di una retta, un numero reale verrà anche chiamato “punto” (di una retta precedentemente specificata, o sottintesa, spesso un punto dell’asse delle ascisse o delle ordinate).

E’ utile vedere il significato geometrico delle operazioni algebriche.

1.5 Ordine tra i numeri reali

Si sa che i numeri reali sono un insieme ordinato; ossia, dati due numeri reali è sempre possibile stabilire che uno è maggiore o uguale all’altro:

r s, equivalentementes r.

La proprietà di ordine verifica:

Scriveremeo r > s quando si intende di escludere che possa aversi l’uguaglianza r = s. chiameremo inoltre positivo oppure negativo un numero r per cui r > 0 oppure r < 0.

L’ordine tra i numeri reali permette di definire la funzione segno Questa funzione si indica col simbolo  sgn(x) ed è definita come segue5:

 sgn(x) = + 1 sex > 0 0  se x = 0 1 sex < 0.

Si dice che due numeri a e b “hanno lo stesso segno”, o che “hanno segno concorde”, quando vale  sgn(a) =  sgn(b).

Si può anche definire il concetto di intervallo

Osservazione 5 Si noti che nella notazione degli intervalli il simbolo + oppure indica solamente che l’intervallo che si sta considerando è illimitato superiormente oppure inferiormente. Il simbolo “”, che si legge “infinito”, ha vari significati e comunque non indica mai un numero.   

PROPRIETÀ CRUCIALE DEGLI INTERVALLI
La proprietà cruciale che distingue gli intervalli da altri insiemi di numeri è la seguente: se x ed y sono due elementi di un intervallo I e se z verifica x < z < y allora anche z è un elemento di I. In simboli: I è un intervallo se e solo se
x I,y I,z|x < z < y z I.

Sia I un intervallo aperto e sia x0 I. Per dire brevemente che I è aperto e che x0 I, si dice che I è un intorno di x0.

Se accade che I ha forma (x0 a,x0 + a) allora l’intervallo aperto I si chiama intorno simmetrico di x0.

Per esempio, l’intervallo (2, 6) è intorno di 5 ed è è intorno simmetrico di 4.

Un intervallo aperto (a, +) si chiama anche intorno di + Un intervallo aperto di forma (,b) si chiama anche intorno di

Infine, osserviamo le proprietà che legano l’ordine con le operazioni:

Si deduce da qui:

1.5.1 Operazioni algebriche e punti della retta

Rappresentiamo i numeri reali mediante punti dell’asse delle ascisse (quindi, orizzontale) e indichiamo con Pr il punto che rappresenta il numero reale r (ricordiamo che il numero 0 corrisponde ad O, origine delle coordinate).

In questa rappresentazione, il numero più grande tra due corrisponde al un punto più a destra. In particolare, Pr è a destra di O se r > 0; è a sinistra se r < 0; Pr+h è ottenuto spostando Pr verso destra se h > 0, verso sinistra se h < 0.

Il punto Pr è il simmetrico rispetto ad O del punto Pr.

1.5.2 L’ordine ed il valore assoluto

Per definizione, si chiama valore assoluto di r il numero |r| cosìdefinito

|r| = r  ser 0 r  se r < 0. (1.4)

Va osservato che:

Le relazioni tra il valore assoluto e le operazioni sono le seguenti

|r| 0 |r| = 0r = 0 |r s| = |r||s|in particolare| r| = |r| |r + s||r| + |s|(disuguaglianza triangolare).

Usando la disuguaglianza triangolare, si può provare che vale anche:

||r||s|| |r s|.

Osservazione importante Usando il segno di valore assoluto, si possono scrivere in modo breve delle coppie di disequazioni: la scrittura

|a| < b
equivale a dire che b > 0 e inoltre che
b < a < b.
Invece, la scrittura
|a| > b > 0
equivale a scrivere che
a > boppurea < b.
Si esamini il significato delle espressioni |a| b e |a| b.

Valore assoluto e distanza

Sia Pa il numero che rappresenta a sull’asse delle ascisse. Il numero |a| rappresenta la distanza di Pa dall’origine O. Se b è un secondo numero e Pb il punto dell’asse delle ascisse che gli corrisponde,

|a b| = |b a|

rappresenta la distanza dei due punti Pa e Pb.

Notiamo ora un modo “complicato” per dire che un numero a è nullo: basta dire che |a| = 0, ossia basta richiedere che Pa si sovrapponga all’origine O. Ciò può anche esprimersi richiedendo che |a| sia più piccolo di ogni numero positivo; ossia

Lemma 6 Vale a = 0 se e solo se per ogni 𝜖 > 0 si ha

0 |a| 𝜖.

In simboli:

a = 0 𝜖 > 0 0 |a| 𝜖.

1.6 Insiemi limitati di numeri reali

Sia A un sottoinsieme di . L’insieme A si dice limitato superiormente se esiste un numero M tale che

a A a M.

Ossia, A è limitato superiormente se esiste un numero M maggiore o uguali a tutti gli elementi di A. Il numero M si chiama un maggiorante di A.

Ovviamente, se un maggiorante esiste ne esistono anche altri: se M è un maggiorante, M + 1, M + 2,…lo sono.

Può accadere che un maggiorante di A appartenga all’insieme A. Per esempio, se

A = {1, 2}

allora sia 2 che 2, 5 che 3 ecc. sono maggioranti di A. Il numero 2 è l’unico maggiorante che appartiene ad A.

Invece, l’insieme

A = {x|0 < x < 1}

ammette maggioranti. Per esempio 1, 1 + 12 ecc., ma nessuno gli appartiene.

Un insieme contiene al più uno dei suoi maggioranti.

Se esiste, il maggiorante di A che appartiene ad A si chiama il massimo di A.

Esistono insiemi che non sono limitati superirmente, ossia che non ammettono maggioranti.

Un insieme A non ammette maggioranti quando per ogni M esiste a A tale che a > M. Un tale insieme si dice illimitato superiormente In simboli, l’insieme A è superiormente illimitato quando

M a A|a > M.
L’elemento a è un opportuno elemento di A che dipende da M. per sottolineare ciò spesso lo indichiamo col simbolo aM.

Si chiama minorante di A un numero reale m tale che per ogni a A si abbia

m a.

Un insieme che ammette minoranti si chiama limitato inferiormente Se invece minoranti non esistono, l’insieme si chiama illimitato inferiormente

Un insieme può contenere al più uno dei suoi minoranti, il quale, se esiste, si chiama il minimo dell’insieme.

Un insieme che è limitato sia superiormente che inferiormente si dice limitato

La proprietà seguente è ovvia, ma va notata esplicitamente per l’uso che ne faremo in seguito:

Lemma 7 Siano A e B due sottoinsiemi di . Se ambedue sono superiormente limitati (oppure inferiormente limitati, oppure limitati) anche la loro unione è superiormente limitata (oppure inferiormente limitata, oppure limitata).

Dim. Per ipotesi, esistono due numeri M1 ed M2 tali che:

a Aa M1; b Bb M2.

Sia M = max{M1,M2}; ossia M è il maggiore tra i due numeri M1 ed M2. Dunque si ha contemporaneamnete M1 M ed M2 M.

Per definizione un elemento c A B appartiene ad A oppure a B (o ad ambedue). Se c A allora c M1 M; se c B allora c M2 M . In ogni caso vale c M e quindi A B è superiormente limitato.  

Illimitatezza dell’insieme dei numeri naturali

L’insieme dei numeri naturali è limitato inferiormente ma non superiormente. Il fatto che sia superiormente illimitato si esprime come segue:

Per ogni numero reale r esiste un numero naturale n = nr tale che

nr > r.
In simboli:
r nr |nr > r.
Questa proprietà si chiama proprietà di Archimede

Naturalmente, la proprietà di Archimede può riformularsi dicendo che per ogni 𝜖 > 0 esiste un numero n tale che

1 n < 𝜖.

Combinando quest’osservazione col Lemma 6 possiamo enunciare:

Lemma 8 Vale a = 0 se e solo se per ogni n si ha

0 |a| 1 n.

1.7 Estremi superiori ed inferiori

Consideriamo un insieme A di numeri reali, che è superiormente limitato. Come si è detto, al più uno dei maggioranti di A può appartenere ad A e in tal caso tale maggiorante si chiama il massimo di A. Se A è superiormente limitato, è certamente non vuoto l’insieme dei maggioranti di A. La proprietà cruciale che distingue da è la seguente: Proprietà di Dedekind o completezza di : l’insieme dei maggioranti dell’insieme superiormente limitato A ammette minimo in .  

Ciò giustifica la definizione seguente:

Definizione 9 Il minimo dei maggioranti di A si chiama estremo superiore di A e si indica col simbolo

sup A.  

Dunque, si ha

L = sup A

quando L è il più piccolo dei maggioranti di A e ciò può esprimersi richiedendo le due proprietà seguenti:

In modo analogo si definisce estremo inferiore di A il massimo dei minoranti di A. L’esistenza dell’estremo inferiore è equivalente a quella dell’estremo superiore ossia alla proprietà di Dedekind. Introduciamo ora una notazione: se l’insieme A non è limitato superiormente, esso non ammette maggioranti e quindi non ammette estremo superiore. Introduciamo allora la notazione

sup A = +,

che si legge “estremo superiore di A uguale a più infinito” come notazione breve per dire che A è illimitato superiormente. Analogamente, per dire che A è illimitato inferiormente scriveremo

inf A = .

Osservazione 10 Sottolineiamo che sup A ed inf A in generale sono numeri reali anche se A ; ossia, la proprietà di Dedekind non vale in . Notiamo anche che la definizione di estremo, data per insiemi generici, è consistente con quella già introdotta nel caso particolare degli intervalli:

a = inf(a,b), b = sup(a,b), a = inf[a,b] = min[a,b],b = sup[a,b] = max[a,b].  

1.7.1 Conseguenze della proprietà di Dedekind

La proprietà di Dedekind è particolarmente importante perché permette di definire certi numeri che non esistono se non si lavora in . Per esempio, se a > 0 :

b = an = a1n

indica un numero b 0 tale che bn = a. Ma, chi garantisce l’esistenza di b? Per esempio, se si decide di lavorare solamente con numeri razionali, b2 = 2 è un’equazione priva di soluzioni. E infatti, in la proprietà di Dedekind non vale. Invece, in il numero b esiste e si definisce come

b = sup{x|xn a}.

Senza entrare in dettagli ulteriori, diciamo che è grazie alla proprietà di Dedekind che in si possono definire i numeri ar (per qualsiasi esponente reale r, se a > 0) e (per a positivo e diverso da 1 ed r > 0) si definisce il numero log ar. Per definizione,

γ = log ar

è il numero che risolve l’equazione

aγ = r.

Ripetiamo, è grazie alla proprietà di Dedekind che questi numeri si possono definire.

Usando la definizione di logaritmo, si provi che (per r > 0 ed a > 0, a1) valgono le due uguaglianze seguenti:

log ar = log 1ar, log ar = 1 log ra.

1.8 Funzioni dall’insieme da in

Le funzioni che si studiano nel corso di Analisi Matematica 1 operano dall’insieme dei numeri reali nell’insieme dei numeri reali, ossia sono funzioni da in sé. Dato che ha sottoinsiemi notevoli ed è dotato di operazioni e relazione di ordine, si introducono delle particolari definizioni atte ad identificare proprietà notevoli delle funzioni. Il grafico di una funzione reale di variabile reale si rappresenta usualmente rispetto ad un sistema di assi cartesiani ortogonali, con l’insieme di partenza sull’asse delle ascisse.

Osservazione sui domini
Il dominio di una funzione da in sé può essere un insieme qualsiasi. Spesso il dominio è un intervallo o l’unione di più intervalli (si pensi alla funzione tan x). Esistono funzioni importanti che non hanno tale proprietà. Tra queste, le “successioni”, che introdurremo al paragrafo 1.8.1.

1.8.1 Le successioni

Un primo caso importante di funzione è quello in cui la funzione ha per dominio i numeri naturali. Una funzione il cui dominio è si chiama successione Dunque, una successione dovrebbe indicarsi col simbolo f(n). Si usa invece scrivere (fn) oppure {fn} per indicare una successione e la variabile n in questo contesto si chiama indice

La notazione più usata per indicare le successioni è {fn} ma questa notazione è pericolosa perché la parentesi graffa indica anche un insieme; e infatti il simbolo {fn} indica sia la successione, ossia una funzione, che la sua immagine, ossia un insieme. Il significato del simbolo va capito dal contesto.

Sui numeri naturali ripetiamo la stessa osservazione fatta al paragrafo 1.4. Talvolta farà comodo partire dal primo elemento 0, talvolta dal primo elemento 1, talvolta magari scegliere di lavorare con i soli indici maggiori di un certo n0.

1.8.2 Funzioni ed operazione di somma e prodotto

I numeri reali si sommano e la somma con un numero h fissato è una funzione: la funzione xx + h. Sia ora f(x) una funzione che per semplicità pensiamo definita su . Si può quindi calcolare la funzione composta xf(x + h). Dal punto di vista del grafico, il grafico di f(x + h) si ottiene traslando quello di f(x) verso destra se h < 0; verso sinistra se h > 0. Può accadere che per un certo valore di T0 i grafici di f(x) e di f(x + T) siano indistinguibili; ossia potrebbe accadere che esista un numero T > 0 tale che

f(x + T) = f(x)per ogni x  domf.

In questo caso la funzione f(x) si dice periodica di periodo T. Si noti che:



figure 1.1: Sinistra : f(x) (blu), f(x 1) (rosso), f(x + 1) (verde); destra: funzione periodica

PIC PIC


Tra i numeri reali si può fare anche il prodotto. Si può quindi considerare la trasformazione xax che, se a è positivo corrisponde niente altro che a un cambiamento dell’unità di misura. Quindi il grafico della funzione f(ax) si ottiene da quello di f(x) “allargandolo” o “comprimendolo”, in senso orizzontale. Più interessante è la moltiplicazione per numeri negativi, e basta considerare la moltiplicazione per 1. Il grafico di f(x) si ottiene da quello di f(x) facendone il simmetrico rispetto all’asse delle ordinate.



figure 1.2: sinistra f(x) e f(x); destra f(x) e f(x)

PIC PIC


Può accadere che i due grafici, di f(x) e di f(x), coincidano; ossia che valga

f(x) = f(x)per ogni x  domf.

In questo caso la funzione si dice una funzione pari Il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate. Consideriamo invece g(x) = f(x). Il grafico di g(x) si ottiene da quello di f(x) facendone il simmetrico rispetto all’asse delle ascisse. Si accade che questo coincide col grafico di f(x) la funzione si chiama dispari Ossia, una funzione dispari è una funzione che verifica

f(x) = f(x)per ogni x  domf.

Il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine. I due casi sono illustrati nella figura 1.3. Ripetiamo che le funzioni che si considerano potrebbero non essere definite su ; però:



figure 1.3: sinistra: funzione pari; destra: funzione dispari

PIC PIC


Estensioni pari, dispari e per periodicità

Sia f(x) una funzione il cui dominio è contenuto in [0, +). La sua estensione pari è definita imponendo f(x) = f(x). La sua estensione dispari è definita imponendo f(x) = f(x). Si possono trovare espressioni esplicite per queste estensioni: l’estensione pari è f(|x|). Invece, l’estensione dispari ha un’espressione più complicata. Non è necessario conoscerla, ma trovarla è un utile esercizio (si vedano gli esercizi alla fine di questo capitolo). Analogamente, sia f(x) definita su [0,T]. La sua estensione per periodicità si ottiene in questo modo: dato x[0,T] si calcola n tale che x nT [0,T]. Si pone quindi

f(x) = f(x nT).

1.8.3 Funzioni e relazione di ordine

L’uso della relazione di ordine conduce ai concetti importantissimi di funzione limitata, funzione monotona (crescente o decrescente) e funzione convessa

Le funzioni limitate

Una funzione f(x) si dice limitata superiormente quando è limitata superiormente la sua immagine; ossia quando esiste un numero M tale che per ogni x  domf si ha

f(x) M.

Dunque, una funzione è limitata superiormente se e solo se i punti (x,f(x)) del suo grafico appartengono al semipiano

{(x,y)|y M}.

Analogamente, una funzione è limitata inferiormente se è limitata inferiormente la sua immagine; ossia se e siste m tale che f(x) > m per ogni x  domf; ed è limitata se limitata è la sua immagine, ossia se esistono m ed M tali che m < f(x) < M per ogni x  domf. Inoltre:

Lemma 11 Una funzione è: limitata superiormente se e solo se il suo grafico è contenuto in un semipiano {(x,y)|y < M}; limitata inferiormente se e solo se il suo grafico è contenuto in un semipiano {(x,y)|y > m}; è limitata se e solo se il suo grafico è contenuto in una striscia orizzontale {(x,y)|m < y < M}.

Infine, notiamo questa proprietà, conseguenza del Lemma 7:

Lemma 12 Siano f1(x) ed f2(x) due funzioni limitate e supponiamo che ( domf1) ( domf2) = . Sia

f(x) = f1(x) sex  domf1 f2(x)  sex  domf2.

La funzione f(x) è limitata.

Dim. Si noti che  im f = ( im f1) ( im f2), ambedue insiemi limitati, e si usi il Lemma 7.  

Analogo enunciato vale se si considera la sola limitatezza da sopra o da sotto. In particolare:

Corollario 13 Sia x0  domf(x) e sia g(x) = f(x) per xx0. Se g(x) è limitata, anche f(x) lo è.

Ossia: il valore che la funzione prende in un solo punto non influisce sulla proprietà della funzione di essere o meno limitata.

La monotonia

Una funzione si dice monotona crescente quando:

x1,x2  domftali che x1 > x2f(x1) f(x2);

Si dice monotona decrescente quando:

x1,x2  domftali che x1 > x2f(x1) f(x2).

Si noti che le disuguaglianze tra i punti xi sono strette, mentre a destra potrebbe valere anche l’uguaglianza. Si parla di funzioni strettamente monotone quando sono monotone ed inoltre x1x2 implica f(x1)f(x2). Un modo apparentemente più complicato, ma più utile, di definire la monotonia è il seguente: una funzione è crescente se f(x1) f(x2) ha lo stesso segno di x1 x2; decrescente se i segni sono opposti. Usando la regola dei segni:

In queste relazioni va richiesto x1x2 (non si può dividere per 0) ma l’ordine in cui si susseguono x1 ed x2 non interviene.

Osservazione 14 E’ bene osservare quanto segue:



figure 1.4: Funzioni iniettive ma non monotone.
Funzione definita a tratti
PIC

MONOTONIA E FUNZIONE INVERSA
Naturalmente, una funzione strettamente monotona è iniettiva e quindi ammette funzione inversa. Una funzione strettamente crescente (decrescente) ha funzione inversa strettamente crescente (decrescente). Infatti,
f(x1) = y1,f(x2) = y2f(x1) f(x2) x1 x2 = y1 y2 f1(y1) f1(y2)
e quindi i due rapporti hanno il medesimo segno. Ripetiamo che gli esempi in figura 1.3 mostrano che esistono funzioni non monotone ed invertibili.

1.8.4 I punti di estremo

Se vale f(x0) f(x) per ogni x  domf, il numero f(x0) è il massimo dell’immagine della funzione ed il punto x0 si chiama punto di massimo per la funzione f(x). Se vale f(x0) f(x) per ogni x  domf, il numero f(x0) è il minimo dell’immagine della funzione ed il punto x0 si chiama punto di minimo per la funzione f(x). Supponiamo che esista un intorno I di x0 e che x0 sia punto di massimo oppure di minimo per la restrizione di f(x) a tale intorno. Allora, il punto x0 si dice rispettivamente punto di massimo relativo oppure punto di minimo relativo della funzione f(x). I punti di massimo oppure di minimo si chiamano punti di estremo della funzione. Invece che “estremo relativo” si dice anche estremo locale Per distinguere i punti di massimo o di minimo dai punti di massimo o di minimo relativo i primi si chiamano anche estremi assoluti o estremi globali della funzione: massimi o minimi assoluti, equivalentemente massimi o minimi globali. Infine, notiamo questa proprietà:

Lemma 15 Sia f(x) definita su un intervallo [a,b] e sia c (a,b). Supponiamo che la restrizione di f(x) ad [a,c] sia crescente e che la restrizione a [c,b] sia decrescente. Allora, il punto c è punto di massimo per la funzione f(x). Invece, il punto c è punto di minimo se f(x) decresce su [a,c] e cresce su [c,b].

Facendo opportuni esempi, si mostri che niente può dirsi se f(x) è crescente su [a,c) e decrescente su (c,b].

1.8.5 La convessità

A differenza delle definizioni di funzione limitata e di funzione monotona, la definizione di funzione convessa si applica solo a funzioni definite su intervalli. Sia f(x) una funzione definita su un intervallo [a,b]. Per fissare le idea, richiediamo che l’intervallo sia chiuso e limitato, ma ciò non è importante. Per la definizione di funzione convessa, è importante che il dominio sia un intervallo. Siano x1 ed x2 due punti in [a,b]. Si chiama corda il segmento che unisce i punti (x1,f(x1)) ed (x2,f(x2)). La funzione f(x) si dice convessa se la proprietà seguente vale per ogni coppia di punti x1 ed x2 in [a,b]: il grafico della restrizione di f(x) ad [x1,x2] è sotto la corda che unisce (x1,f(x1)) con (x2,f(x2)). Non si esclude che il grafico possa almeno in parte coincidere con la corda stessa. Se f(x) è convessa, la funzione f(x) si dice concava La figura 1.5 riporta il grafico di una funzione convessa e di una né concava né convessa.



PIC PIC


Quando una funzione è convessa si dice anche che il suo grafico ha la concavità rivolta verso l’alto.

1.8.6 Grafici di funzioni elementari

Si riportano i grafici di alcune funzioni elementari, ossia:

A partire da una data funzione f(x) si definiscono inoltre le funzioni seguenti:

f+(x) = max{f(x), 0} = f(x) sef(x) 0 0  altrimenti, f(x) = min{f(x), 0} = f(x) sef(x) 0 0  altrimenti.

Si faciano alcuni esempi e si noti che:

f(x) = f+(x) + f(x),|f(x)| = f+(x) f(x).

1.8.7 Grafici di funzioni inverse l’una dell’altra

Premettiamo un’osservazione: consideriamo il punto P(a,b) del piano cartesiano e vogliamo disegnare il punto Q(b,a). Questo coincide con P se a = b; altrimenti ne è il simmetrico7 rispetto alla prima bisettrice. Ossia si ottiene considerando la retta per P ortogonale alla prima bisettrice; prendendo il punto Q su tale retta, dalla parte opposta di P e che ha la medesima distanza dalla bisettrice. Si studi in particolare come i punti (t, 0), con a t b, si ottengono dai punti (0,t); i punti (t, 2t) dai punti (2t,t). Siano f e g = f1 due funzioni inverse l’una dell’altra. Allora, se f opera dall’asse delle ascisse ed ha immagine sull’asse delle ordinate, la g opera dall’asse delle ordinate ed ha immagine sull’asse delle ascisse. Il punto y appartiene al dominio di g quando y = f(x) (per una unica x) e in tal caso il corrispondente di y = f(x) è proprio g(y) = x. Quindi, se abbiamo il grafico di f, abbiamo anche il grafico di g, ma con l’insieme di partenza rappresentato dall’asse delle ordinate. In pratica vogliamo rappresentare g nel modo usuale, ossia con l’insieme di partenza sull’asse delle ascisse. Per questo notiamo che il punto (y,g(y)) del grafico di g, disegnato con l’insieme di partenza sull’asse delle ascisse, ha coordinate (f(x),x), punto simmetrico, rispetto alla prima bisettrice, di (x,f(x)). Ciò vale per tutti i punti del grafico e quindi il grafico di g si ottiene a partire da quello di f, facendone il simmetrico rispetto alla prima bisettrice, come in figura 1.11.



figure 1.11: Grafici di funzioni l’una inversa dell’altra: x inversa di x2 e log x inversa di ex

PIC PIC


Particolari funzioni inverse sono la funzione esponenziale e la funzione logaritmo (con la medesima base a > 0 e diversa da 1). Infatti, la funzione log ax si ottiene risolvendo rispetto ad y l’equazione

ay = x.

La funzione ax ha dominio ed immagine (0, +). Dunque, log ax ha dominio (0, +) ed immagine . La figura 1.13 riporta i grafici delle funzioni logaritmo ed esponenziale nel caso 0 < a < 1 (a sinistra) e nel caso a > 1 a destra.



figure 1.12: A sinistra nel caso 0 < a < 1 funzione esponenziale e logaritmo; a destra nel caso a > 1 funzione esponenziale e logaritmo.

PIC PIC


Può accadere che certe funzioni non siano invertibili, ma che le loro restrizioni ad opportuni insiemi lo siano. In tal caso si potrà considerare la funzione inversa di tali restrizioni. Per esempio, la funzione y, con y 0, si ottiene risolvendo l’equazione

x2 = y

e imponendo l’ulteriore condizione x > 0. La soluzione, con la condizione x > 0, è unica e quindi la restrizione ad x > 0 di f(y) = x2 è invertibile. Per esercizio, si traccino i grafici di queste funzioni. Quindi si tracci il grafico della funzione f(x) = x2 definita su x 0, e il grafico della sua funzione inversa, che è g(x) = x.

1.8.8 Le inverse delle funzioni trigonometriche

Le funzioni trigonometriche, essendo periodiche, non sono iniettive e quindi nemmeno invertibili. E’ però possibile trovare degli intervalli su cui le restrizioni delle funzioni trigonometriche sono iniettive e quindi invertibili. Le funzioni che si ottengono mediante restrizioni ad intervalli particolari si incontrano spesso in pratica, ed hanno nomi particolari. I loro grafici sono in figura 1.12.

La funzione arctan x La restrizione della funzione tan x all’intervallo (π2,π2) ha immagine , è monotona strettamente crescente e quindi invertibile. La sua funzione inversa ha dominio ed immagine (π2,π2). La funzione inversa della restrizione di tan x all’intervallo (π2,π2) si chiama “arcotangente” e si indica col simbolo arctan x.

La funzione arcsin x La restrizione di sin x all’intervallo [π2,π2] ha immagine [1, 1], è strettamente crescente e quindi invertibile. La sua funzione inversa ha dominio [1, 1] ed immagine [π2,π2]. La funzione inversa della restrizione di sin x all’intervallo [π2,π2] si chiama “arcoseno” e si indica col simbolo arcsin x.

La funzione arccos x La restrizione di cos x all’intervallo [0,π] ha immagine [1, 1], è strettamente decrescente e quindi invertibile. La sua funzione inversa ha dominio [1, 1] ed immagine [0,π]. La funzione inversa della restrizione di cos x all’intervallo [0,π] si chiama “arcoCOseno” e si indica col simbolo arccos x.

La funzione arccotg xLa restrizione funzione cot x all’intervallo (0,π) ha immagine , è monotona strettamente decrescente e quindi invertibile. La sua funzione inversa ha dominio ed immagine (0,π). La funzione inversa della restrizione di cot x all’intervallo (0,π) si chiama “arcoCOtangente” e si indica col simbolo  arccotgx.



figure 1.13: Le funzioni trigonometriche e le relative inverse: sin x e la sua inversa arcsin x; cos x e la sua inversa arccos x; tan x e la sua inversa arctan x; cot x e la sua inversa x

PIC PIC PIC PIC


1.9 Funzioni ed “espressioni analitiche”

Per ragioni didattiche le funzioni che si studiano sono spesso assegnate mediante “espressioni analitiche”8, ossia specificando certe operazioni da applicare ad una “variabile”: per esempio della variabile si calcolano le potenze, i logarirmi, il valore assoluto ecc., e queste operazioni si combinano insieme per “definire” una funzione. Di conseguenza si è portati a confondere tali operazioni analitiche col concetto stesso di funzione. E’ importante sottolineare che ciò è sbagliato. Prima di tutto non è vero che ogni funzione si assegni mediante “espressioni analitiche”. Si pensi per esempio alla mantissa o alla funzione che ad ogni numero assegna l’intero più vicino. Oppure, si pensi ad una funzione ottenuta mediante misure sperimentali, come quella che rappresenta la temperatura registrata da un termografo in un certo luogo e durante un certo intervallo di tempo. D’altra parte, una funzione è una trasformazione da un assegnato dominio; e il dominio deve essere dato nello stesso momento in cui si assegna la funzione. Consideriamo ora quest’esempio: sia

f(x) = 2xdefinita per x [0, 1] g(x) = x2definita per x .

La funzione composta

g(f(x)) = 2x

ha dominio [0, 1] ed è quindi ben diversa dall’“espressione analitica” 2x, che può essere calcolata per ogni x. Se vogliamo considerare 2x come funzione su , questa non è g(f(x)): è una delle infinite estensioni ad di g(f(x)). Ciò nonostante negli esercizi d’esame compaiono frequentemente testi del tipo “determinare il dominio della funzione”. Convenzionalmente e al solo scopo di verificare la capacità di risolvere disequazioni, nei compiti d’esame si assume che una funzione sia definita sul più grande insieme sul quale tutte le operazioni che entrano nella sua definizione si possono fare. Considerando l’esempio delle due funzioni f(x) e g(x) date sopra, diremo convenzionalmente che f(x) è definita per x 0 e quindi che

g(f(x)) = 2x2

è anch’essa definita per x 0. E’ sbagliato dire che g(f(x)) è definita su .

1.10 Appendice: progressioni

Si chiamano progressioni certe successioni particolari. Tra queste le progressioni aritmetiche e le progressioni geometriche. le progressioni aritmetiche sono le successioni {xn} per cui

x1 = a,x2 = a + d,x3 = a + 2d,xn1 = a + (n 2)d,xn = a + (n 1)d

Si noti che il primo indice della successione aritmetica è 1. Serve ricordare questa convenzione per interpretare correttamente le formule. La proprietà essenziale delle progressioni aritmetiche è che

xn + x1 = 2a + (n 1)d = xn1 + x2 = xn2 + x3

Vale

Sn = k=1nx k = nx0 + xn 2 = n2a + (n 1)d 2 .

Infatti,

2Sn = (x1 + x2 + + xn1 + xn) + (xn + xn1 + + x2 + x1) = (x1 + xn) + (x2 + xn1) + (xn1 + x2) + (xn + x1) = n(x1 + xn) = n 2a + (n 1)d.

Nel caso particolare a = 0 e d = 1 si trova

k=1nk = 1 + 2 + 3 + + (n 1) + n = n(n + 1) 2 . (1.5)

Invece, non esitono formule per il prodotto dei termini di una successione aritmetica. Si chiama progressione geometrica una successione {xn} tale che

x0 = a = aq0,x 1 = aq,x2 = aq2,x n = aqn,

Il numero q si chiama ragione della progressione geometrica. Si noti che il primo indice della successione geometrica è 0. Serve ricordare questa convenzione per interpretare correttamente le formule. Un fatto importante delle successioni geometriche è che esistono formule sia per il prodotto che per la somma dei primi n + 1 elementi (quelli di indice da 0 ad n). A noi interessa principalmente la formula per la somma. Indichiamo tale somma con Sn:

Sn = a 1 + q + q2 + q3 + + qn1 + qn .

Notiamo che

Sn + aqn+1 = a 1 + q + q2 + q3 + + qn1 + qn + qn+1 = a 1 + q 1 + q + q2 + q3 + + qn1 + qn = a + qSn

da cui

Sn = a 1 + q + q2 + q3 + + qn1 + qn = a1 qn+1 1 q . (1.6)

Per completezza diamo anche la formula del prodotto

Pn = x0 x1 x2xn1 xn.

Ricordiamo che in questo prodotto ogni i fattori sono xk = aqk con k che prende anche il valore 0. Dunque il fattora a compare (n + 1) volte (una volta quando l’indice è 0, una volta quando l’indice è 1 ecc.) e, ricordando la (1.5),

Pn = an+1 q q2 qn = an+1q1+2++n = an+1qn(n+1)2.

1.11 Alcuni esercizi

  1. Dire se è possibile che A B oppure A B siano limitati, con A e B ambedue insiemi illimitati di .
  2. Sia BC il complementare di B. Provare le uguaglianze
    A B = A BC,(A B)C = AC BC, (A B)C = AC BC.
  3. Siano f(t) e g(t) due qualsiasi funzioni a valori reali, definite su . Mostrare che valgono le uguaglianze
    {x|f(t) t,g(x) t} = {x|f(x) t}{|g(x) t} = = {x|f(x) t}{x|g(x) > t} = {x|f(x) t}{x|g(x) > t}𝒞.
  4. Siano a e b due numeri reali non nulli, con lo stesso segno, e tali che a > b. Mostrare che 1a < 1b. Discutere cosa accade se a e b hanno segno opposto.
  5. ()  Rappresentare sul piano cartesiano ciascuno degli insiemi
    (x,y)|x2 < y2 , (x,y)||x| < |y|, (x,y)|x3 < y3 , (x,y)|x2 y2 , (x,y)||x||y|, (x,y)|x3 y3 .
  6. Dire se esistono funzioni da in sé che soddisfano ad una delle proprietà seguenti:
    • c ,x  domf si ha f(x) > c;
    • c x  dom f tale che f(x) > c.

    Scrivere inoltre la negazione delle proposizioni precedenti, e dire se esistono funzioni che verificano le proposizioni ottenute.

  7. Si dica se è possibile che f(x) sia contemporaneamente pari e dispari.
  8. Si dica se è possibile che valga f(x) = |f(x)|, f(x) = f(|x|), f(x) = f(|x|) = |f(x)|.
  9. Si dica se una funzione pari può essere iniettiva.
  10. Si dica se una funzione pari può essere monotona oppure strettamente monotona.
  11. Si dica se una funzione dispari può essere iniettiva oppure non iniettiva; monotona crescente oppure decrescente.
  12. Il dominio di una funzione periodica deve essere “invariante per traslazioni”; ossia, se T è un periodo e se x  domf, deve essere x + T  domf. Mostrare che anche x + rT  domf per ogni intero r.
  13. Si dica se una funzione periodica può essere monotona, strettamente o meno.
  14. Disegnare il grafico di una funzione f(x) e, a partire da esso, si disegnino i grafici di f+(x), f(x), f(|x|), |f(x)|,  sgn(f(x)), f( sgn(x)) , H(f(x)) ed f(H(x)) ove H(x) indica la funzione di Heaviside.
  15. Mostrare che la somma ed il prodotto di funzioni limitate sono funzioni limitate.
  16. Sia f(x) definita su (0, 1) come segue: se x è irrazionale, f(x) = 0; se x è razionale, sia x = pq la sua unica rappresentazione come frazione ridotta ai minimi termini. Allora f(x) = f(pq) = 1q. Mostrare che la funzione è illimitata in ogni sottointervallo di (0, 1).
  17. I domini di due funzioni f(x) e g(x) sono contenuti in ed inoltre f(x) estende g(x). Cosa può dirsi degli estremi inferiori e superiori dei domini?
  18. I domini di due funzioni f(x) e g(x) sono contenuti in . Si sa che
    inf  domf(x) = inf  domg(x) , sup  domf(x) = sup  domg(x) .

    Dire se è possibile che f(x) estenda g(x).

  19. Due sottoinsiemi di hanno i medesimi estremi superiori ed inferiori. Dire se può essere che gli insiemi siano diversi.
  20. Due intervalli hanno i medesimi estremi superiori ed inferiori. Dire se può essere che gli intervalli siano diversi.
  21. Due intervalli ambedue aperti hanno i medesimi estremi superiori ed inferiori. Dire se può essere che gli intervalli siano diversi.
  22. Due intervalli ambedue chiusi hanno i medesimi estremi superiori ed inferiori. Dire se può essere che gli intervalli siano diversi.
  23. ()  Sia f(x) una funzione limitata. Mostrare che 1f(x) può non essere limitata.
  24. ()  Mostrare che 1f(x) può essere limitata anche se f(x) non è limitata.
  25. ()  Dare una condizione su f(x) che implichi che 1f(x) è limitata.
  26. Dire se una funzione può avere più di un punto di minimo assoluto.
  27. Dire se una funzione può avere estremi relativi ma non assoluti.
  28. Dire se un punto può essere contemporaneamente di massimo relativo ed assoluto per una funzione.
  29. Dire se una funzione monotona può avere massimi assoluti o relativi.
  30. Dire se una funzione strettamente monotona può avere più di un punto di massimo, assoluto oppure relativo.
  31. Sia f(x) = xn sin 2(1x) se x0, ed f(0) = 0. Dire per quali valori di n la funzione ha minimo in x = 0
  32. Sia f(x) definita su (0, 2) ed ivi crescente. Dire se è possibile che la sua restrizione a (0, 1) sia illimitata inferiormente oppure superiormente.
  33. Disegnare i grafici richiesti:
    • Sia f(x) = x. Disegnare i grafici delle funzioni g(x) = f(f(x)) e h(x) = f2(x);
    • Sia f(x) = x2. Disegnare i grafici delle funzioni g(x) = f(f(x)) e h(x) = f2(x);
    • Sia f(x) = 1x. Disegnare i grafici delle funzioni g(x) = f(f(x)) e h(x) = f2(x).
  34. In questo esercizio, [x] ed M(x) denotano le funzioni parte intera e mantissa.
    • Si disegni il grafico delle funzioni f(x) = sin(π 2 M(x)) e g(x) = [x] + sin(π 2 M(x));
    • Disegnare il grafico di un esempio di funzione con questa proprietà: f(x) è definita su [0, 1], crescente e tale che f(1) = f(0) + 1. Disegnare quindi il grafico di [x] + f(M(x)) (una espressione numerica per la funzione f(x) non è richiesta. Ne basta il grafico);
    • provare che se f(x) è definita su [0, 1], crescente e tale che f(1) = f(0) + 1 allora g(x) = [x] + f(M(x)) è crescente;
    • Disegnare il grafico di un esempio di funzione con questa proprietà: f(x) è definita su [0, 1], crescente e tale che f(1) = f(0) + 2. Disegnare quindi il grafico di [x] + f(M(x)).
  35. A partire dal grafico della funzione arccos x, si disegni il grafico della funzione inversa della funzione g(x) = cos x con  domg(x) = [0,π]. Si faccia lo stesso per la funzione h(x) = sin x (definita su (π,π)), a partire dal grafico di arcsin x.
  36. Spiegare perché l’affermazione seguente è falsa: la funzione inversa di una funzione pari è pari oppure dispari.
  37. ()  Mostrare che la funzione inversa di una funzione dispari (ed invertibile) è dispari.
  38. ()  Siano f(x) e g(x) due funzioni da in sé, definite sul medesimo intervallo [a,b]. Supponiamo che siano strettamente crescenti e che su [a,b] valga
    f(x) > g(x).

    Mostrare che le loro funzioni inverse verificano

    f1(x) < g1(x).

    Cambia qualcosa se le funzioni sono decrescenti?

  39. ()  Sia f(x) invertibile su un intervallo [a,b]. La funzione g(x) = f(x + c) è definita su [a c,b c]. Mostrare che è invertibile e che la sua funzione inversa g1(x) è f1(y) c. Applicare quest’osservazione ai casi seguenti:
    • La funzione f(x) = cos x (definita su [0,π]) e la funzione g(x) = f(x + π);
    • La funzione f(x) = cos x (definita su [0,π]) e la funzione h(x) = f(x + π2).
  40. Notando che sin(x π2) = cos x, si trovi una relazione tra i grafici delle funzioni arcsin x ed arccos x. Si disegnino quindi i grafici delle funzioni arcsin x, arccos x e arccos x.
  41. Sia f(x) definita su ed invertibile, e sia
    g(x) = af(x) + b (1.7)

    con a0 e b qualsiasi. Mostrare che g(x) è invertibile e che

    g1(y) = f1 (y b)a.

  42. ()  Sia f(x) una funzione definita per x > 0. Si mostri che la sua estensione dispari per x > 0 è f(x) mentre per x < 0 è
     sgn(x) f x  sgn(x) .

  43. ()  Si trovino una funzione razionale f(x) ed una funzione razionale g(x) che verificano rispettivamente
    f(x) = f 1 x,g(x) = g 1 x

    (due esempi si trovano all’esercizio 6 del Cap. 3).

  44. ()  Una delle due uguaglianze seguenti è corretta e l’altra è sbagliata:
    (x)2 = x,x2 = x.

  45. ()  Una delle due uguaglianze seguenti è corretta, mentre l’altra è sbagliate:
    tan(arctan x) = x, arctan(tan x) = x.

    Spiegare e fare esempi analoghi con le funzioni arcsin x ed arccos x.

  46. il calcolo seguente è sbagliato. Si considera la funzione f(x) = (x)2, definita per x 0 e se ne vuol calcolare la funzione inversa. Dunque si deve risolvere (x)2 = y con y  imf(x), ossia y 0. Dunque si ha x = y e quindi x = y. Il risultato è sbagliato, come si vede facilmente ottenendo il grafico della funzione inversa come simmetrico di quello di f(x) rispetto alla prima bisettrice.
    • trovare l’errore (si esamini il segno di x).
    • la funzione g(x) = y è comunque una funzione inversa. Dire di quale funzione.
  47. ()  Tracciare qualitativamente il grafico della funzione
    f(x) = |x|g(x), 1 < x < 1

    con

    g(x) = 1 2 1 + 3[x] (2 + [x])

    (la parentesi quadra indica la parte intera).

Capitolo 2
I limiti

Il moto vien definito dai Gassendistia una continua e non interrotta mutazione del luogo. Giacomo Leopardi, Dissertazione sopra il moto. Nel periodo in cui Giacomo Leopardi scriveva le sue riflessioni sui principi della fisica (intorno al 1810) il concetto di “continua e non interrotta mutazione” non è ancora chiaro. Verrà chiarito una quindicina di anni dopo da Augustin-Louis Cauchy ed è l’oggetto di questo capitolo.

In questo capitolo si studia il comportamento delle funzioni al variare della variabile x, per x che prende valori via via più grandi (diremo per x “tendente a +”) o negativi, via via più piccoli, (e diremo per x “tendente a ”), oppure per x che approssima un numero x0 (e diremo per x “tendente ad x0”). Non è necessario che x0 appartenga al dominio della funzione; anzi, se gli appartiene, non studiamo la funzione f(x) ma la restrizione di f(x) ad {x0}. Ossia, l’eventuale valore che f(x) prende in x0 non deve intervenire. Per dire x “tendente a +” useremo la notazione x +; significato analogo hanno le notazioni x oppure x x0. Ricordiamo il significato del termine intorno, visto al paragrafo 1.5. Se x0 , si chiama intorno di x0 un qualsiasi intervallo aperto (a,b) contenente x0. Dato che l’intervallo è aperto, il punto x0 è interno all’intorno: l’intorno di x0 interseca sia (,x0) che (x0,) e le intersezioni sono due intervalli. Un intorno di x0 si dice intorno simmetrico di x0 se ha forma (x0 r,x0 + r) con r > 0. Si chiama intorno di + un sottoinsieme (a, +) di mentre si chiama intorno di un sottoinsieme (,a) di . Le proprietà cruciali degli intorni sono le seguenti:

Richiederemo:

Queste condizioni saranno sempre sottintese e non più ripetute. Inoltre è inteso che quando scriveremo f(x) dovrà essere x  domf. Anche questa condizione verrà spesso sottintesa. Studieremo esplicitamente il caso x + lasciando come esercizio di adattare ciò che diremo al caso x . Vanno considerati due casi distinti.

2.0.1 I limiti infiniti

La definizione è la seguente:

Definizione 16

lim x+f(x) = +

quando accade che per ogni 𝜖 esiste N tale che se x > N si ha f(x) > 𝜖. In simboli

si ha lim x+f(x) = + se

𝜖N|x ( domf) (N, +)f(x) > 𝜖.

In questa definizione il numero N dipende dal particolare 𝜖 scelto e usa indicare tale dipendenza scrivendo N𝜖 invece che semplicemente N. Come notazione, quando è sottinteso che si lavora per x +, per dire che vale lim x+f(x) = +, si scrive brevemente f(x) + e si dice che f(x) tende a + o anche che diverge a +. Per dire che una funzione tende a + si dice anche che la funzione è un infinito positivo Per dire che una funzione tende a si dice anche che la funzione è un infinito negativo E’ immediato dalla definizione:

Teorema 17 (di permanenza del segno per gli infiniti) Sia

lim x+f(x) = +.

Sia inoltre a > 0. Esiste una semiretta (N, +) su cui f(x) > a.

Come si è detto, il numero x deve appartenere al dominio della funzione e niente vieta che la funzione sia una successione. In questo caso la definizione precedente si trascrive come segue:

si ha lim n+xn = + se

𝜖N|n > Nxn > 𝜖.

Nel caso delle successioni i limiti per n e per n x0 (questi verranno introdotti più avanti) non possono studiarsi e quindi nel caso delle successioni si può anche scrivere lim xn invece di lim n+xn. Lasceremo come esercizio di adattare ciò che andiamo a dire al caso delle successioni. Ricapitolando, la verifica della proprietà

lim x+f(x) = + (2.1)

si riduce a questo: si considerano tutte le disequazioni

f(x) > 𝜖, (2.2)

una disequazione per ogni valore di 𝜖. La (2.1) è verificata quando ciascuna di queste disequazioni è soddisfatta per tutti i punti del dominio della funzione che appartengono ad un opportuno intorno di + (ossia, ad una opportuna semiretta illimitata superiormente). Naturalmente, se (2.2) è verificata per un certo 𝜖0, essa è automaticamente soddisfatta per ogni 𝜖 < 𝜖0 e quindi ci si può limitare a studiare le disequazioni con 𝜖 > 0 (o 𝜖 > 5 oppure di qualsiasi altro numero fissato). Osserviamo le seguenti proprietà:

Teorema 18 Sia lim x+f(x) = +. Allora l’immagine della funzione non è superiormente limitata.

Dim. Infatti, se f(x) < M per ogni x, la (2.2) non ha soluzioni quando 𝜖 > M.  

Lemma 19 Sia K e sia

g(x) = f|[k,+)(x),

la restrizione di f(x) a [K, +). La (2.1) vale se e solo se

lim x+g(x) = +.

Dim. La condizione per avere lim x+f(x) = + è che per ogni 𝜖 la (2.2) sia soddifatta per x > N (x nel dominio di f). L’analogo di (2.2) per g(x) è che

se x > K allora g(x) > 𝜖 ossiaf(x) > 𝜖. (2.3)

Quindi le due condizioni (2.2) e (2.3) si equivalgono.  

Conseguenza: per lo studio dei limiti per x + possiamo limitarci a considerare la restrizione delle funzioni ad una semiretta verso destra. E’ per questo che le proprietà di limite si chiamano “proprietà locali”.

Teorema 20 (Teorema del confronto per gli infiniti) Valga:

a) le funzioni f(x) e g(x) hanno il medesimo dominio;
b) lim x+f(x) = +;
c) g(x) f(x) .

Allora, lim x+g(x) = +.

Dim. Le disequazioni da studiare per provare la tesi sono

g(x) > 𝜖 (2.4)

Essendo

g(x) > f(x),

la (2.4) è certamente soddisfatta quando vale

f(x) > 𝜖.

L’ipotesi fatta su f(x) mostra che questa disequazione, e quindi la (2.4), vale su un’opportuna semiretta (N𝜖, +).  

Osservazione 21 Va notato che la (2.4) potrebbe essere soddisfatta anche su un insieme più grande di (N𝜖, +), ma a noi ciò non interessa. A noi basta trovare una semiretta (verso destra) su cui vale (2.4). Non è richiesto di individuare l’insieme di tutte le sue soluzioni.  

Lemma 22 Per ogni M vale:

lim x+f(x) = + lim x+(f(x) + M) = +.

Dim. Per provare che

lim x+(f(x) + M) = +

vanno studiate le disequazioni

f(x) + M > 𝜖 ossiaf(x) > σ = 𝜖 M.

Essendo lim x+f(x) = +, esiste un intorno di + su cui vale f(x) > σ.  

Combinando questo lemma col Teorema 20 si ha:

Teorema 23 Se f(x) e g(x) hanno il medesimo dominio e inoltre valgono ambedue le condizioni

allora si ha

lim x+f(x) + g(x) = +.

Dim. Infatti, su [a, +) si ha g(x) > M, per un opportuno valore di M; e quindi

f(x) + g(x) > f(x) + M +.  

Combinando questo teorema con quello di permanenza del segno si ha anche:

Corollario 24 Se, per x +, ambedue le funzioni f(x) e g(x) divergono a +, anche la funzione f(x) + g(x) diverge a +.

Conseguenza del Corollario 24: se calcolando formalmente si trova un’espressione

lim x+[f(x) + g(x)] = + +

allora vale

lim x+[f(x) + g(x)] = +.

Ossia, come regola mnemonica, si può scrivere

+ + = +.

Esempio 25 E’ immediato verificare che

a > 0 lim x+ax = +; a < 0 lim x+ax = .

Dunque, dal teorema del confronto, se a > 0 oppure se a < 0 si ha rispettivamente

lim x+ax + sin x = + oppure lim x+ax + sin x = .

Si noti che che la funzione f(x) = sin x, che è limitata, non diverge né a + né a . Infatti, la disequazione | sin x| > 𝜖 = 2 non ha soluzione.  

L’osservazione seguente è importantissima. Essa richiede di sapere che

lim x+x = +.

Si lascia per esercizio la verifica di questo limite.

Osservazione 26 Consideriamo le due funzioni divergenti a +, f(x) = x e g(x) = x. La funzione f(x) + g(x) diverge a +, mentre la funzione f(x) + g(x) non è un infinito. Quindi la condizione di limitatezza inferiore nel Teorema 23 non si può eliminare. Consideriamo ora f(x) = x e g(x) = x. Essendo

f(x) + g(x) = x x = x(x 1) 1 2x

(l’ultima disuguaglianza vale per esempio se x > 10) per il teorema del confronto si ha

lim x+x x = +.

Invece

lim x+x x = .

Dunque, se si trova un’espressione del tipo

lim x+[f(x) + g(x)] = + + (),

che scriveremo semplicemente come

+,

niente può dirsi del comportamento della somma f(x) + g(x): non si può attribuire un significato all’espressione formale

+.

E’ questo il primo esempio in cui i teoremi sui limiti non permettono di dedurre niente sul comportamento di una funzione, il cui limite va studiato con metodi particolari. Per questo quando si incontra l’espressione + si dice che si incontra una forma indeterminata Consideriamo ora il quoziente delle funzioni f(x) e |g(x)|. E’:

lim x+ f(x) |g(x)| = lim x+x = +

mentre invece g(x)f(x) = 1x, essendo limitata su [1, +), non è un infinito. Dunque, anche se si incontra formalmente l’espressione

niente può dirsi in generale del limite del quoziente delle funzioni e il limite va studiato con tecniche particolari. Quindi, è un secondo esempio di forma indeterminata. Altri esempi vedremo in seguito.   

Passiamo ora ad esaminare le relazioni tra le funzioni divergenti a + oppure e l’operazione di prodotto. chiaramente, la funzione 0 f(x) non è un infinito, mentre:

Lemma 27 Se f(x) è un infinito positivo ed a > 0 allora af(x) è un infinito positivo; se f(x) è un infinito positivo ed a < 0 allora af(x) è un infinito negativo.

Combinando quest’affermazione col teorema di permanenza del segno e col teorema di confronto si ha:

Teorema 28 Sia lim x+f(x) = +. Vale:

In particolare:

Corollario 29 Se f(x) e g(x) sono due infiniti (per x +) anche f(x)g(x) lo è; precisamente, è un infinito positivo se f(x) e g(x) divergono ambedue a + oppure a . Altrimenti è un infinito negativo.

Le condizioni g(x) > M > 0 oppure g(x) < M < 0 non possono sostituirsi con le condizioni g(x) > 0 oppure g(x) < 0. Infatti, f(x) = x è un infinito positivo e g(x) = 1x è positiva per ogni valore di x; ma f(x)g(x) 1 non è un infinito. Invece,

lim x+x 1 x = x = +.

Ossia,

la sola condizione |g(x)| > 0, invece di |g(x)| > M > 0, non permette di dire niente del prodotto f(x)g(x), quando f(x) è un infinito.

La tabella 2.1 ricapitolale regole e le forme indeterminate che abbiamo trovato:


Table 2.1: “Regole” di calcolo, a sinistra, forme indeterminate a destra

regole forme indeterminate + + = + + = ± ±

2.0.2 I limiti finiti

La definizione è:

Definizione 30

lim x+f(x) = l , (2.5)

e si dice che f(x) tende ad l per x tendente a +, quando accade che per ogni 𝜖 > 0 esiste N con questa proprietà: ogni x (appartenente al dominio di f(x)) e tale che x > N verifica |f(x) l| < 𝜖. In simboli:

𝜖 > 0N|x ( domf) {x|x > N}|f(x) l| < 𝜖.

Il numero N dipende da 𝜖 e per sottolineare ciò si scrive anche N = N𝜖. Ripetiamo che questa definizione può darsi solo se il dominio della funzione è superiormente illimitato e naturalmente, niente vieta che la funzione che si considera sia una successione. Inoltre, la definizione si adatta facilmente per definire

lim xf(x) = l.

La definizione è

𝜖 > 0N|x ( domf) {x|x < N}|f(x) l| < 𝜖.

Si esprima questa definizione a parole.

Esempio 31 Sia f(x) costante, f(x) l. Si provi che

lim xf(x) = l, lim x+f(x) = l.  

Le funzioni che ammettono limite uguale a 0 sono particolarmente importanti nelle applicazioni, ed hanno un nome particolare:

Definizione 32 Una funzione f(x) tale che

lim x+f(x) = 0

si dice un infinitesimo (per x +).  

OSSERVAZIONE IMPORTANTE
Molto spesso e solo in apparenza, nelle applicazioni fisiche sembra che il termine “infinitesimo” sia usato come sinonimo di “quantità piccola”. Per esempio, si sente dire una frase del tipo “prendiamo un quadrato di area infinitesima. Allora la pressione è…” Il significato da attribuire a questa frase è il seguente: facendo misure concrete, si trova che il valore della pressione è diverso da quello proposto, ma “non troppo” e che l’approssimazione è “via via migliore al tendere dell’area a zero”; ossia, la pressione dipende dalla variabile “area del quadrato” ed è diffcile da calcolare. Il valore proposto si ottiene come limite quando la variabile “area del quadrato” tende a zero.

Per verificare se vale (2.5) vanno studiate le infinite disequazioni

|f(x) l| < 𝜖,

una disequazione per ciascun valore di 𝜖, e va provato che ciascuna di esse vale in tutti i punti del dominio di f(x) che appartengono anche ad un intorno di +, ossia ad un’opportuna semiretta (N, +). Queste disequazioni coincidono con quelle da studiare se vogliamo provare che

lim x+g(x) = 0 oveg(x) = f(x) l.

Dunque:

Teorema 33 Vale

lim x+f(x) = l

se e solo se

lim x+f(x) l = 0;

ossia se e solo se (f(x) l) è un infinitesimo. In particolare, f(x) è un infinitesimo (per x +) se e solo se |f(x)| lo è.

Studiamo ora i risultati principali concernenti i limiti finiti, quando la variabile x tende a +. I risultati analoghi per x si lasciano per esercizio. Prima di tutto mostriamo la proprietà seguente, da contrastare con quella enunciata nel Teorema 18:

Teorema 34 (della limitatezza locale) Se

lim x+f(x) = l

allora esistono numeri M ed N tali che se x > N allora |f(x)| < M; ossia, f(x) è limitata sulla semiretta [N, +).

Dim. Si scelga 𝜖 = 1 (per esempio) nella definizione di limite e sia N il numero tale che se x > N valga

|f(x) l| < 1.

Per x > N si ha:

|f(x)| = |f(x) l + l||f(x) l| + |l| < 1 + |l|

ossia, il risultato vale con M = 1 + l.  

Una funzione può essere o meno dotata di limite, finito o infinito. Però, se il limite esiste esso è unico:

Teorema 35 (unicità del limite) Se

lim x+f(x) = l, lim x+f(x) = m.

Allora, l = m.

Dim. Non si può avere l ed m = + perché se m = + la funzione è illimitata su ogni semiretta (N, +), mentre se l deve esistere una di tali semirette su cui f(x) è limitata. Consideriamo il caso in cui l ed m sono ambedue numeri. Se per assurdo fosse lm potremmo scegliere due intorni I(l) ed I(m) (rispettivamente di l e di m) privi di punti comuni. Notiamo che:

Abbiamo notato che V (+) W(+) è un intorno di + e quindi contiene almeno un punto x0  domf(x). Tale punto deve verificare f(x0) = I(l) I(m) e ciò contrasta con la condizione I(l) I(m) = . Dunque deve essere l = m.  

Osservazione 36 Si noti che in questa dimostrazione abbiamo usato ambedue le proprietà cruciali degli intorni.  

Proviamo

Teorema 37 (di confronto) Siano f(x), g(x) ed h(x) definite sul medesimo insieme e sia

Allora si ha anche

lim x+h(x) = m.

Dim. Sottraendo m ai tre membri della disuguaglianza si ha

f(x) m h(x) m g(x) m.

L’ipotesi è che esistano due numeri r1 ed r2 tali che

x > r1|f(x) m| < 𝜖 ossiam 𝜖 < f(x) < m + 𝜖 x > r2|g(x) m| < 𝜖 ossiam 𝜖 < g(x) < m + 𝜖.

Dunque, ambedue le disequazioni valgono per x > R con R il maggiore dei numeri r1 ed r2. Per x > R si ha quindi anche

𝜖 < f(x) m h(x) m g(x) m < 𝜖

e quindi l’asserto.  

Proviamo ora:

Teorema 38 Le due funzioni f(x) e g(x) abbiano il medesimo dominio e valga

lim x+f(x) = l , lim x+g(x) = m .

Allora vale:

Dim. Si sa che f(x) l e g(x) m sono infinitesimi (per x +) e quindi, per ogni 𝜖 > 0 esitono due numeri r1 ed r2 tali che:

x > r1|f(x) l| < 𝜖2,x > r2|g(x) m| < 𝜖2.

Dunque, ambedue le disequazioni valgono per x > R con R il maggiore dei numeri r1 ed r2. La prima affermazione del teorema segue perché per x > R si ha

0 f(x) + g(x) (l + m) = f(x) l + (g(x) m) f(x) l + g(x) m < 𝜖.

La seconda affermazione si ottiene come segue:

f(x)g(x) lm = f(x)g(x) f(x)m f(x)m lm f(x) g(x) m + |m|f(x) l.

IIl teorema della limitatezza locale afferma che f(x) è limitata su un’opportuna retta (a, +):

x > a|f(x)| < M.

Dunque, se x è più grande sia di a che di R vale

f(x)g(x) lm < M + |m| 2 𝜖.

Questo è un numero tanto arbitrario quanto 𝜖 e ciò prova l’asserto.  

Le relazioni con le operazioni di quoziente sono più complicate. Per studiarle, dobbiamo premettere un risultato importante:

Teorema 39 (della permanenza del segno) Sia lim x+f(x) = l > 0 (disuguaglianza stretta). Esiste β > 0 (disuguaglianza stretta) ed esiste una semiretta (r, +) su cui vale la disuguaglianza

f(x) > β > 0.

Sia invece lim x+f(x) = l < 0 (disuguaglianza stretta). Esiste β < 0 (disuguaglianza stretta) ed esiste una semiretta (r, +) su cui vale la disuguaglianza

f(x) < β < 0.

Dim. Consideriamo il caso l > 0. Si scelga nella definizione di limite come valore di 𝜖 il numero l2. Allora, esiste una semiretta (R, +) su cui vale

|f(x) l| < 𝜖 = l 2 ossia l 2 < f(x) l < l 2.

Sommando l ai tre membri si trova

l 2 < f(x) < 3 2l.

La disuguaglianza richiesta è quella di sinistra.  

Osservazione 40 Si noti che la disuguaglianza di destra dà nuovamente la dimostrazione del Teorema di limitatezza locale.  

Possiamo ora enunciare:

Teorema 41 Si ha:

  1. se lim x+|f(x)| = + allora lim x+ 1 f(x) = 0;
  2. se lim x+f(x) = 0 e se f(x) non è identicamente nulla su nessuna semiretta (R, +), allora lim x+ 1 |f(x)| = +;
  3. se lim x+f(x) = l , l0 allora lim x+ 1 f(x) = 1 l ;
  4. se lim x+f(x) = l , l0 e se lim x+g(x) = m allora lim x+g(x) f(x) = m l .

Dim. Proviamo la proprietà 3, lasciando le altre per esercizio. Per ipotesi, per ogni 𝜖 > 0 esiste una semiretta (r, +) su cui vale

|f(x) l| < 𝜖.

Su questa semiretta vale (il numero β0 è quello del teorema di permanenza del segno)

1 f(x) 1 l = |l f(x)| |lf(x)| < |l f(x)| |lβ| < 𝜖 lβ.

L’asserto segue perché 𝜖(lβ), al variare di 𝜖 > 0, è un arbitrario numero positivo.  

Infine, mostriamo che la regola sul limite del prodotto può rendersi più precisa quando una delle due funzioni è un infinitesimo.

Teorema 42 Le due funzioni f(x) e g(x) abbiano lo stesso dominio. Se

lim x+f(x) = 0

e g(x) è limitata su una semiretta (r, +) allora vale anche

lim x+f(x)g(x) = 0.

Dim. La condizione su g(x) mostra che per un opportuno numero M e per x > r si ha |g(x)| < M. Dunque, per x > r vale

0 |f(x)g(x)| < M|f(x)|

Sia 𝜖 > 0. Vale M|f(x)| < 𝜖 se |f(x)| < 𝜖M e ciò avviene su una semiretta (L, +), perché f(x) 0 per x +. Allora, se x > L ed anche x > r si ha

0 |f(x)g(x)| < M|f(x)| < 𝜖;

Ossia, la funzione f(x)g(x) tende a zero per x +.  

Si noti che questo teorema non richiede che g(x) abbia limite finito, ma, grazie al teorema della limitatezza locale, vieta che abbia limite + oppure .

Relazioni tra limiti finiti e infiniti Combinando i risultati dei Teoremi 3841 si trova in particolare: se |f(x)| + e g(x) 0 allora:

f(x) g(x) +,g(x) f(x) 0.

Invece, niente può dirsi in generale del prodotto di un infinito e di un infinitesimo e del quoziente di due infinitesimi, come si vede esaminando f(x)g(x) con

f(x) = xe      g(x) = 1x, oppure = 1x2, oppure = 1x.

Si hanno quindi quattro ulteriori “regole di calcolo” e due ulteriori forme indeterminate, riassunte nella tabella 2.2.


Table 2.2: Ulteriori regole e forme indeterminate

regole forme indeterminate ±0 = + 0 (±) 0(±) = 0 00 l + (+) = l + = + l + () = l = l(+) = + se l > 0 se l < 0

2.1 I limiti per x tendente ad x0

Anche in questo caso, conviene dividere lo studio in due sottocasi, il caso degli infiniti ed il caso dei limiti finiti. Ricordiamo prima di tutto:

il fatto cruciale è che il concetto di limite vuol rappresentare il comportamento della funzione, quando x “si avvicina” ad x0. L’eventuale valore della funzione in x0 non deve essere considerato.

2.1.1 I limiti infiniti

Una funzione si chiama un infinito positivo per x x0 se accade quanto segue:

Definizione 43 Per ogni 𝜖 esiste un numero δ > 0 con questa proprietà: per ogni x (appartenente al dominio della funzione) tale che

xx0e inoltre tale che|x x0| < δ

vale

f(x) > 𝜖.

Ossia,

𝜖δ > 0|xx0,x  domf,|x x0| < δf(x) > 𝜖.

Quando ciò accade si dice anche che “la funzione tende a + per x tendente a x0” e si scrive

lim xx0f(x) = +.

Il numero δ che compare in questa definizione dipende dalla scelta di 𝜖. Per sottolineare ciò talvolta si scrive semplicemente δ𝜖 invece che semplicemente δ. La definizione di infinito negativo (per x x0) è analoga: si ha

lim xx0f(x) =

se per ogni 𝜖 esiste un numero δ > 0 con questa proprietà: per ogni x (appartenente al dominio della funzione) tale che

xx0e inoltre tale che|x x0| < δ

vale

f(x) < 𝜖.

La cosa importante da notare in queste definizioni è la seguente:

non si richiede che la funzione sia definita in x0 e anzi se essa in x0 è definita si impone esplicitamente di non considerare il valore di f(x) nel punto x0; ossia, in queste definizioni non si lavora con la funzione f(x) ma con la restrizione di f(x) a ( domf(x)) {x0}. Ribadiamo però che è necessario, per poter dare questa definizione, che ogni intorno di x0 contenga punti del dominio di f(x) diversi da x0 stesso.

Per definizione, un punto x0 si dice punto di accumulazione per un insieme A se ogni suo intorno contiene punti di A diversi da x0. Dunque, per verificare se una funzione è un infinito positivo si devono studiare le disequazioni

f(x) > 𝜖,

una disequazione per ogni valore di 𝜖, e verificare se ciascuna di esse risulta soddisfatta in un opportuno intorno di x0, escluso al più il valore x0. Non è richiesto né di determinare tutte le soluzioni della disequazione, né di determinare il più grande intorno di x0 sul quale ogni singola disequazione è soddisfatte.

Come notazione, quando è sottinteso che si lavora per x x0, per dire che vale lim xx0f(x) = +, si scrive brevemente f(x) + e si dice che f(x) diverge a +.

La novità importante della definizione di infinito per x x0 è l’aver escluso dalle nostre considerazioni il punto x0, se esso appartiene al dominio della funzione. Un problema analogo non si incontrava lavorando per x + perché + non è un numero e quindi automaticamente non appartiene al dominio della funzione. A parte questa importante differenza, le due definizioni possono esprimersi in modo unificato. Per questo basta ricordare che con intorno di + si intende una semiretta (r, +) e intorno di è una semiretta (,r). Avremo quindi, con α che può essere x0 oppure oppure +,

lim xαf(x) = +

se per ogni 𝜖 esiste un intorno di α tale che

x I ( domf) {α}f(x) > 𝜖.

Ovviamente, ( dom f) {α} =  domf se α domf; in particolare se α indica il simbolo + oppure . Notato ciò è facile verificare che tutti i risultati che abbiamo provato al paragrafo 2.0.1 valgono anche per x x0, e con la medesima dimostrazione, purché non si faccia intervenire il valore di f(x) nel punto x0. Per esempio si ha il seguente risultato, da confrontare col Teorema 17:

Teorema 44 (di permanenza del segno per gli infiniti) Sia

lim xx0f(x) = +.

Sia inoltre a > 0. Esiste δ > 0 tale che se |x x0| < δ e inoltre xx0 si ha f(x) > a.

Dim. Si scelga come numero 𝜖 nella definizione di infinito positivo il numero a.  

Osservazione 45 Dobbiamo sottolineare nuovamente che il teorema precedente non dà informazioni sul valore della funzione in x0, se essa è ivi definita. Per esempio, la funzione

f(x) = 1 {|sgn(x)| + |x|} 1

verifica

f(0) = 1, lim x0f(x) = +.  



figure 2.1: grafico di f(x) = 1{(|sgn(x)| + |x|) 1}

PIC


Vale anche il risultato seguente, da confrontare col Teorema 18:

Teorema 46 Se lim xx0|f(x)| = + la funzione f(x) è illimitata in ogni intorno di x0 .

Si noti che in quest’enunciato non importa escludere il punto x0 perché la proprietà che una funzione sia o meno limitata non dipende dal valore che essa assume in un solo punto. Il teorema di confronto e le sue conseguenze si riformulano come segue:

Teorema 47 (del confronto per gli infiniti) Se:

a) ( domf) {x0} = ( domg) {x0}
b) lim xx0f(x) = +;
c) per xx0 si ha g(x) f(x) .

Allora, lim x+x0g(x) = +.

Dim. Le disequazioni da studiare per provare la tesi sono

g(x) > 𝜖, (2.6)

una disequazione per ogni valore di 𝜖. Essendo

g(x) f(x),

la (2.6) è certamente soddisfatta quando xx0 e

f(x) > 𝜖.

L’ipotesi fatta su f(x) mostra che questa disequazione vale su in un opportuno intorno di x0, escluso al più il punto x0.  

Inoltre:

Lemma 48 Per ogni M vale:

lim xx0f(x) = + lim xx0(f(x) + M) = +.

Combinando questo Lemma col Teorema 47 si ha:

Teorema 49 Se, a parte eventualmente il punto x0, le due funzioni f(x) e g(x) hanno il medesimo dominio e inoltre valgono ambedue le condizioni

allora si ha

lim xx0 f(x) + g(x) = +.

Combinando questo teorema col teorema di permanenza del segno si ha anche:

Corollario 50 Se, per x x0, ambedue le funzioni f(x) e g(x) divergono a +, anche la funzione f(x) + g(x) diverge a +.

Passiamo ora ad esaminare le relazioni tra le funzioni divergenti a + oppure e l’operazione di prodotto.

Teorema 51 Se lim xx0f(x) = + allora:

Osservazione 52 Le condizioni g(x) > M > 0 oppure g(x) < M < 0 non possono sostituirsi con le condizioni g(x) > 0 oppure g(x) < 0. Si diano opportuni esempi per mostrare ciò.  

In particolare:

Corollario 53 Se f(x) e g(x) sono due infiniti (per x x0) anche f(x)g(x) lo è; precisamente, è un infinito positivo se f(x) e g(x) divergono ambedue a + oppure a . Altrimenti è un infinito negativo.

2.1.2 I limiti finiti

Definiamo ora:

Definizione 54 Si dice che la funzione f(x) tende ad l per x tendente ad x0, e si scrive

lim xx0f(x) = l (2.7)

se per ogni 𝜖 > 0 esiste δ > 0 con questa proprietà: se x verifica |x x0| < δ, appartiene al dominio della funzione e inoltre xx0 allora si ha

|f(x) l| < 𝜖. (2.8)

Se l = 0 si dice che la funzione f(x) è un infinitesimo per x tendente ad x0.

Si ricordi l’osservazione fatta al paragrafo 2.0.2, sull’uso del termine “infinitesimo”e che la (2.8) è un modo compatto per scrivere le due disequazioni

𝜖 < f(x) l < 𝜖 ossial 𝜖 < f(x) < l + 𝜖. (2.9)

Il punto x0 può verificare o meno queste disequazioni. In modo più formale, la definizione di limite (2.7) si scrive:

𝜖 > 0δ > 0|0 < |x x0| < δ,x  domf|f(x) l| < 𝜖.

Per i limiti finiti per x x0 valgono tutte le proprietà elencate al paragrafo 2.0.2, con l’avvertenza che se x0  domf allora la conoscenza del limite niente permette di dire del valore della funzione in x0. Per questo, limitiamoci ad enunciare i teoremi, lasciando le dimostrazioni per esercizio.

Teorema 55 (della permanenza del segno) Sia

lim xx0f(x) = l > 0.

Esistono un numero β > 0 ed un intorno I di x0 tali che se x I ed inoltre xx0 si ha

f(x) > β.

Teorema 56 (della limitatezza locale) Se

lim xx0f(x) = l

allora esistono numeri M e δ > 0 tali che se |x x0| < δ allora |f(x)| < M; ossia, f(x) è limitata in un intorno di x0.

Si faccia attenzione al fatto che in questo teorema non è necessario escludere il punto x0: la definizione di limite dà la limitatezza in un intorno di x0, escluso il punto x0. Ma, come si è notato al Corollario 13, il valore che la funzione ha in un punto non altera la sua proprietà di essere limitata o meno.

Teorema 57 (unicità del limite) Se

lim xx0f(x) = l, lim xx0f(x) = m.

Allora, l = m.

Teorema 58 Vale

lim xx0f(x) = l

se e solo se

lim xx0 f(x) l = 0

ossia, se (f(x) l) è un infinitesimo per x x0.

Teorema 59 Le funzioni che compaiono in questo teorema hanno il medesimo dominio. Valga

lim xx0f(x) = l , lim xx0g(x) = m .

Allora vale:

L’ultima affermazione si chiama ancora Teorema di confronto

Teorema 60 Sia ha:

Infine, enunciamo l’analogo del Teorema 42.

Teorema 61 Le due funzioni f(x) e g(x) abbiano lo stesso dominio. Se

lim xx0f(x) = 0

e g(x) è limitata in un intorno di x0, allora vale anche

lim xx0f(x)g(x) = 0.

Notiamo ancora che questo teorema non richiede che g(x) abbia limite finito, ma, grazie al teorema della limitatezza locale, vieta che abbia limite + oppure .

Relazioni tra limiti finiti e infiniti Sia

lim xx0|f(x)| +, lim xx0g(x) 0.

allora:

f(x) g(x) +,g(x) f(x) 0.

Invece, niente può dirsi in generale del prodotto di un infinito e di in infinitesimo e del quoziente di due infinitesimi, come si vede esaminando f(x)g(x) ed f(x)g(x) con

f(x) = xe      g(x) = 1x, oppure = 1x2, oppure = 1x.

2.1.3 Regole di calcolo e forme indeterminate

Abbiamo già visto le tabelle delle “regole di calcolo” che si usano quando nel calcolo di un limite compare il simbolo ±, e le “forme indeterminate”, ossia quei casi nei quali nessun teorema fornisce risposte generali. Le abbiamo viste per casi particolari della definizione di limite, ma esse si applicano a ciascuna delle definizioni. Per questo le ripetiamo nuovamente, nella tabella 2.8, inserendo per memoria nelle colonne delle regole e delle forme indeterminate due casi che incontreremo al paragrafo 2.3 e che nascono nel calcolare limiti di funzioni del tipo f(x)g(x).

La tabella è la 2.8 alla fine di questo capitolo

Spieghiamo come vanno intese le regole e le forme indeterminate di tipo esponenziale. Le formule di tipo esponenziale si incontrano calcolando limiti di funzioni della forma f(x)g(x). La tabella dice che se ambedue le funzioni tendono a +, anche f(x)g(x) + mentre se f(x) 1 e g(x) + niente può dirsi in generale: si ha una forma indeterminata. Le due regole

(+)+ = +,(+) = 0

sono state scritte nella medesima casella perché in realtà sono la medesima regola. Infatti, la regola (+)+ = + va intesa come

 se f(x) +g(x) +  allora lim f(x)g(x) = +.

Se g(x) e f(x) + allora

f(x)g(x) = 1 f(x)g(x) 0.

Infatti, il denominatore tende a + e quindi la frazione è un infinitesimo. In modo analogo si tratta 0, che si ottiene da f(x)g(x) con g(x) ed f(x) 0, con f(x) > 0 per poter definire la potenza. Per la stessa ragione, sono nella stessa casella le due forme indeterminate 00 ed 0. Naturalmente, l’uso della tabella richiede qualche cautela: per esempio, non si può calcolare il limite di 1f(x) se la funzione f(x) è identicamente nulla; non si può calcolare f(x)g(x) se f(x) è negativa. Ciò spiega perché nella tabella manca l’espressione formale ()0.

2.1.4 Ancora sulle definizioni di limite

Abbiamo dato quattro distinte definizioni di limite. Mostriamo ora che in realtà si tratta di un’unica definizione. Prima di tutto osserviamo che la definizione di limite per x x0 non si applica realmente alla funzione f(x) ma alla restrizione di f(x) a  domf(x) {x0}. Ovviamente, se x0 domf(x) la funzione rimane invariata. Consideriamo ora

lim xαf(x) = β

dove α e β possono essere numeri oppure i simboli + oppure . Ovviamente, ± non è un numero e quindi  domf(x) {±} =  domf(x). Per poter parlare di lim xα, dobbiamo richiedere che  domf(x) intersechi ogni intorno di α, sia che α sia un numero, sia che α = ± (in quest’ultimo caso, “intorno di ±” indica una semiretta x > a oppure x < a). Se questa condizione non vale, non si può parlare di lim xα. Supponiamo quindi che questa condizione valga. Allora,

lim xαf(x) = β

vuol dire che per ogni intorno di I(β) di β esiste un intorno V (α) di α con questa proprietà:

x V (α)  domf(x) {α} f(x) I(β).

Ossia, le quattro definizioni di limite possono riformularsi in modo unificato. E ciò spiega la ragione per cui le dimostrazioni dei teoremi nei quattro casi seguono le medesime idee.

2.1.5 Limiti di restrizioni di funzioni e limiti direzionali

Con α si indichi un numero oppure uno dei simboli + oppure e sia f(x) una funzione il cui dominio interseca ogni intorno di α in punti diversi da α se questo è un numero. Sia D  domf(x) un insieme che interseca ogni intorno di α in punti diversi da α se questo è un numero. Si può allora considerare la restrizione di f(x) a D e se ne può considerare il limite per x α. Per semplificare la notazione, poniamo

g(x) = f|D(x).

E’chiaro che:

Lemma 62 Se

lim xαf(x) = βcon β  oppure β = +β =

allora g(x) ha, per x α, il medesimo limite β: lim xαg(x) = lim xαf(x) = β.

Dim. La dimostrazione è ovvia: per ipotesi, per ogni I(β) (intorno di β) esiste V (α) (intorno di α) tale che se x V (α)  domf(x) {α} si ha f(x) I(β). In particolare, x V (α) D {α} = V (α)  domg(x) {α} implica g(x) = f(x) = V (β).  

Se però la funzione non ammette limite, certe sue restrizioni possono ammettere limite. Per esempio, sia f(x) = sin x e se ne consideri la restrizione all’insieme D = {kπ|k }. Questa restrizione, chiamiamola g(x), vale costantemente 0 e quindi essa ha limite 0 per x +, mentre f(x) = sin x non ha limite per x +. Consideriamo ora la restrizione di f(x) = sin x all’insieme D1 = {2kπ + π2|k }. Questa seconda restrizione, chiamiamola g1(x), vale costantemente 1 e quindi il suo limite per x + è 1. Si deduce che la funzione sin x non ha limite per x +: lo avesse, per il Lemma 62, ambedue le restrizioni dovrebbero avere il medesimo limite, uguale a quello di sin x. Questo è uno dei modi più semplici per mostrare che una funzione è priva di limite: trovarne restrizioni a insiemi diversi e che ammettono limiti diversi (si confronti con quanto si dirà al paragrafo 2.3.3). Supponiamo che una funzione sia definita nei due intervalli (a,x0) ed (x0,b). In x0 la funzione potrà essere definita o meno. Allora, per rappresentare il grafico della funzione, potrà convenire studiare separatamente le due restrizioni di f(x) a sinistra di x0, ossia per x (a,x0), ed a destra di x0, ossia per x (x0,b). I limiti per x x0 di tali restrizioni si chiamano i limiti direzionali di f(x) per x x0, rispettivamente da sinistra e da destra. Ossia, “limite sinistro”, rispettivamente “limite destro” di f(x) per x x0 sono i due limiti

lim xx0f|(a,x 0)(x), lim xx0f|(x0,b)(x).

Questi due limiti, se esistono, si indicano con simboli particolari:

lim xx0f|(a,x 0)(x)si indica con uno dei due simboli seguenti lim xx0f(x) oppuref(x0); lim xx0f|(x 0,b)(x)si indica con uno dei due simboli seguenti lim xx0+f(x) oppuref(x0+).

(a seconda degli autori, e delle esigenze di leggibilità, i segni e + si mettono ad esponente di x0 o semplicemente a destra di x0. Ovviamente, non si possono mettere a sinistra di x0). Scriviamo in modo esplicito la definizione di f(x0) ricordando che questa è la definizione di limite di una funzione definita solamente per x < x0. Considerando il caso del limite uguale ad l si ha:

𝜖 > 0δ > 0|x  domf(x),x0 δ < x < x0 |f(x) l| < 𝜖.

Si noti:

Se f(x) è definita solo a sinistra di x0 allora le due definizioni di lim xx0f(x) e di lim xx0f(x) coincidono. Analoga osservazione se il dominio di f(x) è contenuto in (x0, +).

I due limiti direzionali possono esistere, finiti o meno, oppure può esisterne uno solo. Se ambedue esistono, possono concidere o meno. Però vale l’asserto seguente (la prima affermazione è un caso particolare del lemma 62. La semplice dimostrazione della seconda si lascia per esercizio).

Teorema 63 Sia x0 (a,b) e  domf(x) (a,b) {x0}. Se esiste, finito o meno,

lim xx0f(x)

allora esistono i due limiti direzionali, ambedue uguali al limite. Se esistono ambedue i limiti direzionali, finiti o meno, e questi coincidono, allora esiste anche il limite di f(x) e vale

lim xx0f(x) = f(x0) = f(x0+).

Infine enunciamo:

Teorema 64 Esista, finito o meno, lim xx0f(x) = α. Se la funzione è pari, esiste lim xx0+f(x) e si ha

lim xx0+f(x) = α.

Se la funzione è dispari si ha

lim xx0+f(x) = α.

Se x0 = 0 e se la funzione è pari,

lim x0+f(x) = αimplica lim x0f(x) = αe quindi lim x0f(x) = α.

2.1.6 Gli infinitesimi: ricapitolazione

Abbiamo già detto che si chiama infinitesimo (per x ± oppure per x x0) una funzione che ammette limite uguale a zero. Tali funzioni sono di importanza centrale nelle applicazioni della matematica e inoltre si usano spesso per calcolare limiti finiti. Infatti, per verificare che f(x) l conviene spesso verificare che f(x) l 0. Per questo conviene ricapitolare le proprietà degli infinitesimi. Scriveremo genericamente x α per intendere x ± oppure x x0. Ricordiamo che un intorno di + (rispettivamente, di ) è una semiretta (a, +) (rispettivamente, (,a)). Una prima proprietà, ovvia, è la seguente. che si vede immediatamente perché la definizione di infinitesimo dipende dalle disequazioni

|f(x)| < 𝜖 :

Lemma 65 La funzione f(x) è un infinitesimo (per x α) se e solo se |f(x)| lo è.

Il risultato fondamentale è il seguente.

Teorema 66 Le funzioni che figurano in questo teorema hanno tutte il medesimo dominio. Valgono le seguenti proprietà:

a) se f(x) e g(x) sono due infinitesimi (per x α) anche f(x) + g(x) lo è;
b) siano f(x) e g(x) infinitesimi (per x α). Valga inoltre
f(x) h(x) g(x).

Allora anche h(x) è un infinitesimo (per x α).

c) Se f(x) è un infinitesimo (per x α) e g(x) è limitata in un intorno di α allora anche f(x)g(x) è un infinitesimo per x α.
d) Se |f(x)| è un infinito (per x α) allora 1f(x) è un infinitesimo (per x α).

Queste proprietà sono già state provate sia per α che per α = ±. L’asserto b) si chiama teorema del confronto L’asserto c) combinato col teorema della limitatezza locale ha il corollario seguente:

Corollario 67 Se f(x) è un infinitesimo (per x α) e inoltre lim xαg(x) = l allora f(x)g(x) è un infinitesimo (per x α ).

Infine, ricordiamo che il teorema del confronto si usa spesso in questa forma: si sa che

0 |h(x)| g(x), lim xαg(x) = 0.

Allora vale anche

lim xαh(x) = 0.

Infatti, si scelga f(x) 0, che è un infinitesimo (per x α). Il teorema del confronto dice che |h(x)| è un infinitesimo e ciò equivale a dire che h(x) è un infinitesimo.

2.1.7 Gli asintoti

Supponiamo che esista almeno uno dei due limiti direzionali f(x0) oppure f(x0+) e che questo sia infinito. In tal caso la retta verticale x = x0 si chiama asintoto verticale per la funzione f(x). Notiamo che niente vieta che ambedue i limiti direzionali esistano, e che siano infiniti, magari di segno opposto; o che uno solo esista, o che uno sia infinito e l’altro finito. Se accade che

lim x+f(x) = l

allora la retta orizzontale y = l si chiama asintoto orizzontale destro di f(x). Si dice che y = l è asintoto orizzontale sinistro se

lim xf(x) = l.

Nel caso che sia

l = lim xf(x) = lim x+f(x)

si dice che la retta orizzontale y = l è asintoto orizzontale bilatero. Consideriamo ora una retta

y = mx + n

e consideriamo lo scarto in verticale tra il punto del grafico e il corrispondente punto della retta; ossia consideriamo per ogni x la funzione

f(x) mx + n.

Se accade che questa funzione tende a zero per x +, la retta si chiama asintoto obliquo destro; se tende a zero per x si parla di asintoto obliquo sinistro e un asintoto obliquo sia destro che sinistro si chiama asintoto obliquo bilatero. Un modo per trovare i coefficienti m ed n è il seguente, che illustriamo per gli asintoti obliqui destri: prima si calcola m, dato da

m = lim x+f(x) x

nel caso in cui il limite esista e sia finito. Altrimenti l’asintoto obliquo non c’è. Calcolato m si calcola

n = lim x+f(x) mx,

ancora nel caso in cui il limite esista e sia finito. Altrimenti, non c’è asintoto obliquo. Calcolati m ed n, l’asintoto obliquo risulta identificato.

Si noti che l’asintoto orizzontale è il caso particolare dell’asintoto obliquo, nel caso del coeffciente angolare nullo, m = 0, ed n ±. Dunque, se si è trovato che esite l’asintoto orizzontale, l’asintoto obliquo (con m0) non esiste e non bisogna perdere tempo a ricercarlo.

E’ appena il caso di notare che un asintoto obliquo (destro) può esistere solo se

lim x+f(x) = +.

E quindi, se c’è asintoto obliquo, non c’è asintoto orizzontale. Si riadattino queste considerazioni al caso degli asintoti obliqui sinistri.

2.1.8 Alcuni errori concettuali importanti

Lo studio dei limiti inizia spesso nella Scuola Media Superiore, dove però l’accento è posto principalmente sulle funzioni razionali, ossia sui quozienti di polinomi, oltre che sulle funzioni goniometriche, esponenziali, logaritmo. Tali funzioni hanno alcune proprietà particolari, e lo studente si abitua a dare per scontate alcuni fatti che non valgono in casi più generali. Tra questi, due errori vanno sottolineati in modo particolare.

Errore 1) Se una funzione è definita su un intervallo aperto (a,b) ma non nell’estremo a, allora la funzione ha un asintoto verticale x = a. Quest’affermazione è vera per le funzioni razionali ed anche per le funzioni log x, tan x,  cotanx ma non è vera in generale. Ciò è mostrato all’esempio 68.
Errore 2) se x = x0 è un asintoto verticale per una funzione f(x), allora la funzione non è definita in x0. Quest’affermazione è vera per le funzioni razionali ed anche per le funzioni log x, tan x,  cotanx ma non è vera in generale. Ciò è mostrato all’esempio 69.

Esempio 68 Si consideri la funzione

f(x) = 21x2 .

Questa funzione è definita su {0}, però è limitata

0 21x2 1.

Dunque non è vero che lim x0|f(x)| = + e quindi x0 = 0 non è asintoto verticale. Si cerchi di provare per esercizio che vale

lim x021x2 = 0.

Il grafico di questa funzione è in figura 2.3, a sinistra. Un altro esempio importante è quello delle funzioni

f(x) = arctan 1 x,g(x) = arctan 1 x.

Anche queste funzioni sono definite su {0} e verificano

π 2 f(x) < π 2,0 g(x) π 2.

Quindi, il loro limite per x 0 non può essere infinito; ossia x = 0 non è asintoto verticale di queste funzioni. Il grafico della funzione g(x) è in figura 2.3, a destra.  



figure 2.2: Funzioni non definite in un punto, prive di asintoto verticale. Sinistra: f(x) = 21x2 (link) ; destra f(x) = | arctan(1x)| (link)

PIC PIC


Esempio 69 Ricordiamo che la definizione di limite (per x x0) non risente del valore della funzione in x0; e quindi il limite non cambia ridefinendo in modo arbitrario la funzione in x0. Per esempio, la funzione

f(x) = 1 |x| sex0 5  sex = 0

ammette asintoto verticale in x = 0, pur essendo definita in x = 0. Un esempio più naturale è il seguente. Si ricordi che la funzione mantissa è la funzione

M(x) = x [x],([] indica la parte intera).

sia x0 = 1 e sia

f(x) = M(x)1 = x 1 se0 x < 1 x 2  se 1 x < 2, 1 f(x) = 1 x1 se0 x < 1 1 x2  se1 x < 2.

Sia g(x) = 1f(x). Allora,

g(1) = 1, lim x1+g(x) = 1, lim x1g(x) = .

Questa funzione è definita in x0 = 1 e inoltre la retta x = 1 è asintoto verticale. Il suo grafico è in figura 2.3.  



figure 2.3: grafico di 1(M(x) 1)

PIC


2.1.9 Il numero e

E’ importante sapere che la funzione

h(x) = 1 + x1x

ammette limite per x 0. Il limite è un numero irrazionale che si indica col simbolo e (iniziale di Eulero1) ed è circa 2,7:

lim x0 1 + x1x = e,2, 718 < e < 2, 719.

Il numero e è quindi anche il limite della successione ottenuta segliendo x = 1n:

e = lim 1 + 1 nn.

Usando il teorema delle funzioni composte (che verrà trattato al paragrafo 2.3) si vede che

lim x0 1 x log a 1 + x = log ae.

In particolare, scegliendo a = e,

lim x0 1 x log e 1 + x = 1.

E’ per questa ragione che, se non altrimenti detto, i logaritmi che useremo sono sempre logaritmi in base e, e verranno indicati semplicemente col simbolo log x, omettendo l’indicazione della base. Talvolta si usa il simbolo ln x, dato che i logaritmi in base e si chiamano anche logaritmi naturali Analogamente, col termine funzione esponenziale si intende la funzione xex. Usando il teorema delle funzioni composte (si veda il paragrafo 2.3) e la definizione del numero e, si può mostrare che

lim x0ex 1 x = 1.

2.1.10 Limiti da ricordare

Elenchiamo i limiti che vanno imparati subito a memoria. Si chiamano2 “limiti notevoli” quelli della tabella 2.3.


Table 2.3: I “limiti notevoli”

lim x0 sin x x = 1 lim 1 + 1 n n = e lim x0 log 1 + x x = 1 lim x0ex 1 x = 1

I “limiti notevoli” hanno questo nome perché è da essi che si calcolano alcune delle derivate importanti. Ulteriori limiti da conoscere sono i seguenti.


Table 2.4: Ulteriori limiti

lim xx0 log x log x0 x x0 = 1 x 0 lim xx0ex ex0 x x0 = ex0 lim xx0 sin x = sin x0 lim xx0 cos x = cos x0 lim x+ log x xα = 0(per ogni α > 0) lim x0+xα log x = 0(per ogni α > 0) lim x+ex xα = +(per ogni α) lim x|x|αex = 0(per ogni α) lim an = 1(per ogni a > 0) lim nn = 1

lim x+ax = + se a > 1; 1 se a = 1; 0 se 0 a < 1; lim x+xa = + se a > 0; 1 se a = 0; 0 se a < 0 .

2.2 La continuità

Abbiamo bisogno della definizione seguente:

Definizione 70 Sia A . Si dice che x0 è punto isolato di A quando esiste in intorno I(x0) tale che A I(x0) = {x0}.

Dunque, ogni punto isolato di A è un punto di A e inoltre un punto non può essere contemporaneamente isolato e di accumulazione per A. Per esempio, 2 è punto isolato (e quindi non di accumulazione) di A = [0, 1] {2}. Veniamo ora alla definizione di continuità. Per poter parlare di continuità di una funzione in un punto x0 è necessario che x0 appartenga al dominio della funzione3. Sia quindi f(x) una funzione il cui dominio contiene un punto x0.

Definizione 71 la funzione f(x) è continua in x0 quando si verifica uno dei due casi seguenti:

Si dice che f(x) è continua da destra in x0 quando è continua la funzione f|[x 0,+). Analoga definizione per la continuità da sinistra

Osservazione 72 La scelta di definire “continua” una funzione nei punti isolati del dominio può sembrare bizzarra. Ne vedremo tra poco l’utilità. Notiamo però subito una conseguenza: ogni successione è continua in ciascun punto del suo dominio.  

La definizione di continuità può darsi in modo “unificato” come segue: f(x) è continua in x0 quando4

𝜖 > 0δ > 0 : |x x0| < δ x  domf(x) |f(x)f(x0)| < 𝜖.

Questa sembra la definizione di limite, ma non è così: non abbiamo richiesto che x0 sia punto di accumulazione di  domf(x); e, se x0 è punto isolato, l’unico punto di  domf(x) che verifica |x x0| < δ è, per δ abbastanza piccolo, il solo punto x0. Notare che la definizione di limite richiede anche di imporre xx0, condizione che nel contesto della definizione di continuità si può omettere perché 0 = |f(x0) f(x0)| è automaticamente minore di 𝜖, che è positivo. Dunque, se x0 è punto di accumulazione di  domf(x) allora f(x) è continua in x0 se e solo se

lim xx0f(x) = f(x0).

Vale il teorema seguente:

Teorema 73 Siano f(x) e g(x) due funzioni continue in x0. Le funzioni seguenti sono continue in x0:

Se g(x0)0, è continua in x0 anche la funzione f(x)g(x).

Dim. Esaminiamo il caso della somma: se x0 è punto isolato per il dominio di f(x) + g(x) allora questa funzione è continua in x0. Altrimenti, x0 è punto di accumulazione per il dominio f(x) + g(x) e per la restrizione a  dom f(x) + g(x) sia della prima funzione f(x) che di g(x). Dunque i teoremi sui limiti mostrano che

lim xx0 f(x) + g(x) = lim xx0f(x) + lim xx0g(x) = f(x0) + g(x0).

Osservazione 74 Si noti che può darsi che x0 sia punto di accumulazione sia di  domf(x) che di  domg(x) ma non del dominio della somma. Si consideri l’esempio

f(x) = x,g(z) = x.

Ambedue le funzioni sono continue in x0 = 0, con 0 punto di accumulazione dei domini, ma la funzione somma

f(x) + g(x) = x + x

è definita nel solo punto 0. Se non si definisce “continua” una funzione nei punti isolati del dominio, non si può affermare che la somma di funzioni continue è continua. Questa è la ragione per cui abbiamo dato la definizione 71.  

In modo analogo si provano anche i risultati seguenti:

Teorema 75 Sia x0 (a,b)  domf(x). La funzione f(x) è continua in x0 se e solo se è continua sia da destra che da sinistra in x0.

Teorema 76 (limitatezza locale e permanenza del segno) Se f(x) è continua in x0 allora:

Dim. La funzione f(x) è continua in x0 quando per ogni 𝜖 > 0 esiste δ = δ𝜖 > 0 tale che ogni x (x0 δ𝜖,x0 + δ𝜖), incluso il punto x0, si ha

f(x0) 𝜖 < f(x) < f(x0) + 𝜖.

L’asserto relativo alla limitatezza locale segue scegliedo, per esempio, 𝜖 = 1. L’asserto relativo alla permanenza del segno si ottiene (quando f(x0) > 0) scegliendo per esempio 𝜖 = f(x0)2. con questa scelta, si trova un intorno di x0 su cui vale f(x) > 1 2f(x0): il numero β cercato è β = 1 2f(x0) > 0.  

Osservazione 77 Si noti la differenza di quest’enunciato da quello del teorema relativo ai limiti di funzioni, che potrebbero essere discontinue in x0. Se f(x) non è continua in x0, la conoscenza del limite niente permette di concludere sul segno di f(x0).  

Infine:

Definizione 78 Una funzione continua in ciascun punto di un insieme A si dice “continua su A”. Se A =  domf, la funzione si dice “continua sul suo dominio” o anche semplicemente “continua”. Per dire che f(x) è continua su un insieme A si scrive f(x) C(A) o talvolta f(x) C0(A).

2.2.1 Classificazione delle discontinuità

Sia f(x) definita in x0, ma non continua. Il punto x0 si dice:

Il termine “discontinuità eliminabile” (o discontinuità rimuovibile) si spiega da solo: cambiando la definizione della funzione nel solo punto x0, e ridefinendo

g(x) = f(x)  sexx0 lim xx0f(x) sex = x0,

si trova una funzione continua.

Non si esclude che uno dei due limiti possa coincidere col valore della funzione; ossia che la funzione sia continua o da destra o da sinistra.

Infine, consideriamo una funzione f(x) che non è definita in x0. Supponiamo però che esista finito

l = lim xx0f(x).

In questo caso, la funzione

g(x) = f(x) sexx0 l  sex = x0

è continua: è l’unica estensione per continuità di f(x) ad x0.

Osservazione 79 Se x0 domf(x) è un punto di accumulazione per  domf(x), l’estensione per continuità di f(x) ad x0 se esite è unica, ma possono esitere estensioni per continuità non uniche ad insiemi più grandi. Per esempio

 sef(x) = (sin x)x allora lim x0f(x) = 0.

La funzione f(x) ammette infinite estensioni continue ad , ma tutte assumono il valore 0 in x0 = 0. Se si vuole l’estensione continua a [0, +) questa è unica.  

2.2.2 Continuità di alcune funzioni importanti

Sono continue le funzioni della lista seguente, ovviamente nei punti in cui sono definite:

Vediamo in particolare come si tratta il caso delle funzioni goniometriche.

Limiti e continuità di funzioni goniometriche

Ricordiamo che gli angoli si misurano in radianti, ossia che la misura dell’angolo al centro di una circonferenza di raggio 1 è uguale alla lunghezza dell’arco che l’angolo identifica sulla circonferenza. Proviamo che per |x| < π2:

Le funzioni x, sin x e tan x sono dispari e quindi basta provare le disuguaglianze per x [0,π2). La figura 2.4 illustra la definizione di sin x e tan x: la circonferenza ha raggio 1 e l’angolo al centro ha misura x, ossia x è la lunghezza dell’arco che congiunge i punti C ad A, disegnato rosso. In tal caso, sin x è la lunghezza del segmento CA¯, disegnato rosso e tan x è la lunghezza del segmento DA¯, disegnato fucsia.



figure 2.4: Definizione di sin x e tan x

Sia P = ( x , y ) , x , y > 0 un punto sulla circonferenza trigonometrica e sia α l'angolo individuato dall'asse delle ascisse e dalla retta r congiungente l'origine con il punto P . Si definisce s i n α : = y . Sia Q = ( x Q , y Q ) il punto di intersezione tra la retta r e la retta x = 1 ; si definisce tan α : = y Q .

PIC


Si sa che in una circonferenza un arco è più lungo del segmento che ne congiunge gli estremi: l’arco che congiunge C ed E è più lungo del segmento CE¯, ossia dividendo per 2

0 x π2 sin x x. (2.10)

Il settore circolare ACO è contenuto nel triangolo rettangolo ADO e quindi ha area più piccola. Calcolando le aree si trova

1 2 1 x < 1 2 1 tan x

ossia,

0 x < π2x tan x. (2.11)

Conseguenza di queste disuguaglianze: la funzione sin x è continua per x 0. Infatti, il teorema del confronto applicato a

0 | sin x||x|

mostra che

lim x0 sin x = 0.

Combinando questo con le formule di prostaferesi

sin x sin x0 = 2 cos x + x0 2 sin x x0 2 cos x cos x0 = 2 sin x + x0 2 sin x x0 2

segue che le funzioni sin x e cos x sono continue. Infatti per sempio si ha

0 cos x cos x0 = 2 sin x + x0 2 sin x x0 2 |x x0|

e, per il teorema del confronto, lim xx0 cos x = cos x0. In particolare,

lim x0 cos x = 1. (2.12)

Dunque anche le funzioni tan x e  co tan x sono continue. Proviamo ora che

lim x0 sin x x = 1.

La funzione sin xx è pari e quindi basta calcolarne il limite destro per x tendente a 0. Le disuguaglianze (2.10) e (2.11) implicano (ricordiamo che si lavora per x (0,π2))

0 sin x x tan x.

Dividendo per sin x si trova

1 x sin x 1 cos x.

Usando (2.12), il teorema di confronto implica che

lim x0 x sin x = 1e quindi lim x0 sin x x = 1.

2.3 Limiti di funzioni composte

Siano f(y) e g(x) due funzioni tali che  domf(y)  img(x) cosìche si può calcolare la funzione composta f(g(x)). Supponiamo inoltre che sia

lim xx0g(x) = l, lim ylf(y) = m. (2.13)

Ci si può chiedere se sia vero che

lim xx0f(g(x)) = m. (2.14)

La risposta è in generale negativa. E’ positiva se si impongono ulteriori condizioni. Vale infatti:

Teorema 80 Sia x0 punto di accumulazione per il dominio della funzione composta f g. Sia  domf(y)  img(x) e valga

lim xx0g(x) = l, lim ylf(y) = m.

Supponiamo inoltre che valga una delle tre condizioni seguenti:

  1. f(y) sia continua (e quindi definita) in l;
  2. g(x) non prenda il valore l;
  3. la funzione f(y) non sia definita il l.

Allora si ha

lim xx0f(g(x)) = m.

Osservazione 81 Il teorema precedente vale anche se l domf(x) e vale anche se uno o ambedue i limiti l e m sono ±. Se però l  domf(x) allora la condizione che g(x) non prenda il valore l non può eliminarsi. Infatti, senza questa condizione può essere che il limite della funzione composta esista ma diverso da quello di f(x) oppure che non esista, come provano i due esempi seguenti. In ambedue gli esempi,

f(y) = | sgn(y)|,l = 0, lim ylf(y) = lim y0f(y) = 1 = m.

Consideriamo ora i due esempi:

Esempio 1) sia x0 = 0. La funzione g(x) è

g(x) = 0cosíche lim x0g(x) = 0.

Per ogni x si ha

f(g(x)) = 0e quindi lim x0f(g(x)) = 0m = 1.

In quest’esempio, il limite della funzione composta esiste, diverso da quello di f(y).  

Esempio 2) E’ ancora x0 = 0 ma la funzione g(x) è

g(x) = x sin(1x)cosìche lim x0g(x) = 0 = l.

La funzione f(g(x)) =  sgn x sin(1x) è priva di limite per x 0. Infatti, il limite non può essere nè positivo nè negativo per il teorema di permanenza del segno, dato che la funzione si annulla in ogni intorno di 0 (infatti si annulla quando xk = 1 2kπ). E però il limite non può essere 0 perchè la funzione prende valore +1 in ogni intorno di 0.  

Corollario importante del teorema 80 è:

Corollario 82 Una funzione composta di funzioni continue è continua.

Quando f(y) è continua nel punto l,

l = lim yy0f(y) = f(y0),

l’asserto del teorema 80, ossia

lim xx0f(g(x)) = f(l),

può scriversi

lim xx0f(g(x)) = f(y0) = f(lim xx0g(x)). (2.15)

Ossia, se f(y) è continua in y0, il simbolo di lim xx0 si scambia col simbolo della funzione f. L’esempio seguente mostra che l’uguaglianza (2.15) è falsa se la funzione f(y) non è continua in y0.

Esempio 3) Sia f(y) = [y] (la parte intera di y) e sia g(x) = 1 x2. Si consideri il limite per x 0. In un intorno di 0 si ha che y = g(x) prende valore tra 0 ed 1, ed il valore 1 viene assunto solamente per x = 0. Inoltre

lim x0g(x) = l = 1.

Dunque, per x in un intorno di 0, escluso 0,

[g(x)] = 0e quindi lim x0[g(x)] = 0.

Di conseguenza,

lim x0[g(x)] = 01 = lim x0g(x) .  

Illustriamo ora l’uso di questi risultati, che è sia “in positivo”, per garantire la continuità e l’esistenza di limiti, che “in negativo”, per verificare che certi limiti non esistono.

2.3.1 Le sottosuccessioni e i loro limiti

Sia {xn} una successione e sia kn(k) una successione a valori nei numeri naturali. In questo caso è possibile considerare la funzione composta kxn(k), che è ancora una successione, di indice k. “Successioni composte” definite in modo cosígenerale hanno poco interesse. E’ invece importante il caso in cui la successione

kn(k)ossia la successione{nk}è strettamente crescente.

In questo caso la successione composta si chiama sottosuccessione di {xn} (si dice anche che è una “successione estratta” da {xn}) e si indica col simbolo

xnk .

Il teorema delle funzioni composte implica che:

Teorema 83 Se L = lim xn allora si ha anche L = lim xnk per ogni sottosuccessione di {xn}.

Osserviamo che si potrebbe anche far vedere che vale il viceversa: si ha lim xn = L se e solo se lim xnk = L per ogni sottosuccessione di {xn}.

2.3.2 Risultati “in positivo”: calcolo di limiti per sostituzione

Come si è detto, la funzione composta di funzioni continue è continua. Quindi sono funzioni continue in ciascun punto del loro dominio per esempio le funzioni della tabella 2.5 (nella quale p(x) e q(x) indicano generici polinomi).



Table 2.5: Esempi di funzioni composte
sin log ax log a sin x tan log ax log a tan x log p(x) q(x) sin ax asin x sin x sin x log |x| sin x sin x2 ex log x log |x|

Le funzioni della tabella sono solo alcuni degli esempi di funzioni la cui continuità segue immediatamente usando il Corollario 82. La tabella va letta in questo modo. Consideriamo per esempio la prima funzione, sin log ax. La funzione7 log ax è definita per x > 0 e prende valori nel dominio di sin y. Dunque la funzione composta è definita per ogni x > 0. Sia log ax che sin y sono funzioni continue, e quindi sin log ax è una funzione continua. Consideriamo la seconda funzione, log a sin x. Appartengono al suo dominio le sole x per le quali sin x è positivo. Ambedue le funzioni sin x e log y sono continue; e quindi la funzione composta è continua. Guardiamo ancora la seconda funzione della tabella, log a sin x, ma questa volta per x 0. Il punto y = 0 non appartiene al dominio di log y ed è

lim x0 sin x = 0e lim y0 log y = .

Dunque, il Teorema 80 permette di affermare che

lim x0 log a sin x = .

In certi casi, il teorema 80 permette di calcolare i limiti per sostituzione ossia sostituendo alla variabile y una funzione invertibile ossia iniettiva e suriettiva y = g(x) che semplifichi la funzione da studiare, tale che la sua funzione inversa g1(y) verifichi le ipotesi del teorema. Infatti, se

lim xαg(x) = l, lim xαf(g(x)) = m

allora

m = lim ylf(g(g1(y))) = lim ylf(y).

Vediamo un esempio:

Esempio 84 Si voglia calcolare

lim x+1 x log xlog x.

La sostituzione log x = t mostra che questo limite è uguale a

lim t+tt et = lim t+t et = +.  

2.3.3 Risultati “in negativo”

Il Teorema 80 si può applicare quando in particolare la funzione più interna ha dominio , ossia è una successione. In tal caso l’enunciato del teorema si riformula come segue:

Teorema 85 Sia

lim n+xn = α, lim xαg(x) = β

(con i limiti α e β finiti o meno) e sia xn  domg(x) per ogni n. Nel caso in cui α assumiamo che g(x) sia continua in α oppure che α non sia uno dei valori della successione. Allora,

lim n+g(xn) = β.

Questo teorema si usa più spesso “in negativo”: se si trovano due successioni {xn} e {ξn} ambedue convergenti ad α (che non prendono valore α) tali che

lim n+g(xn) lim n+g(ξn),

allora non esiste lim xαg(x) (si confronti con quanto detto al paragrafo 2.1.5). Consideriamo ora la funzione

sin log ax,a > 1.

Vogliamo provare che questa funzione non ammette limite per x 0. Per questo consideriamo le due successioni cosìdefinite:

log axn = 2nπ,ossia xn = a2nπ, log aξn = (2nπ + π2),ossia ξn = a2nπ+π2.

Si noti che, essendo a > 1, si ha: lim xn = 0, lim ξn = 0 e inoltre

lim n+ sin log axn = 0 lim n+ sin log aξn = 1.

Dunque,

lim x0 sin log axnon esiste.

In modo analogo si tratta il caso a (0, 1). Queste osservazioni possono in particolare applicarsi per mostrare che non esiste il limite di certe successioni. Per esempio, il limite della successione {xn} = {sin nπ2} non esiste. Infatti consideriamo le due sottosuccessioni

{x2n},{x2n+1}.

La prima converge a 0 mentre la seconda converge ad 1 e quindi la successione {xn} è priva di limite (si veda anche il Teorema 83).

Regole di calcolo e forme indeterminate di tipo esponenziale

Si voglia studiare il comportamento della funzione

f(x)g(x).

Il modo più semplice per farlo consiste nello scrivere la funzione come

f(x)g(x) = eg(x) log f(x);

studiare il comportamento dell’esponente ed usare il teorema della funzione composta. Per esempio, se

f(x) +,g(x) +

allora

g(x) log f(x) +e quindif(x)g(x) = eg(x) log f(x) = +.

Se però

f(x) 1,g(x) +,g(x) log f(x) è una forma indeterminata

e cosìnasce la forma indeterminata 1+. Analoga origine hanno le altre “regole” o “forme indeterminate” di tipo esponenziale.

2.4 Le funzioni iperboliche

Si chiamano funzioni iperboliche la funzioni

sinh x = ex ex 2 , cosh x = ex + ex 2 .

I grafici di queste funzioni sono riportati in figura 2.6, a sinistra.



figure 2.6: I grafici delle funzioni iperboliche. Sinistra: le funzioni sinh x e cosh x; destra: le funzioni tanh x e cotghx

PIC PIC


Si definiscono quindi le funzioni

tanh x = sinh x cosh x = ex ex ex + ex, cotghx = cosh x sinh x = ex + ex ex ex.

I grafici sono in figura 2.6, a destra. Spieghiamo la ragione del termine “funzioni iperboliche”. Le “funzioni circolari” sono le usuali funzioni goniometriche sin x e cos x. Si chiamano “funzioni circolari” perché la coppia (x,y) = (cos 𝜃, sin 𝜃) verifica l’equazione della circonferenza

x2 + y2 = 1;

e, viceversa, ogni punto della circonferenza trigonometrica si rappresenta come (cos 𝜃, sin 𝜃). Le funzioni iperboliche hanno questo nome perché la coppia (x,y) = (cosh 𝜃, sinh 𝜃) verifica l’equazione dell’iperbole equilatera

x2 y2 = 1

e, viceversa, ogni punto di quest’iperbole ha coordinate (cosh x, sinh x) per un’opportuna scelta di x. La verifica è immediata calcolando i quadrati di cosh 𝜃 e sinh 𝜃 e sottraendo.

Questa formula va ricordata:

cosh 2x sinh 2x = 1.

Dal punto di vista dei limiti, si ha:





x +x x 0x x00




sinh x +sinh x sinh x 0sinh x sinh x0




cosh x +cosh x +cosh x 1cosh x cosh x0




tanh x 1tanh x 1tanh x 0tanh x tanh x0




 cotghx 1 cotgh x 1| cotghx| + cotghx  cotanhx0




Dunque, le funzioni iperboliche sono continue. Le funzioni sinh x e tanh x sono strettamente crescenti e quindi invertibili. Ammettono funzioni inverse che si chiamano settore seno iperbolico e settore tangente iperbolica Le funzioni cosh x e  cotanghx sono strettamente crescenti su [0, +). Le funzioni inverse delle loro restrizioni a tale intervallo si chiamano settore coseno iperbolico e settore cotangente iperbolica Queste quattro funzioni si indicano con i simboli  settshx  settch x  sett thx e  settcthx. I grafici delle quattro funzioni inverse sono in figura 2.7.



figure 2.7: Le funzioni iperboliche inverse. Sinistra: le funzioni shx e scx; destra: le funzioni stx e sctx

PIC PIC


2.5 Confronto di funzioni

In presenza di forme indeterminate, in particolare quando si debba calcolare il limite di un quoziente, si cerca di individuare, se esistono, i “termini dominanti”, come nei due esempi seguenti:

Esempio 86 Si voglia calcolare

lim x0x2 3x x3 x .

E’ chiaro che per x “prossimo a 0” sia x2 che x3 saranno via via meno importanti rispetto ad x. Quindi scriveremo, per x0

x2 3x x3 x = 3x x 1 x3 1 x2 = 31 x3 1 x2

e da qui si vede facilmente che

lim x0x2 3x x3 x = 3.

D’altra parte, sia da calcolare

lim x+x2 3x x3 x .

In questo caso dominano a numeratore l’addendo x2 ed a denominatore l’addendo x3. Quindi scriveremo

x2 3x x3 x = x2 x3 1 3x 1 1x2 = 1 x 1 3x 1 1x2

e quindi

lim x+x2 3x x3 x = 0.  

Vogliamo introdurre delle definizioni che permettano di seguire quest’idea in casi più generali di quelli dell’esempio precedente. Per questo si considerano due funzioni f(x) e g(x) (con lo stesso dominio). Supponiamo inoltre g(x) non zero. Si dice che f è o piccolo di g (per x tendente a α) se accade che

lim xαf(x) g(x) = 0.

Come notazione, si scrive

f =  o(g)

Si noti che la notazione “o” non fa comparire α. La definizione riguarda il limite per x α, ma chi sia α va dedotto dal contesto. Ovviamente, in un breve esercizio ciò sarà impossibile e α andrà esplicitamente specificato.

In questa definizione, non si richede che f oppure g siano infiniti o infinitesimi. Per esempio, se g(x) 1, la notazione

f =  o(1) significa lim xαf(x) = 0.

Ossia, si scriverà

f =  o(1)

per scrivere che f(x) è un infinitesimo per x α. Però, a parte questo singolo caso, di regola l’uso del simbolo di Landauo” si incontra quando le due funzioni sono infiniti o infinitesimi per x α, ossia come si dice, sono infiniti o infinitesimi contemporanei. L’interpretazione del significato del simbolo di Landau varia a seconda che si lavori con infiniti oppure con infinitesimi. Infatti:

Siano f(x) e g(x) due infiniti per x α. Allora, la condizione

lim xαf(x) g(x) = 0
intuitivamente significa che f(x) diverge più lentamente di g(x). Per questo, quando f =  o(g) ed f(x) e g(x) sono infiniti si dice che f(x) è infinito di ordine inferiore a g(x) o che g(x) è infinito di ordine superiore ad f(x) (sottinteso: per x α).

Invece:

Siano f(x) e g(x) due infinitesimi per x α. Allora, la condizione

lim xαf(x) g(x) = 0
intuitivamente significa che f(x) tende a zero più velocemente di g(x). Per questo, quando f =  o(g) ed f(x) e g(x) sono infinitesimi si dice che f(x) è infinitesimo di ordine superiore a g(x) o che g(x) è infinitesimo di ordine inferiore ad f(x) (sottinteso: per x α).

Per esercizio, passando ai reciproci, si riformulino le due proprietà appena esaminate supponendo che |f(x)g(x)| +. Se accade che

lim xαf(x) g(x) = l ,l0 (2.16)

si dice che i due infiniti (o infinitesimi) f(x) e g(x) hanno lo stesso ordine di grandezza (brevemente, diremo che “hanno lo stesso ordine”) per x α e scriveremo

f gsottinteso, per x α

Se il limite in (2.16) non esiste, si dice che i due infiniti o infinitesimi f(x) e g(x) non sono confrontabili per x α. Se invece il limite esiste, finito o meno, si dice che essi sono confrontabili Siano ancora f(x) e g(x) due infiniti oppure due infinitesimi (per x α). Si dice che essi sono equivalenti se

f(x) = g(x) +  o(g).

In tal caso si scrive

f g,

al solito sottintendendo “per x α”. Dividendo i due membri per g(x) e passando al limite, si vede che

Teorema 87 I due infiniti o infinitesimi contemporanei f(x) e g(x) sono equivalenti (per x α) se e solo se

lim xαf(x) g(x) = 1.

D’altra parte,

lim xαf(x) g(x) = 1 lim xα g(x) f(x) = 1.

Dunque,

Corollario 88 Vale f g se e solo se g f e ciò accade se e solo se

g(x) = f(x) +  o(f).

Infine, può accadere che esistano numeri reali c e γ con c0 e tali che

f(x) c[g(x)]γ.

In questo caso si dice che:

Osservazione 89 Va notato che due infinitesimi o infiniti possono essere confrontabili, senza che esista l’ordine dell’uno rispetto all’altro, ossia senza che esista la parte principale dell’uno rispetto all’altro. Per fare un esempio, consideriamo le due funzioni

f(x) = log x,g(x) = x.

Si tratta di due infiniti per x + e usando i risultati nella tabella 2.4 si vede che

lim x+f(x) g(x) = 0.

Dunque i due infiniti sono confrontabili, e g(x) è di ordine superiore rispetto ad f(x). Però, ancora dalla tabella 2.4, si vede che

lim x+ f(x) gα(x) = lim x+ log x xα = 0  seα 0 +  se α < 0.

Quindi, non esiste l’ordine di log x rispett a g(x) = x e dunque nemmeno la parte principale.  

Simboli di Landau

I simboli , ed  o si chiamano simboli di Landau dal nome del matematico tedesco che li ha introdotti. Esistoni altri simboli di Landau. In particolare si dice che f è O grande di g (per x α) se esiste M ed un intorno I di α tale che

x I|f(x)| < M|g(x)|.

Se ciò accade si scrive

f =  O(g).

Si noti un caso particolare: se esiste finito

lim xαf(x) g(x) = l

allora f =  O(g) (in un opportuno intorno di α). Infine, un’osservazione sul significato del simbolo . Di questo abbiamo dato una definizione assai particolare. Specialmente in testi di fisica, si scrive f g quando esistono m > 0 ed M tali che

m|g(x)||f(x)| M|g(x)|

almeno in un intorno di un sottinteso α, senza richiedere l’esistenza del limite in (2.16).

2.5.1 Infiniti e infinitesimi di confronto fondamentali e formule da ricordare

Se non c’è ragione di fare diversamente, usa confrontare un infinito o un infinitesimo f(x) con funzioni gx) particolari, dette gli infiniti o gli infinitesimi di confronto fondamentali. Questi sono riportati nella tabella 2.6.



Table 2.6: Infiniti e infinitesimi di confronto fondamentali
x tende a infinito fondamentale infinitesimo fondamentale 0 1 |x| |x| x0 1 |x x0| |x x0| + x 1 x |x| 1 |x|

Alcuni dei limiti elencati al paragrafo 2.1.10 si possono riformulare come segue: Ciascuno degli infiniti seguenti è di ordine minore del successivo:

{log n},{nb},{an},({n!},{nn}
perché
lim log n na = 0se a > 0; lim nb an = 0 se a > 1b > 0; lim an n! = 0se a > 1; lim n! nn = 0.

Formule di MacLaurin Vanno ricordate subito le formule della tabella 2.7, che sono casi particolari della formula di MacLaurin che si studierà più avanti. Le ultime due righe della tabella si riferiscono a funzioni probabilmente note ad alcuni studenti, ma non a tutti. Esse verranno introdotte al paragrafo 2.4. Per interpretare le formule di MacLaurin, vanno conosciuti i simboli seguenti:

Per definizione, 0! = 1 ed 1! = 1. Il simbolo n! per n > 1 si definisce per ricorrenza:

n! = n(n 1)!;

e quindi,

2! = 2 1! = 2 1 = 2,3! = 3 2 1 = 6,4! = 4 3 2 1 = 24,

Per definizione,

γ 0 = 1, γ 1 = (γ 0) 1! = γ 1

Quindi si definisce

γ k = γ(γ 1)(γ 2) γ (k 1) k! .

Per esempio,

12 2 = (12) (12) 1 2! = 1 4 1 2 = 1 8 12 3 = (12) (12) 1 (12) 2 3! = 3 8 1 6 = 1 16.

Si noti che se γ = n, intero positivo, allora

n n = 1, n n + 1 = 0

e quindi

n k = 0,k > n.

Ciò detto, le formule da ricordare sono nella tavola 2.7.


Table 2.7: Formule di MacLaurin da usare quando (x 0

a) sin x = x x3 3! + x5 5! + + (1)k x2k+1 (2k+1)! +  o(x2k+2) b) cos x = 1 x2 2! + x4 4! + + (1)k x2k (2k)! +  o(x2k+1) c) tan x = 1 x2 2! + x4 4! + + (1)k x2k (2k)! +  o(x2k+1) d) tan x = x x3 3 + x5 5 + + (1)nx2n+1 2n+1 +  o(x2n+2) e) (1 + x)γ = k=0nγ kxk +  o(xn) f) log e(1 + x) = x x2 2 + x3 3 + + (1)(n1)xn n +  o(xn) g) ex = 1 + x 1! + x2 2! + + xn n! +  o(xn) h) sinh x = x + x3 3! + x5 5! + + x2k+1 (2k+1)! +  o(x2k+2) i) cosh x = 1 + x2 2! + x4 4! + + x2k (2k)! +  o(x2k+1)

La formula e) si chiama formula del binomio o formula di Newton Nel caso particolare in cui γ sia intero, γ = n, allora

(1 + x)n = k=0nn kxk +  o(xn) = k=0n+1n kxk +  o(xn+1)

perché si è visto che n n+1 = 0. In questo caso vale di più: si ha

(1 + x)n = k=0nn kxk; (2.17)

ossia, in questo caso l’errore  o(xn) è in realtà identicamente zero8. Anche la formula (2.17) si chiama formula di Newton

2.6 Appendice: ancora sulla formula del binomio di Newton

Consideriamo due casi particolari della formula binomiale:

2.7 Alcuni esercizi

  1. Spiegare perché l’affermazione seguente è falsa: se x0 non è punto di accumulazione di A, allora è punto isolato di A.
  2. Usando opportuni esempi, provare che ambedue le affermazioni seguenti sono sbagliate: 1) la funzione f(x) è continua in x0 se lim xx0f(x) = lim xx0+f(x); 2) la funzione f(x), definita in x0, è continua in x0 se lim xx0f(x) = lim xx0+f(x).
  3. In ciascuna delle coppie di uguaglianze seguenti, una è corretta e l’altra sbagliata. Si spieghi il motivo.
    lim x log x2 = lim x2 log x lim x log x2 = lim x2 log |x| lim xx2 = lim x2x lim xx2 = lim x2|x|.

    Se invece il limite è per x +?

  4. Sia
    pn = 1 1 2 1 31 n.

    Mostrare che

    lim n+pn = 0.

  5. Sia
    sn = 1 + q + q2 + + qn.

    Si studi lim n+sn, per ogni valore del parametro reale q (si ricordi la (1.6)).

  6. Dire se esiste f(x), definita su , positiva e con lim x+f(x) < 0. Giustificare la risposta.
  7. Si consideri l’insieme A = n=2+(1n, 1(n 1)). Calcolare sup A ed inf A e trovare due successioni, {an} e {bn}, a valori in A e tali che
    lim n+an = inf A, lim n+bn = sup A.

  8. L’insieme A è ancora quello dell’esercizio 7. Si dica se si possono trovare successioni {an} e {bn} per cui vale
    lim n+an = inf A, lim n+bn = sup A

    ma che non prendono valori in A.

  9. Sia A l’insieme dell’esercizio 7 e sia B = {1} A. Dire se esistono successioni {an} e {bn} a valori in A e tali che
    lim n+an = inf B, lim n+bn = sup B.

    Spiegare come cambia la risposta se invece si chiede che le successioni abbiano valori in B.

  10. ()  Dire se esiste una funzione positiva, priva di limite per x 0 e illimitata in ogni intorno di 0.
  11. Tracciare qualitativamente il grafico della funzione
    f(x) = 1 [sin 2x]

    ([] indica la parte intera) e, se esiste, calcolarne il limite per x +.

  12. ()  Trovare una funzione pari ed una funzione dispari, limitate e prive di limite per x 0.
  13. Mostrare che se f(x) è pari e se lim x0+f(x) = l allora si ha anche lim x0f(x) = l. Cosa accade se la funzione è dispari?
  14. Dire se esiste una funzione periodica dotata di limite per x +.
  15. Sia f(x) una funzione periodica tale che lim x+|f(x)| = 1. Dire se f(x) è costante.
  16. Sia f(x) una funzione dispari che ha un salto per x = 0. Provare che x = 0 è discontinuità eliminabile di |f(x)|.
  17. Si trovi una funzione f(x) definita su [1, 1] e non costante, tale che
    lim xx0f(x) = 1per ogni x0 [1, 1]

  18. ()  Si trovi una funzione definita su (0, 1], che ha infiniti punti di discontinuità e tale che lim xx0f(x) = 0 per ogni x0 (0, 1].
  19. ()  Dire se esiste una funzione illimitata su (0, 1] e tale che lim xx0f(x) = 0 per ogni x0 (0, 1].
  20. ()  Dire se esiste una funzione definita su , illimitata e tale che per ogni x0 si abbia:
    lim xx0f(x) = 1.

  21. ()  Siano f(x) e g(x) definite su [0, +) e sia f(x) > g(x) > 0. Si tracci il grafico della funzione ϕ(x) tale che
    ϕ(2n) = g(2n),ϕ(2n + 1) = f(2n + 1)

    e il cui grafico negli altri punti è ottenuto congiungendo successivamente (2n,ϕ(2n)) e (2n + 1,ϕ(2n + 1)) mediante segmenti di retta. Quindi:

    1. supponiamo che f sia un infinito di ordine superiore a g. Mostrare che non è vero che ϕ è un infinito di ordine superiore a g.
    2. ()  Si faccia un esempio per provare che le disuguaglianze seguenti possono non valere nemmeno se le due funzioni f(x) e g(x) sono strettamente crescenti:
      g(x) ϕ(x) f(x); (2.19)
    3. ()  si mostri che le disuguaglianze (2.19) valgono se le due funzioni f(x) e g(x) sono convesse;
    4. si provi che se lim x+f(x) = lim x+g(x) = α (finito o meno) si ha anche lim x+ϕ(x) = α (l’asserto vale sempre, ma si prova più facilmente se le funzioni sono strettamente convesse);
    5. si provi che se f g allora si ha anche ϕ f e quindi ϕ g (l’asserto vale sempre, ma si prova più facilmente se le funzioni sono strettamente convesse).
    6. ()  Sia f(x) > g(x) > 0 per x > 0. Le due funzioni siano strettamente crescenti ed illimitate e valga, per x +,
      f =  o(g).

      Sia ϕ(x) = f(x)g(x). Dire se è vero o meno che ϕ =  o(f), ϕ =  o(g), f =  o(ϕ), g =  o(ϕ) (sempre per x +).

  22. Sia f(x) xn (per x +). Si chiede se esiste un numero c tale che, per x +, sia log f(x) c log x =  o(1).
  23. Trovare un esempio di funzione f(x) tale che f(x) =  o(x) (per x 0) ma per cui NON vale né log f(x) =  o log x 1 log f(x) =  o 1 log x (suggerimento: si provi con le potenze).
  24. Sia f(x) definita su e sia
    g(x) = max{f(s)|s x}.

    Si scelga come f(x) una delle funzioni x2, x2, sin x e si tracci il grafico della corrispondente funzione g(x).

  25. Sia f(x) continua su e sia
    g(x) = max{f(s)|s x}.

    Si mostri che g(x) è continua. Può essere che g(x) sia continua anche se f(x) non è continua? Si considerino i due casi f(x) =  sgn(x) ed f(x) =  sgn(x).

  26. ()  Per ogni n > 1 si considerino le funzioni definite sull’intervallo [0, 1] come segue:
    fn(x) = 0 se0 x 1n n  se1n < x < 2n 0  se2n x 1.

    fissato x [0, 1], si consideri la successione di numeri {fn(x)}. Si provi che questa converge a 0 per ogni x [0, 1].

  27. ()  Si trovi una funzione definita su x > 0, iniettiva e tale che lim x+f(x) = + e tale che inoltre non esista lim x+f1(x).


Table 2.8: Regole di calcolo e forme indeterminate




Regole + + = + =


(+)(+) = +()() = + ()(+) = = (+)()


± 0 = + 0 ± = 0


l + (+) = l + = +l + () = l = l(+) = + se l >0 se l <0


0+ = 0 0 = + (+)+ = + (+) = 0



 Forme  indeterminate + 0 (±)


± ± 0 0


00 (+)01±




Capitolo 3
Velocità, tangenti e derivate

Tutte le leggi sono dettate dall’esperienza, ma per enunciarle ci vuole un linguaggio speciale; il linguaggio ordinario è troppo povero e vago per esprimere dei rapporti cosìdelicati, ricchi e precisi. Ecco quindi una ragione perchè il fisico non possa ignorare la matematica. Henri Poincaré Il valore della scienza

In questo capitolo proseguiamo nello studio delle proprietà locali delle funzioni, studiandone la proprietà di derivabilità, suggerita dalla meccanica per il calcolo della velocità istantanea e dell’accelerazione istantanea, e dalla geometria per la definizione della retta tangente al grafico di una funzione.

3.1 La derivata

Supponiamo che un punto si muova lungo l’asse delle ascisse, e che all’istante t la sua posizione sia x(t). Abbiamo cioè una funzione tx(t) che rappresenta il moto del punto. fissiamo un intervallo di tempo di estremi t0 e t0 + h (a destra o a sinistra di t0). Si chiama velocità media del punto su quest’intervallo il numero

x(t0 + h) x(t0) h .

Può accadere che esista finito

lim h0x(t0 + h) x(t0) h .

In fisica, questo numero si chiama “velocità istantanea” del punto all’istante t0 e si indica col simbolo v(t0) oppure con uno dei simboli1 x(t 0) oppure (t0). Va detto subito che la velocità media esiste sempre, mentre la velocità istantanea può esistere o meno. Per esempio non esiste negli istanti nei quali si verificano degli urti. Se la velocità istantanea esiste per ogni valore di t, allora si può definire l’“accelerazione media” sull’intervallo di estremi t0 e t0 + h come

v(t0 + h) v(t0) h .

Se il limite seguente esiste, questo si chiama l’“accelerazione istantanea” all’istante t0:

lim h0v(t0 + h) v(t0) h .

In ambedue i casi, si incontra quindi un rapporto con al numeratore l’incremento del valore di una funzione al passare del suo argomento da t0, fissato, a t0 + h e al denominatore l’incremento h della variabile indipendente. L’incremento h può essere positivo oppure negativo. Questo rapporto si chiama rapporto incrementale della funzione che si sta considerando; e del rapporto incrementale si deve fare il limite per h 0. Un problema analogo si incontra in geometria, quando si cerca di definire la tangente al grafico di una funzione f(x) definita su un intervallo [a,b]. Sia x0 (a,b). Si vuol definire la tangente al grafico della funzione nel punto (x0,f(x0)). Per questo consideriamo la secante che congiunge i due punti (x0,f(x0)), considerato fisso, e il punto (x0 + h,f(x0 + h)), variabile sul grafico. Il coeffciente angolare della secante è

f(x0 + h) f(x0) h

e quindi la secante è la retta

y = f(x0) + f(x0 + h) f(x0) h (x x0).

Se esiste il limite per h 0 di questi coefficienti angolari,

m0 = lim h0f(x0 + h) f(x0) h ,

la retta

y = f(x0) + m0(x x0)

si chiama retta tangente al grafico di f(x) nel punto (x0,f(x0)). Si veda la figura 3.1.



figure 3.1: Una funzione (nella sonificazione: f(x) = (x2)2), alcune secanti (nella sonificazione: secante nel punto (1, 0.5)) e una tangente (rossa)

PIC


Si vede da qui che il limite del rapporto incrementale compare in applicazioni diverse, e ce ne sono ancora molte altre. Quindi, questo limite va studiato in generale.

Definizione 90 Sia f(x) definita su un intervallo (a,b) e sia x0 (a,b). Se esiste finito il numero

lim h0f(x0 + h) f(x0) h ,

questo si chiama la derivata della funzione f(x) in x0 e si indica con uno dei simboli

f(x 0),(x0),Dx0f,Df(x0), d dxf(x0).

Un’altra notazione si vedrà più avanti. Il simbolo dd xf(x0) è dovuto a Leibniz e ricorda che la derivata è il limite di un quoziente. NON è un quoziente e quindi il simbolo non indica una frazione. La notazione dd x, di proposito evidenziata in colore, va letta come simbolo unico. Si osservi che la derivata deve essere un numero. Non può essere + oppure . Infatti, molte delle proprietà delle funzioni derivabili che vedremo NON valgono quando il limite del rapporto incrementale esiste, ma non è finito. Per esempio:

Teorema 91 Se la funzione f(x) è derivabile in x0 essa è continua in x0.

Dim. Infatti,

f(x0 + h) f(x0) = hf(x0 + h) f(x0) h .

Per ipotesi, il limite del rapporto incrementale esiste finito e quindi

0 = lim h0h f(x0 + h) f(x0) h = lim h0 f(x0 + h) f(x0) ;

ossia, posto x = x0 + h ed usando il teorema dei limiti delle funzioni composte,

lim xx0f(x) = f(x0).  

Esempio 92 Il risultato precedente non vale se il limite del rapporto incrementale è +. Per vederlo, si consideri la funzione  sgnx in x0 = 0. Essa è discontinua. Il limite del rapporto incrementale esiste, ma non è un numero:

lim h0 sgnh h = +.  

Un’altro punto a cui fare attenzione è questo: la derivata si definisce solo nei punti interni al dominio della funzione. Se x0 = a oppure x0 = b si possono studiare i due limiti

lim h0+f(a + h) f(a) h , oppure lim h0f(b + h) f(b) h .

Se uno dei limiti esiste2, finito o meno, esso si chiama la derivata direzionale in a oppure in b. La derivata direzionale si può talvolta definire anche in punti x0 di non derivabilità. Se esiste, finito o meno, uno dei due limiti

lim h0+f(x0 + h) f(x0) h , oppure lim h0f(x0 + h) f(x0) h

questo si chiama la derivata direzionale,rispettivamente destra oppure sinistra, di f(x) in x0. La derivata direzionale destra o sinistra si indica con uno dei simboli

D+f(x0),f+(x 0),Df(x0),f(x 0).

Sottolineiamo che, a differenza della derivata, la derivata direzionale non è necessariamente finita.

Una dimostrazione del tutto analoga a quella del Teorema 91 mostra che:

Teorema 93 Se in x0 [a,b] esiste finita la derivata destra (o sinistra) di f(x), allora la funzione f(x) è continua da destra (rispettivamente, da sinistra) in x0.

Concludiamo con una definizione il cui interesse apparirà principalmente nei corsi successivi. Si chiama differenziale della funzione f(x) in x0 la funzione

hf(x 0)h.

Questa trasformazione si indica spesso col simbolo df. Il significato geometrico del differenziale è illustrato al paragrafo 3.2.

Esempio 94 Calcoliamo la derivata di alcune potenze. Se f(x) c, costante, allora f(x0 + h) f(x0) = 0 per ogni h. Il rapporto incrementale è nullo e tale è il suo limite: la derivata di una funzione costante è nulla. Sia f(x) = x. Allora,

lim xx0f(x) f(x0) x x0 = lim xx0x x0 x x0 = lim h01 = 1.

Sia f(x) = x2. Allora, f(x) f(x0) = x x02 = (x x 0)(x + x0). Dunque,

lim xx0f(x) f(x0) x x0 = lim xx0 x + x0 = 2x0.

In generale, si ricordi la formula per la somma dei primi n termini di una progressione geometrica:

1 + x + x2 + + xn1 = 1 xn 1 x = xn 1 x 1 .

Si ha quindi

xn x 0n x x0 = x0n x0 1 (xx0)n 1 (xx0) = x0n1 1 + (xx 0) + (xx0)2 + + (xx 0)n1 .

Gli addendi in parentesi sono in numero di n e ciascuno di essi tende ad 1 per x x0. Dunque,

Dx0xn = lim xx0xn x 0n x x0 = nx0n1.

Sia ora

f(x) = 1 x.

Il rapporto incrementale in x0 è

(1x) (1x0) x x0 = 1 xx0 x0 x x x0 = 1 xx0

e quindi

Dx0 1 x = lim xx0(1x) (1x0) x x0 = 1 x02.  

3.1.1 La funzione derivata e le derivate successive

Ricordiamo che la derivata è un numero che si associa ad un punto x0: f(x 0). Può essere però che tale numero esista per ogni x (a,b) o per ogni x (a,c) (a,b). In tal caso si costruisce una funzione

xf(x)

che si chiama la funzione derivata di f(x). Può accadere che la funzione derivata sia ulteriormente derivabile (come deve essere per definire l’accelerazione). In questo caso, si può calcolare il numero

lim h0f(x 0 + h) f(x 0) h

che si chiama la derivata seconda di f(x) in x0. In questo contesto, la “derivata” si chiama anche derivata prima La derivata seconda si indica con uno dei simboli

f(x0),Dx02f,D2f(x 0), d2 dx2f(x0).

In meccanica, si usa anche il simbolo di Newton f..(x0). Ovviamente:

Teorema 95 Se la funzione f(x) ammette derivata seconda in ogni punto di (a,b) allora sia f(x) che f(x) sono continue su (a,b).

Quanto detto si può ora ripetere: se la derivata seconda esiste in ogni punto si può cercare di derivarla, definendo, se esiste, la derivata terza, quarta, n-ma ecc. Le derivate successive si indicano con i simboli

Dx0nf,Dnf(x 0), dn dxnf(x0).

Ovviamente, le notazioni con gli apostrofi o i punti non sono pratiche oltre al terzo ordine. In certe formule, conviene indicare la derivata n-ma in x0 col simbolo

f(n)(x 0)

e in questo contesto si definisce

f(0)(x 0) = f(x0).

Sottolineiamo che se esiste la derivata n-ma in ogni punto di (a,b), esistono le derivate precedenti, e sono continue in ogni punto3 di (a,b). Invece l’esistenza di f(n)(x) nel solo punto x0 implica l’ esistenza della derivata f(n1)(x) in un intorno di I di x0 e quindi le derivate precedenti a quella di ordine n 1 sono continue su I mentre la f(n1)(x) è continua in x0 ma potrebbe essere discontinua in ogni altro punto. Una funzione che ammette le derivate fino all’ordine n incluso su (a,b), continue si dice di classe Cn e si scrive4

f Cn(a,b).

Scrivendo

f C0(a,b)o anche f C(a,b)

si intende dire che f(x) è continua su [a,b]. Scrivendo f(x) C(a,b) (leggi f(x) di classe C su (a,b)) si intende che la funzione ammette derivate di ogni ordine in ciascun punto di (a,b).

3.2 La prima formula degli incrementi finiti

La sostituzione h = x x0 mostra che

f(x 0) = lim xx0f(x) f(x0) x x0

ossia, essendo f(x 0) un numero,

lim xx0 f(x) f(x0) x x0 f(x 0) = 0.

Dunque, usando il simbolo di Landau,

f(x) = f(x0) + f(x 0)(x x0) + (x x0) o(1).

Ma,

(x x0) o(1) =  o(x x0).

Dunque,

la derivata f(x 0), se esiste, è quel numero m tale che

f(x) = f(x0) + m(x x0) +  o(x x0).
Dunque, f(x 0) verifica
f(x) = f(x0) + f(x 0)(x x0) +  o(x x0).
Questa formula si chiama prima formula degli incrementi finiti Viceversa, se esiste m tale che
f(x) = f(x0) + m(x x0) +  o(x x0) (3.1)
allora
m = lim xx0 f(x) f(x0) x x0 +  o(x x0) x x0 = lim xx0f(x) f(x0) x x0 = f(x 0).

Quindi, la prima formula degli incrementi finiti è anche una equivalente definizione di derivata: la derivata è quel numero m per il quale è verificata l’uguaglianza (3.1). Ciò ha una conseguenza utile per il calcolo di certe derivate:

Teorema 96 Sia f(x) definita in un intorno di x0. Se per x x0 vale

f(x) f(x0) =  o(x x0) (3.2)

allora f(x 0) esiste e

f(x 0) = 0.

Dim. Infatti, la (3.2) coincide con la prima formula degli incrementi finiti (3.1) scritta con m = 0.  

Nella prima formula degli incrementi finiti compare la funzione

(x x0) f(x 0)(x x0)

che abbiamo chiamato il differenziale della funzione f(x) in x0. La prima formula degli incrementi finiti combinata con l’equazione della retta tangente al grafico di f(x) in (x0,f(x0)), ossia

y = f(x0) + f(x 0)(x x0),

mostra il significato geometrico del differenziale: f(x) f(x0) è l’incremento della quota del punto del grafico della funzione, quando si passa da x0 ad x. Invece,

f(x 0)(x x0) = f(x0) + f(x 0)(x x0) f(x0).

Dunque, il differenziale indica l’incremento dell’ordinata del punto della tangente quando ci si sposta da x0 ad x e questo incremento differisce dal corrispondente incremento di ordinata sul grafico della funzione per infinitesimi di ordine superiore al primo rispetto ad h = (x x0), ossia rispetto all’incremento h dato all’ascissa. Ciò è illustrato in figura 3.2.



figure 3.2: Significato geometrico del differenziale Sono rappresentati in figura il grafico della funzione f e la retta tangente al grafico della funzione f nel punto ( x 0 , f ( x 0 ) ) . Considerata la retta x = x 0 + h , essa interseca la retta tangente nel punto ( x 0 + h , f ' ( x 0 ) h ) e il grafico della funzione f nel punto ( x 0 + h , f ( x 0 + h ) ) . La differenza tra le ordinate di tali punti è trascurabile rispetto a h .

PIC


3.3 Regole di calcolo per le derivate prime

Ci sono quattro regole per il calcolo delle derivate: la derivata della somma, del prodotto, della funzione composta e della funzione inversa. Inoltre, esiste una formula per la derivata di un quoziente, che si ottiene dalle precedenti.

Derivata di una somma Il limite di una somma è uguale alla somma dei limiti (quando ambedue esistono finiti). Dunque, se f e g sono derivabili in x0 vale

Dx0 f(x) + g(x) = f(x 0) + g(x 0).

Derivata del prodotto La formula per la derivata del prodotto si chiama formula di Leibniz e si vede meglio partendo dalla prima formula degli incrementi finiti. Se f(x) e g(x) sono derivabili in x0 vale5

f(x) = f(x0) + f(x 0)(x x0) +  o1(x x0), g(x) = g(x0) + g(x 0)(x x0) +  o2(x x0).

Moltiplicando membro a membro si ha

f(x)g(x) = f(x0)g(x0) + f(x 0)g(x0) + f(x0)g(x 0) (x x0) + f(x0) + f(x 0)(x x0)  o2(x x0) + g(x0) + g(x 0)(x x0)  o1(x x0) +f(x 0)g(x 0)(x x0)2 +  o 1(x x0) o2(x x0) .

La parentesi graffa è  o(x x0) e quindi

lim xx0f(x)g(x) f(x0)g(x0) (x x0) = f(x 0)g(x0) + f(x0)g(x 0).

Vale quindi la formula di Leibniz

Dx0 f(x)g(x) = f(x 0)g(x0) + f(x0)g(x 0).

Supponiamo che g(x) c sia costante. Allora,

g(x 0) = lim h0g(x0 + h) g(x0) h = lim h0c c h = 0.

Dunque,

d dx cf(x0) = cf(x 0).

Combinando quest’osservazione con la regola di derivazione della somma, si trova:

quando a e b sono numeri

Dx0 af(x) + bg(x) = af(x 0) + bg(x 0).

Questa regola si chiama linearità della derivata.

Derivata della funzione composta Siano ora f(x) e g(x) due funzioni e supponiamo che la funzione composta f(g(x)) sia definita su un intervallo (a,b). Sia x0 (a,b) e supponiamo che g(x) sia derivabile in x0 mentre f(x) sia derivabile in y0 = g(x0). Allora vale

Dx0f(g(x)) = f(g(x 0))g(x 0).

I colori sono stati usati per evidenziare il fatto che la derivata della funzione composta si calcola iniziando col derivare la funzione più esterna. La dimostrazione è semplice: per ipotesi valgono le due formule degli incrementi finiti

g(x) = g(x0) + g(x 0)(x x0) +  o(x x0) f(y) = f(y0) + f(y 0)(y y0) +  o(y y0)

e inoltre

y0 = g(x0)

Si tenga conto di ciò e si sostituisca y con g(x). Si trova

f(g(x)) = f(g(x0)) + f(g(x 0))g(x 0)(x x0) + f(y 0) o(x x0) +  o(y y0) .

E’

lim xx0  o(y y0) x x0 = lim xx0  o(y y0) y y0 y y0 x x0 = 0.

Dunque, la parentesi graffa è  o(x x0) e la prima formula degli incrementi finiti vale in x0 per f(g(x)), con coeffciente

f(g(x 0))g(x 0),

che è quindi la derivata della funzione composta:

Dx0f(g(x)) = f(g(x 0))g(x 0).

Esempio 97 Ricordiamo che

Dx0 1 x = 1 x02.

Consideriamo ora h(x) = 1x e una generica funzione g(x) derivabile e non nulla in x0. Sia ϕ(x) = h(g(x)) = 1g(x). La formula di derivazione della funzione composta dà:

Dx0 1 g(x) = 1 g2(x0)g(x 0).  

Combinando il caso visto nell’Esempio 97 con la formula di derivazione del prodotto si trova:

Dx0f(x) g(x) = f(x 0)g(x0) f(x0)g(x 0) g2(x0) .

Si usi questa formula per provare che

D tan x = 1 cos 2x = 1 + tan 2x

e si calcoli la formula analoga per cot x e per le corrispondenti funzioni iperboliche.

Esempio 98 Si sa, dalla tabella 2.4, che

d dx log |x| = 1 x

(ovviamente se x0). Dunque, se f(x) è derivabile e non nulla,

d dx log |f(x)| = f(x) f(x) .

Applicando questa formula alla funzione f(x) = tan x si trova

d dx log | tan(x2)| = 1 sin x.

Ovviamente questa formula vale se xkπ + π2, perchè in questi punti tan x non è definita, e se xkπ perché in tali punti si annulla la derivata. Ricordando che

cos x = sin(x + π)

si trovi una funzione la cui derivata è 1 cos x. Queste formule sono utili nel calcolo delle primitive.  

Derivata della funzione inversa La regola per il calcolo della derivata della funzione inversa è più complicata e richiede un’ipotesi in più: si deve avere una funzione f(x) iniettiva e continua su un intervallo (a,b). Inoltre, la funzione deve essere derivabile in x0 (a,b) e deve essere f(x 0)0. Sia f1(y) la funzione inversa di f(x) e sia y0 = f(x0). Sotto queste condizioni vale la formula:

Dy0f1(y) = 1 f(x0),y0 = f(x0) ossiax0 = f1(y 0).

Limitiamoci ad illustrare geometricamente questa formula. Ricordiamo che il grafico di una funzione e della sua funzione inversa devono partire ambedue dall’asse delle ascisse e che l’uno è il simmetrico dell’altro rispetto alla prima bisettrice. Le tangenti, quindi, sono simmetriche rispetto alla prima bisettrice. Sia y = y0 + m(x x0) una retta passante per (x0,y0). La sua simmetrica rispetto alla prima bisettrice ha coeffciente angolare 1m. E ora ricordiamo che il coeffciente angolare della tangente, quando essa non è verticale, è la derivata della funzione nel punto che stiamo considerando. Questi argomenti sono illustrati in figure 3.3.



figure 3.3: Derivata della funzione inversa

PIC PIC


Vediamo come si usa questa regola per calcolare la derivata della funzione arctan x, funzione inversa della restrizione a (π2,π2) della funzione tan x. E’:

D tan x = 1 + tan 2x.

Se y0 = tan x0, la derivata di arctan x in y0 è

1 Dx0 tan x = 1 1 + tan 2x0 = 1 1 + y02.

La tabella 3.1 riassume le regole di derivazione ed elenca le derivate principali che vanno ricordate. Le regole di calcolo sono state appena dimostrate mentre le formule delle derivate fondamentali si deducono dai limiti notevoli, combinati con le regole di calcolo. Notiamo che la tabella non riporta una formula per la derivata di f(x)g(x), perché invece di ricordare questa formula conviene notare che

f(x)g(x) = eg(x) log f(x).

La derivata dell’espressione a destra si calcola semplicemente usando la regola di derivazione delle funzioni composte e quella del prodotto.


Table 3.1: Derivate fondamentali e regole di calcolo
funzioni derivata Dx0(hf(x) + kg(x)) hf(x 0) + kg(x 0) Dx0f(x)g(x) f(x 0)g(x0) + f(x0)g(x 0) Dx0f(g(x)) f(g(x 0))g(x 0) Dy0f1(x) 1 f(f1(y 0)) Dx0f(x) g(x) f(x 0)g(x0) f(x0)g(x 0) g2(x 0) Dx0 log |f(x)| f(x 0) f(x0) funzione derivata xa axa1 Dx0|x| x0 |x0| sin x cos x cos x sin x tan x 1 cos 2x = 1 + tan 2x cot x 1 sin 2x = 1 cot 2x funzione derivata arcsin x 1 1x2 arccos x 1 1x2 arctan x 1 1+x2  arccotanx 1 1+x2 ex ex log |x| 1x sinh x cosh x cosh x sinh x tanh x 1 cosh 2x = 1 tanh 2x  sett shx 1 1+x2  sett chx 1 x2 1  sett thx 1 x2 1  sett thx 1 1x2  sett cthx 1 1x2

3.4 Notazioni usate nei corsi di fisica

Nei corsi di fisica, e in generale nei corsi a carattere più applicativo, sembra a prima vista che le notazioni sulle derivate vengano usate in modo alquanto “libero”. Per esempio, si trova che

df dx = gviene scrittodf = gdx.

In realtà non si tratta di abusi, ma questi procedimenti tengono nascosti alcuni passaggi che è bene chiarire. Prima di tutto va detto che il simbolo d in questo contesto viene usato per indicare la derivata, al posto del simbolo D (cosa che noi faremo al Cap. 4, nel contesto della ricerca delle primitive). Nelle applicazioni, si sottintende il fatto che la x è a sua volta funzione di una ulteriore variabile, diciamo t, che non viene indicata. Allora,

df = df(x(t)) dt = f(x(t))x(t) = g(t)x(t)

che, con la notazione d per indicare la derivata e sottintendendo6 la variabile t, si scrive appunto

df = gdx.

Un (apparente) abuso di notazioni analogo si incontra anche nell’uso del differenziale. Ricordiamo che il differenziale di f(x) in x0 è la trasformazione

hf(x 0)h.

Questa trasformazione si indica anche col simbolo df:

df(x0)h = f(x 0)h.

Nel caso particolare della funzione g(x) = x la sua trasformazione differenziale è

dx = h

e ciò suggerisce di scrivere la trasformazione differenziale di f come

dfdx

(ossia, df(x0)dx = f(x 0)dx = f(x 0)h, ma usualmente x0 si sottintende). L’utilità di questa notazione dipende ancora dal fatto che in fisica x è funzione di una sottintesa variabile t e quindi

dfdx = f(x(t))x(t)dt

è un modo veloce di scrivere il differenziale della funzione composta. Ulteriori apparenti abusi di notazione7, analoghi ai precedenti, si incontrano quando si devono usare funzioni di più variabili, e verranno spiegati al paragrafo 8.4 e nel corso di Analisi Matematica 2.

3.5 Derivate ed ordine dei numeri reali

Sia f(x) una funzione derivabile su (a,b). La relazione di ordine dei numeri reali conduce alla definizione di funzione monotona e, per mezzo della regola dei segni del prodotto, alla definizione di funzioni pari e dispari8. Ricordiamo che f(x) è crescente su (a,b) quando

f(x) f(x0) x x0 0x,x0 (a,b)xx0.

Passando al limite per x x0 si trova che f(x 0) 0 e ciò vale per ogni x0 (a,b). Trattando in modo analogo le funzioni decrescenti si trova:

Teorema 99 Se f(x) è derivabile e crescente (non necessariamente in senso stretto) su (a,b) allora f(x) 0 per ogni x (a,b); Se f(x) è derivabile e decrescente (non necessariamente in senso stretto) su (a,b) allora f(x) 0 per ogni x (a,b).

Osservazione 100 E’ opportuno notare gli esempi seguenti:



figure 3.4: Il grafico della funzione f(x) = (12)x + x2 sin(1x) per x0, f(0) = 0 (link)

PIC


Il problema della relazione tra derivata e monotonia verrà ripreso al Cap. 4. Consideriamo ora la relazione tra parità e derivata. Sia f(x) derivabile si (a,a). Vale:

la funzione è pari se f(x) = f(x); la funzione è dispari se f(x) = f(x).

Derivando i due membri mediante il teorema della funzione composta si trova

se la funzione è pari: f(x) = f(x); se la funzione è dispari: f(x) = f(x).

Dunque si ha:

Teorema 101 Sia f(x) C(). Se f(x) è pari oppure dispari, le sue derivate di ordine pari hanno la stessa parità di f(x), quelle di ordine dispari hanno parità opposta.

Una funzione dispari deve annullarsi in x0 = 0. Vale quindi:

Teorema 102 La derivata in x0 = 0 di una funzione pari è nulla e quindi se f(x) C() è pari tutte le sue derivate di ordine dispari sono nulle in x0 = 0; se f(x) è dispari tutte le sue derivate di ordine pari sono nulle in x0.

E’ interessante vedere l’interpretazione geometrica del Teorema 101 notando che le secanti in punti corrispondenti del grafico sono parallele, e quindi hanno la stessa pendenza, nel caso di funzioni dispari; hanno pendenza opposta nel caso di funzioni pari, come illustrato nella figura 3.5. Tale relazione si conserva passando al limite dei rapporti incrementali, ossia si conserva per le derivate.



PIC PIC


3.5.1 Il teorema di Fermat ed i punti di estremo

Consideriamo una funzione f(x) definita su un intervallo (a,b) e sia x0 (a,b). punto importante da sottolineare: x0 è interno all’intervallo. NON è uno degli estremi. Vale il teorema seguente:

Teorema 103 (di Fermat) Se:

allora f(x 0) = 0.

Dim. Per assurdo, sia

f(x 0) > 0,f(x 0) = lim h0f(x0 + h) f(x0) h .

Il teorema di permanenza del segno asserisce che esiste δ > 0 tale che

δ < h < δf(x0 + h) f(x0) h > 0,

ossia,

f(x0 + h) f(x0) ed h hanno segno concorde.

Dunque, se h > 0 vale f(x0 + h) > f(x0) mentre se h < 0 vale f(x0 + h) < f(x0) e quindi f(x0) non è né punto di massimo né punto di minimo di f(x). Il caso f(x 0) < 0 si tratta in modo analogo.  

L’interpretazione geometrica di questo teorema: ricordiamo che f(x 0) è la pendenza della tangente al grafico della funzione nel punto (x0,f(x0)). Dunque, se esiste la tangente al grafico di f(x) in (x0,f(x0)) ed x0 è un punto di massimo o di minimo INTERNO AL DOMINIO DELLA FUNZIONE, la tangente è orizzontale.

Osservazione 104 Il teorema di Fermat NON si applica alle derivate direzionali. La funzione f(x) = 1 x2, definita su [1, 1], ha minimo nei punti 1 e +1. Le derivate direzionali in tali punti non sono nulle; anzi sono + e . La funzione f(x) = x definita su [0, 1] ha minimo in x = 0 e massimo in x = 1. Le derivate direzionali in ambedue questi punti valgono 1.  

Il teorema di Fermat ha questa conseguenza importante:

i punti di massimo e di minimo relativo di una funzione vanno cercati tra i punti nei quali la derivata prima non esiste; i punti nei quali la derivata prima si annulla e, se ivi definita, gli estremi del dominio della funzione.

Vediamo alcuni esempi:

Esempio 105 Sia f(x) = |x|, definita su [1, 1]. La funzione non è derivabile in x = 0 e, dove derivabile, ha derivata

f(x) = + 1 sex > 0 1  sex < 0.

Dunque, f(x) non si annulla mai. Quindi, i punti di massimo e di minimo vanno ricercati tra i punti 1, 0, +1 . Sia invece f(x) = x2, f(x) = 2x, definita su . La derivata si annulla nel solo punto x = 0 e quindi la funzione ha al più un solo punto o di massimo o di minimo, nel punto x = 0. Nel caso specifico x = 0 è punto di minimo ma questo non si deduce dall’annularsi della derivata prima. Infatti:

I punti nei quali si annulla la derivata prima si chiamano punti estremali oppure punti stazionari oppure punti critici della funzione. Il teorema di Fermat asserisce che i punti di massimo o di minimo (assoluto o relativo) di una funzione sono punti estremali quando: 1) sono punti interni al dominio; 2) la funzione è derivabile in tali punti.

3.6 Osservazione finale ed importante

Si è insistito sul fatto che la derivata si definisce nei punti interni. Quindi, quando si afferma l’esistenza di f(x 0) implicitamente si afferma anche che la funzione f(x) è definita in un intorno di x0 ed inoltre, dal teorema 91, la funzione f(x) è continua in x0. Potrebbe essere discontinua in ogni altro punto. Vediamo la conseguenza di queste osservazioni sulle derivate successive. Affermando che esiste f(x0) implicitamente si afferma che esiste f(x) e quindi anche f(x) in un intorno di x0. La funzione f(x) deve essere continua in x0 per il teorema 91. L’esistenza di f(x) in ogni punto di un intorno di x0 implica che f(x) è continua in tale intorno. Queste osservazioni si ripetono per le derivate successive: se esiste f(n)(x 0) allora f(n1)(x 0) è definita in un intorno di x0 (ed è continua in x0); tutte le derivate precedenti sono definite e continue in tale intorno.

3.7 Alcuni esercizi

    1. Un punto materiale si muove con velocità costante di 0, 1  m sec. Calcolarne la velocità in centimetri al secondo.
    2. Un punto materiale si muove con accelerazione costante di 0, 01  m sec2. Calcolarne l’accelerazione in centimetri al secondo per secondo.
    3. la legge del moto del punto suddetto è x(t) quando le lunghezze si misurano in metri e ξ(t) quando si misurano in centimetri. E’ quindi ξ(t) = 100x(t). Ritrovare i risultati precedenti sulla velocità e accelerazione usando linearità della derivata.
    1. Un punto materiale si muove con velocità costante di 0, 1  m sec. Calcolarne la velocità in metri al minuto.
    2. Un punto materiale si muove con accelerazione costante di 0, 01  m sec2. Calcolarne l’accelerazione in metri al minuto per minuto.
    3. la legge del moto del punto suddetto è x(t) quando il tempo si misura in secondi e ξ(τ) quando il tempo si misura in minuti. E’ quindi ξ(τ) = x(60τ). Ritrovare i risultati precedenti sulla velocità e accelerazione usando la regola di derivazione della funzione composta.
  1. Le regole di derivazione mostrano che per ogni numero reale a vale
    d dx sin ax = a cos ax, d dxeax = aeax

    e simili. Invece,

    d dx log ax = 1 x

    (si ha qui a > 0 ed x > 0). Dunque, in questo caso il fattore moltiplicativo a “non ha effetto” sul calcolo della derivata. Spiegare il motivo usando le regole di calcolo dei logaritmi.

  2. Sia f(x) una funzione derivabile. Dare condizioni per la derivabilità di |f(x)| in x0, sia quando f(x0)0 che quando f(x0) = 0. Ha qualche interesse sapere se x0 è nullo?
  3. Si è visto che che se f(x) è pari e derivabile allora f(x) è dispari; se f(x) è dispari e derivabile allora f(x) è pari. Si illustri il significato di questa proprietà tracciando i grafici di due funzioni, una pari e una dispari, e disegnando alcune tangenti. Ossia, si considerino le figure 3.7 in alcuni casi concreti.
  4. ()  Si mostri che se f(x) è una funzione derivabile per cui f(x) = f(1x) allora f(x) verifica
    x2f(x) = f1 x; (3.3)

    se g(x) è una funzione derivabile per cui g(x) = g(1x) allora g(x) verifica

    x2g(x) = g1 x. (3.4)

    Si verifichi che le funzioni

    f(x) = (1 + x) 1 + 1 x,g(x) = (1 + x) 1 x 1

    hanno le proprietà richieste e si verifichi che le loro derivate effettivamente soddisfano le (3.3) e (3.4).

  5. ()  Sia
    f(x) = x2 sex x  sex

    Dire se esitono punti in cui la funzione è continua e punti in cui è derivabile.

  6. ()  Sia
    f(x) = x2 sex x3  sex

    Dire se esitono punti in cui la funzione è continua e punti in cui è derivabile.

  7. ()  Sia
    f(x) = x2 sex x4  sex

    Dire se esitono punti in cui la funzione è continua e punti in cui è derivabile.

  8. ()  Costruire una funzione f(x) con queste proprietà:
    • è continua in x0 = 0
    • per x 0 vale f =  o(x5)
    • la funzione non ha derivata seconda in x0 = 0.
  9. ()  Sia
    f(x) = x3 sin 1x sex0 0  sex = 0.

    Si mostri che f(x) è di classe C1 su e che per x 0 si ha f =  o(x2). Dire se è vero che f(x) =  o(x) (per x 0).

  10. Sia
    f(x) = x + x2 sin(1x) sex0,f(0) = 0.

    Mostrare che f(0) = 1 ma che non esistono intorni di 0 su cui f(x) è crescente. Si studi la derivabilità della funzione anche per x0.

  11. Sia
    f(x) = x sex ,f(x) = sin x sex.

    Mostrare che f(0) = 1 ma che non esistono intorni di 0 su cui f(x) è crescente. Si studi la derivabilità della funzione anche per x0.

  12. ()  si costruisca una funzione di classe C1() con queste proprietà:
    1. la funzione è dispari ed f(x) 0 per x < 0 (e quindi f(x) 0 per x > 0 ed f(0) = 0);
    2. la tangente a grafico nel punto (0,f(0)) = (0, 0) è orizzontale;
    3. il punto x0 = 0 non è punto di flesso a tangente orizzontale per la funzione f(x).
  13. Si consideri la parabola y = x2. Se ne calcoli la tangente nel punto di coordinate (x0,x02) e si mostri che tale retta tangente biseca il segmento congiungente il vertice della parabola col punto (x0, 0).
  14. Si consideri l’iperbole y = 1x e per ogni x0 > 0 se ne calcoli la tangente nel punto (x0, 1x0). Si calcoli l’area del triangolo che ha per vertici l’origine e le intersezioni di tale tangente con gli assi coordinati. Si mostri che l’area del triangolo non dipende da x0.
  15. Sia f(x) = x2. Si considerino i due punti del grafico di f(x), (x0,x02) ed (x1,x12). Si calcolino le tangenti al grafico in tali punti e si calcoli l’ascissa del loro punto comune. Si noti che tale ascissa è la media aritmetica (x0 + x1)2 dei due numeri x0 ed x1.
  16. Sia f(x) = x. Si considerino i due punti del grafico di f(x), (x0,x0) ed (x1,x1). Si calcolino le tangenti al grafico in tali punti e si calcoli l’ascissa del loro punto comune. Si noti che tale ascissa è la media geometrica x0 x1 dei due numeri x0 ed x1.
  17. Elevando al quadrato ambedue i membri membri, si provi che vale la disuguaglianza
    x 1x2 x1 + x2 2

    ossia, la media geometrica è minore della media aritmetica. Si usino le osservazioni agli esercizi 1718. Si traccino i grafici delle due funzioni f(x) = x2 ed f(x) = x e si interpreti la disuguaglianza precedente mediante le ascisse dei punti di intersezione delle tangenti ai due grafici.

Capitolo 4
Funzioni: proprietà globali

Niente la soddisfa mai, eccetto le dimostrazioni; le teorie non dimostrate non fanno per lei, non le accetta. E’ questo lo spirito giusto, lo ammetto: mi attrae, ne sento l’influenza; se stessi di più con lei, penso che l’adotterei anch’io. Diario di Adamo, Il diario di Adamo ed Eva di Mark Twain

fino ad ora abbiamo studiato le proprietà “locali” delle funzioni, che dipendono solamente dal comportamento della funzione in un intorno del punto x0. Ora invece studiamo le proprietà delle funzioni in relazione a tutto il loro dominio, che frequentemente (ma non sempre) sarà un intervallo.

4.1 Teorema delle funzioni monotone

La definizione di limite permette solamente di verificare che il limite è effettivamente ciò che l’intuizione ci ha suggerito. In particolare, non asserisce che un limite debba esistere o meno. Un teorema che asserisce l’esistenza del limite, e ne indica il valore, è il seguente, che si chiama teorema delle funzioni monotone Lo enunciamo nel caso delle funzioni crescenti, lasciando per esercizio di adattare l’asserto al caso delle funzioni decrescenti.

Teorema 106 Sia f(x) una funzione crescente (anche non strettamente). Si ha:

Notiamo che il segno di disuguaglianza è stato scritto in colore, per sottolineare che le disuguaglianze sono strette. Anche se la funzione è definita in x0, il valore che essa prende in x0 non compare nell’enunciato del teorema.

Prima di provare il teorema, vediamone alcune conseguenze.

La dimostrazione del teorema delle funzioni monotone

Proviamo il teorema per i limiti sinistri di funzioni crescenti. Inoltre, studiamo il caso x0 < + lasciando per esercizio il caso in cui x0 = +. Conviene distinguere due casi:

Caso 1: sup{f(x)|x < x0} = + , ossia f(x) superiormente illimitata  Come si è notato, in questo caso x0 è l’estremo destro del dominio della funzione e bisogna provare

lim xx0f(x) = +.

Dunque vanno considerate le disequazioni

f(x) > 𝜖

e va provato che ciascuna di esse è soddisfatta in un intervallo (c,x0), con c = c𝜖 < x0. Essendo la funzione superiormente illimitata, esiste un particolare x𝜖 tale che

f(x𝜖) > 𝜖.

La funzione è crescente e quindi per x (x𝜖,x0) si ha

f(x) f(x𝜖) > 𝜖.

Dunque, si può scegliere c𝜖 = x𝜖.

Caso 2: sup{f(x)|x < x0} = l < +  In questo caso va provato

lim xx0f(x) = l

e quindi vanno considerate le disequazioni

l 𝜖 < f(x) < l + 𝜖.

Va mostrato che ciascuna di esse è soddisfatta in un intervallo (c𝜖,x0). La definizione di estremo superiore mostra che esiste x𝜖 per cui

l 𝜖 < f(x𝜖).

La funzione è crescente e quindi

x (x𝜖,x0)f(x𝜖) f(x) l.

L’ultima disuguaglianza discende dalla definizione di l. L’asserto segue scegliendo c𝜖 = x𝜖.  

Ripetiamo che il teorema delle funzioni monotone non richiede che il dominio sia un intervallo. Esso vale per funzioni definite su un qualsiasi insieme, purché i limiti da destra e/o da sinistra possano studiarsi. In particolare, vale per le successioni. Nel caso delle successioni, il teorema delle funzioni monotone può enunciarsi come segue:

Teorema 107 Se {xn} è una successione monotona, essa ammette limite per n +, finito o meno, e vale:
  • se la successione è crescente allora lim xn = sup{xn,n };
  • se la successione è decrescente allora lim xn = inf{xn,n }.

Prendiamo l’occasione offerta dal Teorema 107 per introdurre un nuovo termine: una successione che ammette limite per n +, finito oppure + oppure , si chiama successione regolare Se il limite è finito la successione è una successione convergente

Si noti che la dimostrazione del Teorema delle funzioni monotone usa la completezza dei numeri reali, ossia la proprietà di Dedekind.

4.2 Il Teorema di Bolzano-Weierstrass

Ricordiamo che si chiama successione convergente una successione che ammette limite finito. Il teorema seguente è importante in moltissime applicazioni:

Teorema 108 (di Bolzano-Weierstrass) Ogni successione limitata ammette sottosuccessioni convergenti, ossia dotate di limite finito.

Dim. Indichiamo con m l’estremo inferiore dell’immagine {xn} della successione,

m = inf{xn}.

Ora procediamo in modo iterativo:

Passo 1:
Sia S1 = {xn}, l’immagine della successione e sia
c1 = sup S1.

Ovviamente, c1 m. Scegliamo un qualsiasi xn1 tale che

c1 1 < xn1 c1.

L’indice n1 esiste per la definizione di estremo superiore.

Passo 2:
Definiamo
S2 = {xn,|n > n1},c2 = sup S2.

Ovviamente, S2 S1 e quindi m c2 c1. Scegliamo xn2 tale che

c2 1 2 < xn2 c2.

E’:

n2 > n1.

Passo 3:
Definiamo
S3 = {xn,|n > n2},c3 = sup S3.

Ovviamente, S3 S2 e quindi m c3 c2. Scegliamo xn3 tale che

c3 1 3 < xn3 c3.

E’:

n3 > n2.

Passo k:
Definiamo
Sk = {xn,|n > nk1},ck = sup Sk.

Ovviamente, Sk Sk1 e quindi m ck ck1. Scegliamo xnk tale che

ck 1 k < xnk ck (4.1)

e si ha

nk > nk1. (4.2)

In questo modo abbiamo costruito due successioni:

La (4.1) mostra che {xnk} ammette limite, uguale a quello di {ck}, e quindi finito. Ciò è quanto volevamo provare.   

Si noti che la dimostrazione del Teorema di Bolzano-Weierstrass usa il Teorema delle funzioni monotone e quindi usa la completezza dei numeri reali .

4.3 Il teorema di Weierstrass

Notiamo che esistono funzioni continue prive di punti di massimo e di minimo. Sono esempi le funzioni arctan x, definita su , la funzione f(x) = 1x definita su (0, +) ma anche la funzione f(x) = 1x definita su (0, 1], che ammette punto di minimo (x = 1) ma non punto di massimo. In questi esempi le funzioni sono continue su intervalli che non sono chiusi oppure non sono limitati. Invece:

Teorema 109 (di Weierstrass) Sia f(x) definita su un intervallo limitato e chiuso [a,b]. Supponiamo inoltre che f(x) sia continua su [a,b]. L’immagine della funzione ammette sia massimo che minimo e quindi esistono x0 ed x1 in [a,b] tali che:

x0 è punto di massimo ossia f(x0) = max{f(x),x [a,b]}; x1 è punto di minimo ossia f(x1) = min{f(x),x [a,b]}.

Il teorema non afferma l’unicità dei punti di massimo o di minimo. E’ importante notare che questo teorema si può riadattare per dimostrare l’esistenza di punti di massimo e/o di minimo anche in casi in cui le ipotesi non sono soddisfatte. Consideriamo l’esempio seguente:

Esempio 110

In modo analogo si provi che se f(x) è definita su (a,b) e se

lim xaf(x) = lim xbf(x) = +

allora la funzione ammette punti di minimo (assoluti).  

Supponiamo che la funzione f(x) sia continua su e verifichi

lim xf(x) = lim x+f(x) = c. (4.3)

Esista un punto x0 tale che d = f(x0) > c. Allora, la funzione ammette punto di massimo. Infatti, sia 𝜖 = (d c)2. Per definizione di limite, esiste R > 0 tale che

|x| > Rf(x) < c + d c 2 = d + c 2 < d.

Dunque, se |x| > R vale f(x) < d = f(x0). Aumentando il valore di R, si può anche avere |x0| < R. La funzione f(x) è continua in particolare su [R,R], intervallo limitato e chiuso, e quindi ammette ivi un punto di massimo x1:

f(x1) f(x)x [R,R].

In tale punto si ha

f(x1) f(x0) = d

più grande di f(x) sia se |x| > R che se |x| R. Questo caso è illustrato nei grafici della figura 4.2. Si noti che il grafico a sinistra mostra anche l’esistenza di un punto di minimo, che però non è conseguenza della proprietà (4.3). Infatti, la funzione a destra non ha punti di minimo.



figure 4.1: Teorema di Weierstrass: funzione con due massimi e un minimo e funzione con un massimo

PIC PIC


In modo analogo si provi che se f(x) è definita su (a,b) e se

lim xaf(x) = lim xbf(x) = +

allora la funzione ammette punti di minimo (assoluti).  


4.3.1 La dimostrazione del Teorema di Weierstrass

Premessa: nella dimostrazione useremo il Teorema di Bolzano Weierstrass e le proprietà seguenti:

A)
se {xn} è una successione a valori in [a,b], ossia se a xn b, e se esiste lim xn = x0, allora3 si ha anche a x0 b.
B)
se f(x) è continua in x0 e se xn x0 allora4 f(xn) f(x0) (naturalmente si suppone xn  domf(x)).
C)
se una successione converge, ogni sua sottosuccessione converge, ed ha il medesimo limite, finito o meno (Teorema 83). Applicheremo questo teorema ad una successione {f(xn)}. Non sapremo che {xn} converge, ma sapremo che f(xn) L. Se {xnk} è una sottosuccessione di {xn} allora {f(xnk)} è sottosuccessione di {f(xn)} e quindi f(xnk) L.

Proviamo ora il teorema di Weierstrass. Proviamo l’esistenza dei punti di massimo (la dimostrazione dell’esistenza di punti di minimo è analoga). La dimostrazione è in tre passi:

Passo 1: la costruzione di una successione massimizzante Si chiama successione massimizzante per una funzione f(x) definita su un insieme D una successione {xn} con xn  domf(x) per ogni n, e tale che inoltre

lim f(xn) = sup{f(x),x D}.

L’estremo superiore può essere finito o meno, e la successione {xn} generalmente non è regolare. Una successione massimizzante esiste sempre, senza alcuna condizione né sulla funzione f(x) né sul suo dominio. Infatti, sia

L = sup A,A =  imf(x) = {f(x),x D}.

Sia nel caso L = + che nel caso L , esiste una successione {yn} di punti di A che converge ad L. I punti di A sono valori della funzione f(x) e quindi esiste una successione {xn} tale che f(xn) = yn. Dunque5,

lim f(xn) = L.

Passo 2: se  domf(x) = [a,b] allora esiste una successione massimizzante per f(x) che è anche convergente.Sia {xn} la successione massimizzante costruita al passo 1. Si ha:

a xn b.

E quindi la successione {xn} è limitata. Per il Teorema di Bolzano-Weierstrass, essa ammette almeno una sottosuccessione {xnk} convergente:

lim xnk = x0.

Per la proprietà A), il punto x0 appartiene all’intervallo chiuso [a,b]. Inoltre, {f(xnk)} è sottosuccessione della successione convergente {f(xn)} e quindi6 ha lo stesso limite L:

lim f(xnk) = L.

Paso 3: se f(x) è continua, il punto x0 è punto di massimo per f(x)Sia x0 = lim xnk il numero costruito al Passo 2. Si è notato7 che x0 [a,b] e quindi è un punto del dominio della funzione continua f(x). Dunque8 si ha:

f(x0) = lim f(xnk) = L = sup{f(x),x [a,b]}.

Ossia, l’immagine della funzione ammette massimo ed x0 è punto di massimo. Ciò completa la dimostrazione

Il teorema di Weierstrass dipende dal teorema di Bolzano-Weierstrass e quindi usa la proprietà di completezza dei numeri reali.

4.4 Teorema dei valori intermedi

Questo teorema afferma che, sotto certe ipotesi, esistono soluzioni dell’equazione

f(x) = c.

Essenzialmente, le ipotesi sono che 1) f(x) sia continua e 2) che il grafico di f(x) “tagli quota c”. Dunque, il contenuto di questi teoremi sembra intuitivo, ma non è per niente così. Infatti, si consideri l’equazione

x3 = 2.

Per provare l’esistenza di soluzioni, si può ragionare così: la funzione f(x) = x3 vale 8 per x = 2 e vale +8 per x = +2. Inoltre è continua. Quindi, il suo grafico “non fa salti” e da qualche parte deve tagliare la retta y = 2; ossia l’equazione ammette almeno una soluzione. Questo discorso, dall’apparenza convincente, è sostanzialmente falso: pensiamo di lavorare con valori di x solamente razionali. Le condizioni su f(x) dette sopra valgono in , ma nessun numero razionale verifica x3 = 2. Dunque, il ragionamento è sbagliato. Proviamo però che l’asserto vale se si lavora in . Ricordiamo la differenza essenziale tra e : in vale la proprietà di Dedekind: ogni insieme superiormente limitato ammette estremo superiore; ogni insieme inferiormente limitato ammette estremo inferiore. E’ grazie alla proprietà di Dedekind che si può provare il risultato seguente:

Teorema 111 Sia f(x) continua su [a,b]. Si consideri l’equazione

f(x) = c,x [a,b] . (4.4)

Quest’equazione ammette almeno una soluzione se c è compreso tra f(a) ed f(b).

Il teorema non asserisce l’unicità della soluzione. Prima di provare il teorema, premettiamo vari commenti. Ricordiamo ora che, Il Teorema di Weierstrass asserisce l’esistenza di punti di massimo e di minimo della funzione f(x) in [a,b] se essa è continua sull’intervallo [a,b]. Esistono cioè x0 ed x1 in [a,b] tali che

f(x0) = min x[a,b]f(x),f(x1) = max x[a,b]f(x).

Il Teorema 111 vale anche sull’intervallo di estremi x0 ed x1 e quindi si può enunciare:

Teorema 112 Una funzione continua su un intervallo limitato e chiuso prende tutti i valori compresi tra il suo minimo e il suo massimo.

L’asserto dei due teoremi 111112 si chiama teorema dei valori intermedi La versione del teorema che si ottiene quando f(a)f(b) < 0 e si sceglie c = 0 si chiama teorema di esistenza degli zeri

Teorema 113 (di esistenza degli zeri) Una funzione f(x) continua su [a,b] e che ivi prende sia valori positivi che valori negativi, si annulla almeno in un punto di [a,b].

Il teorema dei valori intermedi dipende dalla proprietà di completezza dei numeri reali, e richiede in modo essenziale che il dominio della funzione sia un intervallo.

Dimostrato il teorema dei valori intermedi, possiamo anche estendere in vari modi le considerazioni da cui siamo partiti. Per esempio:

Corollario 114 Se f(x) è continua su ed inoltre i due limiti (finiti o meno)

lim xf(x), lim x+f(x)

hanno segni opposti, la funzione ammette almeno uno zero. In particolare, tutti i polinomi di grado dispari hanno uno zero in .

Dim. Infatti, il teorema di permanenza del segno garantisce l’esistenza di R tale che

f(R) ed f(R) hanno segno opposto.

Si applica quindi il teorema 112 all’intervallo [R,R]. Questo risultati si applica in particolare ai polinomi di grado dispari perché essi sono infiniti di segno opposto per x + e per x .  

Il Teorema dei valori intermedi mostra che le funzioni continue trasformano intervalli in intervalli. Più precisamente si ha, usando il Teorema 112:

Corollario 115 Sia J un intervallo (limitato o meno, chiuso o meno). Se f(x) è definita e continua su J allora f(J) è un intervallo. Se inoltre J è un intervallo limitato e chiuso, J = [a,b], allora f(J) è un intervallo limitato e chiuso contentente l’intervallo [f(a),f(b)].

Si faccia un esempio per mostrare che in generale f(J) contiene propriamente l’intervallo [f(a),f(b)]. Interpretiamo ora questi risultati dal punto di vista del grafico di due funzioni:

Corollario 116 Siano f(x) e g(x) due funzioni continue su [a,b] e supponiamo che

f(a) < g(a),f(b) > g(b)

(o viceversa). I grafici delle due funzioni hanno almeno un punto comune.

Dim. I grafici hanno un punto comune quando esiste una soluzione x [a,b] dell’equazione

f(x) = g(x)ossia di f(x) g(x) = 0.

L’esistenza di (almeno) una soluzione di quest’equazione segue dal Teorema 112, notando che

f(a) g(a) < 0,f(b) g(b) > 0.  

4.4.1 La dimostrazione del teorema dei valori intermedi

Nella dimostrazione useremo la proprietà seguente, conseguenza del teorema di permanenza del segno per le funzioni continue: Osservazione: supponiamo che la funzione f(x) sia continua su [a,b] e sia m (a,b). Allora si ha:

Proviamo ora il teorema. Per fissare le idee facciamo la dimostrazione nel caso f(a) < f(b) e quindi f(a) c f(b). Naturalmente, se c = f(a) oppure c = f(b) l’asserto è provato e quindi consideriamo il caso in cui le disuguaglianze sono strette:

f(a) < c < f(b). (4.5)

Consideriamo l’insieme

Sc = {x [a,b]|f(x) c}.

L’insieme Sc è limitato e quindi esiste

m = inf Sc,m [a,b].

Osserviamo che:

La proprietà A) dell’Osservazione mostra che

f(m) c. (4.8)

Proviamo ora che f(m) = c, e quindi che m è una soluzione (in generale non l’unica) dell’equazione f(x) = c. La dimostrazione consistere nel provare che si ha anche f(m) c, cosìche dovrà essere f(m) = c. Notiamo che m è il massimo dei minoranti di Sc. Dunque, per ogni n esiste xn Sc tale che

m xn m + 1 n.

Per il teorema del confornto sui limiti, xn m. Inoltre, essendo xn Sc, si ha anche f(xn) c. La proprietà B) dell’Osservazione mostra che

f(m) c. (4.9)

Confrontando (4.8) and (4.9) si conclude che si ha

f(m) = c.

Ciò prova l’asserto.

4.4.2 Una conseguenza sulle funzioni iniettive

Una funzione strettamente monotona è iniettiva e quindi invertibile. Il contrario non vale. Si sono visti esempi di funzioni invertibili ma non monotone. Però gli esempi che abbiamo visto sono

Il teorema seguente mostra la ragione:

Teorema 117 Sia f(x) una funzione continua su un intervallo [a,b]. Se essa è iniettiva, allora è strettamente monotona.

Dim. L’iniettività implica che f(a)f(b). Consideriamo il caso

f(a) < f(b).

Proviamo che ciò implica che la funzione è strettamente crescente, ossia che per ogni x1 ed x2 di [a,b] con x1 < x2 si ha

f(x1) < f(x2)

(l’uguaglianza non può aversi perché la funzione è iniettiva). Consideriamo prima di tutto i tre punti a, x1 e b e proviamo che f(a) < f(x1) < f(b). Sia per assurdo

f(x1) < f(a) < f(b).

Il teorema dei valori intermedi applicato a [x1,b] implica che esiste d (x1,b) tale che f(d) = f(a). Ciò non può darsi perché la funzione è iniettiva. Dunque,

f(a) < f(x1)

e procedendo in modo analogo si vede anche che

f(x1) < f(b).

Sia ora x2 (x1,b]. Sull’intervallo [x1,b] si può lavorare come si è fatto prima sull’intervallo [a,b] e si trova

f(x1) < f(x2) < f(b).

In definitiva, qualsiasi coppia di punti x1, x2 di [a,b] tali che x1 < x2 verifica anche f(x1) < f(x2). E quindi la funzione è crescente su [a,b]. Il caso f(a) > f(b) si tratta in modo analogo.  

4.5 Funzioni derivabili su intervalli

I due teoremi principali che riguardano le funzioni derivabili in tutti i punti di un intervallo sono il Teorema di Rolle e il Teorema di Lagrange

Teorema 118 (Teorema di Rolle) Sia f(x) una funzione con le seguenti proprietà:

Allora, esiste c (a,b) tale che f(c) = 0.

Dim. Se la funzione è costante, la sua derivata è nulla in ogni punto e quindi un qualsiasi punto di (a,b) può scegliersi come punto c. Sia f(x) non costante. La funzione è continua su [a,b], limitato e chiuso, e quindi per il Teorema di Weierstrass ammette un punto di minimo x0 e un punto di massimo x1 e vale

f(x0)f(x1),

perché la funzione non è costante. Dunque non può essere che x0 ed x1 siano gli estremi a e b dell’intervallo, perché in tali punti la funzione prende lo stesso valore. Quindi almeno uno dei due punti x0 oppure x1 è interno all’intervallo: si tratta di un punto c di estremo, interno all’intervallo, e in cui la funzione è derivabile. In tale punto la derivata è nulla per il Teorema di Fermat.  

Esempio 119 Osserviamo che le ipotesi del Teorema di Rolle non possono essere eliminate, come provano gli esempi seguenti:

Se si rimuove l’ultima ipotesi del Teorema di Rolle si trova:

Teorema 120 (Teorema di Lagrange) La funzione f(x) verifichi le seguenti ipotesi:

Allora, esiste c (a,b) tale che

f(c) = f(b) f(a) b a .

Dim. Si noti che

y = f(a) + f(b) f(a) b a (x a)

è l’equazione della corda che congiunge i punti del grafico

(a,f(a)),(b,f(b)).

Dunque, la funzione

g(x) = f(x) f(a) + f(b) f(a) b a (x a)

verifica le tre ipotesi del Teorema di Rolle. Dunque, esiste c (a,b) tale che

g(c) = 0 ossiaf(c) = f(b) f(a) b a .  

Ricordando che f(c) è la pendenza della tangente al grafico della funzione in (c,f(c)) si vede il significato geometrico del Teorema di Lagrange: esiste un punto del grafico in cui la tangente al grafico stesso è parallela alla corda congiungente i suoi estremi. Il punto c che figura nel Teorema di Lagrange si chiama punto di Lagrange per f(x) su (a,b). Il teorema asserisce l’esistenza, sotto le opportune ipotesi, del punto di Lagrange ma non l’unicità: potrebbero esistere infiniti punti di Lagrange per f(x) sull’intervallo (a,b).

Osservazione 121 Va osservato che:

Segue dal Teorema 143:

Corollario 145 Se f(x) è definita su (a,b) e discontinua in x0 (a,b) allora la discontinuità è di seconda specie.

Dim. Ricordiamo che f(x) ha discontinuità eliminabile oppure di prima specie in x0 (a,b) quando esistono ambedue i limiti direzionali lim xx0f(x) e lim xx0+f(x), ed uno almeno è diverso da f(x 0). Per ipotesi, f(x 0) esiste e quindi f(x) è continua in x0. Il teorema precedente garantisce che i due limiti direzionali, se esistono, valgono f(x 0); ossia x0 non può essere né punto di salto né discontinuità eliminabile di f(x).  

Questo risultato permette in particolare di asserire che la funzione  sgn(x) non è una funzione derivata in nessun intorno di 0, e quindi non ammette primitive. Esistono però funzioni ovunque derivabili, la cui derivata ammette discontinuità di seconda specie. Un esempio è la funzione f(x) = x2 sin(1x) per x0, ed f(0) = 0.

5.2 La formula di Taylor

La formula di Taylor è un’estensione della prima o della seconda formula degli incrementi finiti. Vediamo separatamente i due casi.

5.2.1 La formula di Taylor con resto in forma di Peano

La formula di Taylor (con resto in forma di Peano) è un’estensione della prima formula degli incrementi finiti a funzioni che in un punto x0 hanno più di una derivata. Notiamo che:

Supponiamo che in x0 esista la derivata seconda. Allora, si può scrivere la prima formula degli incrementi finiti in x0 per la funzione f(x):

f(x) = f(x 0) + (x x0)f(x 0) +  o(x x0). (5.2)

Per definizione, f(x) ammette primitive e x (x x0)f(x0) ammette primitive. Dunque anche  o(x x0) ammette primitive. Le primitive che si annullano in x0 di f(x), di f(x 0) e di (x x0)f(x0) (funzioni della variabile x) sono rispettivamente

f(x) f(x0), f(x 0)(x x0), 1 2f(x0)(x x0)2.

Come si è notato, da (5.2) si vede che anche  o(x x0) ammette primitive e, per il Teorema 140,

x0x o(s x 0)ds =  o(x x0)2.

Uguagliando le primitive che si annullano in x0 dei due membri di (5.2) si trova

f(x) = f(x0) + f(x 0)(x x0) + 1 2f(x0)(x x0)2 +  o(x x 0)2.

Quest’argomento si può ripetere se ci sono derivate di ordine successivo. Per esempio, se c’è la derivata terza in x0, si può scrivere la prima formula degli incrementi finiti per f(x),

f(x) = f(x0) + f(x0)(x x0) +  o(x x0).

Prendendo due volte le primitive dei due membri che si annullano in x0 si trova

f(x) = f(x0)+f(x 0)(xx0)+ 1 2f(x0)(xx0)2+ 1 3!f(x0)(xx0)3+ o(xx 0)3.

In generale, se f(x) ammette n derivate in x0, si trova2

f(x) = k=0nf(k)(x 0) k! (x x0)k +  o(x x 0)n.

Questa formula si chiama formula di Taylor con resto in forma di Peano e, più precisamente:

Osservazione 146 Sia f(x) una funzione dotata di derivata n-mma in x0 e sia Pn(x) il suo polinomio di Taylor di grado n e centro x0. Esso verifica

f(x) Pn(x) =  o(x x0)nper x x 0.

Si potrebbe provare che nessun altro polinomio di grado n in (x x0) ha questa proprietà.  

5.2.2 La formula di Taylor con resto in forma di Lagrange

La formula di Taylor (con resto in forma di Lagrange) è un’estensione della seconda formula degli incrementi finiti a funzioni che hanno più di una derivata in un intorno di x0. Limitiamoci ad enunciarla. Sia f(x) definita su (a,b) ed ivi dotata di n derivate. Sia x0 (a,b). Supponiamo che f(n+1)(x) esista in (x0,b). Allora esiste c (x0,b) tale che

f(x) = k=0nf(k)(x 0) k! (x x0)k + 1 (n + 1)!f(n+1)(c)(x x 0)n+1.

Analogo risultato vale, con c (a,x0) se f(n+1)(x) esiste in (a,x0). L’errore

1 (n + 1)!f(n+1)(c)(x x 0)n+1

si chiama resto in forma di Lagrange

5.2.3 Polinomio di McLaurin e parità di una funzione

Ricordiamo che una funzione f(x) dispari e definita in x0 = 0 è ivi nulla. Quest’osservazione è stata usata al paragrafo 3.5 per provare che le derivate di ordine dispari di una funzione pari sono nulle in x0 = 0; le derivate di ordine pari di una funzione dispari sono nulle in x0 = 0 (si veda il Teorema 102). Possiamo quindi enunciare:

Teorema 147 Sia p(x) polinomio di McLaurin di una funzione f(x). Allora:

Naturalmente, non è vietato che anche i coefficienti di alcune potenze pari siano nulli quando f(x) è pari (ed analoga osservazione quando f(x) è dispari).

5.3 Estremi e convessità

Al Teorema 125 abbiamo visto che i punti di massimo o di minimo di una funzione continua su un intervallo possono individuarsi studiando la monotonia della funzione a destra e a sinistra del punto. Qui mostriamo che si possono anche studiare esaminando le derivate successive nel punto stesso. Inoltre, mostreremo come studiare la convessità di una funzione.

5.3.1 Derivate successive ed estremi

Sia f(x) derivabile due volte in x0. Se f(x 0)0 allora certamente x0 non è né punto di massimo né punto di minimo (si ricordi il Teorema di Fermat). Supponiamo quindi f(x 0) = 0. Si ha:

Teorema 148 Se f(x 0) = 0 e f(x0) > 0 allora il punto x0 è punto di minimo; Se f(x 0) = 0 e f(x0) < 0 il punto x0 è punto di massimo per f(x).

Dim. Scriviamo la formula di Taylor di centro x0 arrestata al secondo ordine, con resto in forma di Peano. Ricordando che f(x 0) = 0 si vede che

f(x) f(x0) = 1 2f(x0)(x x0)2 +  o(x x 0)2 = (x x 0)2 1 2f(x0) +  o(1) .

Per x x0, la funzione 1 2f(x 0) +  o(1) tende ad f(x0)2 e quindi in un intorno di x0 ha il segno di f(x0)2; il fattore (x x0)2 è maggiore o uguale a zero e quindi in tale intorno

f(x0) > 0f(x) f(x0) > 0; f(x0) < 0f(x) f(x0) < 0.  

Niente può dirsi se f(x0) = 0. Però, una dimostrazione in tutto analoga prova che:

Teorema 149 Esista f(2n)(x 0) e sia f(k)(x 0) = 0 per ogni k < 2n. Se f(2n)(x 0) > 0 il punto x0 è punto di minimo; se f(2n)(x 0) < 0 il punto x0 è punto di massimo per f(x).

5.3.2 Convessità e punti di flesso

Ricordiamo la definizione di convessità data al paragrafo 1.8.3: una funzione è convessa su un intervallo [a,b] quando per ogni coppia di punti x1 ed x2 di [a,b], la corda che unisce (x1,f(x1)) ed (x2,f(x2)) sta sopra al grafico della restrizione della funzione ad (x1,x2).3 Ricordiamo anche che una funzione è concava quando f(x) è convessa. La definizione di convessità è stata data usando le secanti, che esistono anche se f(x) non è derivabile. Se però f(x) è derivabile su (a,b) allora si ha il risultato seguente, illustrato nella figura 5.2 e che non proviamo:

Teorema 150 La funzione f(x) è convessa su (a,b) se e solo se per ogni x (a,b) e per ogni ξ (a,b) si ha

f(x) f(ξ) + f(ξ)(x ξ).

Ossia, la funzione derivabile f(x) è convessa su [a,b] se e solo se il suo grafico è ovunque sopra a ciascuna delle tangenti nei punti del grafico stesso. Si enunci la proprietà analoga per le funzioni derivabili e concave.



figure 5.2: Funzione convessa e tangenti

PIC


Questa proprietà di tipo geometrico si formula in modo analitico usando la formula di Taylor. Supponiamo che esista f(x) e scriviamo la formula di Taylor di centro ξ e resto in forma di Lagrange:

f(x) f(ξ) + f(ξ)(x ξ) = 1 2f(c)(x x0)2 (5.3)

Quest’uguaglianza mostra che4 se f(c) 0 per ogni c (a,b) allora

f(x) f(ξ) + f(ξ)(x ξ).

Dunque:

Teorema 151 Sia f(x) due volte derivabile su (a,b). La funzione f(x) è convessa su (a,b) se e solo se f(x) 0 per ogni x (a,b)5.

Sia ora f(x) una funzione di classe C2. Se f(x0) > 0 allora, per il teorema di permanenza del segno, f(x) > 0 in un intorno di x0 e in tale intorno la funzione è convessa. Se invece f(x0) = 0 ed f(x) cresce oppure decresce, allora la funzione è convessa da una parte di x0 e concava dall’altra. Un caso in cui ciò avviene è il seguente:

Teorema 152 Sia f(x) di classe C3 e sia f(x0) = 0 ed f(x0)0. In questo caso la funzione è convessa da una parte di x0 e concava dall’altra.

Dim. Sia per esempio f(x0) > 0. Allora, per il teorema di permanenza del segno applicato alla funzione f(x), che è continua, f(x) rimane positiva in un intorno di x0. In tale intorno, f(x) è crescente e quindi negativa per x < x0 (dove la funzione è concava) e positiva per x > x0 (dove la funzione è convessa. Si tratti in modo analogo il caso f(x0) < 0.  

Consideriamo più in dettaglio il caso di f(x) di classe C3, con f(x0) = 0 ma f(x0)0. Per fissare le idee sia f(x0) > 0 cosìche f(x) < 0 per x < x0 ed f(x) > 0 per x > x0: la funzione è concava a sinistra e convessa a destra di x0. Dunque, a sinistra di x0 il grafico è sotto le tangenti ed a destra è sopra. Vediamo cosa accade in x0. Scrivendo la formula di Taylor con resto in forma di Peano si vede che

f(x) f(x0) + f(x 0)(x x0) = (x x0)3 1 3!f(3)(x 0) +  o(1) .

Se f(3)(x 0) > 0, l’uguaglianza precedente mostra che il grafico della funzione taglia la tangente al grafico in (x0,f(x0)) e in particolare il grafico è sotto alla tangente per x < x0 e sopra per x > x0. Ciò suggerisce la definizione seguente:

Definizione 153 Sia f(x) una funzione derivabile su un intervallo (a,b) che contiene x0. Se la funzione è convessa su (a,x0) e concava su (x0,b) (o viceversa), il punto x0 si dice punto di flesso per f(x). Si dice che x0 è punto di flesso ascendente per f(x) se il grafico di f(x) è sotto la tangente in (x0,f(x0)) per x < x0 e sopra per x > x0; Il punto x0 si dice punto di flesso discendente se il grafico di f(x) è sopra la tangente in (x0,f(x0)) per x < x0 e sotto per x > x0. Se x0 è punto di flesso ed inoltre f(x 0) = 0, allora si dice che x0 è punto di flesso a tangente orizzontale

Riassumendo

Teorema 154 Sia x0 (a,b) e sia f(x) C3(a,b). Se f(2)(x 0) = 0 mentre f(3)(x 0)0 allora x0 è punto di flesso. Il flesso è ascendente se f(x0) > 0, discendente se f(x0) < 0.

Naturalmente, può accadere che anche f(3)(x 0) sia nulla. Cosìcome fatto per gli estremi, si possono guardare (se esistono) le derivate successive e si ha:

Teorema 155 Se la prima derivata non nulla di f(x) in x0 di ordine maggiore di 1 è di ordine dispari, la funzione ha punto di flesso in x0. Il flesso è ascendente se tale derivata è positiva, discendente altrimenti.

5.4 Alcuni esercizi

  1. Sia F(x0) = 0, con F(x) primitiva di f(x). Si è visto (al Teorema 140) che f(x) =  o(x x0)n per x x0 implica che F(x) =  o(x x0)n+1. Si vuol sapere se ciò vale solamente per n intero, o se vale per qualsiasi esponente positivo (ovviamente restringendosi alle x > x0).
  2. ()  Ancora con riferimento al Teorema 140: supponiamo di sapere che f(x) =  o(x x0)n per x x0. Mostrare su un esempio che in generale non vale f(x) =  o(x x 0)n1 per x x0 (un esempio si trova all’esercizio 11 del Cap. 3).
  3. Per x + sia f(x) =  o(g(x)). Siano F(x) e G(x) primitive rispettivamente di f(x) e di g(x). Supponiamo che lim x+F(x) = lim x+F(x) = +. Si chiede se vale F(x) =  o(G(x)).
  4. Trovare esempi di funzioni diverse f(x) e g(x), di classe C1(), i cui grafici hanno un punto (x0,y0) comune e tali che valga una delle ulteriori proprietà seguenti:

    ()  Può essere che x0 sia asintoto verticale per una delle due funzioni?

  5. Sia f(x) derivabile su (a, +) e illimitata. Si mostri che se esiste un asintoto obliquo y = mx + n allora m = lim x+f(x).
  6. ()  Sia y = mx + n asintoto obliquo destro della funzione derivabile f(x). E’ vero che deve esistere lim x+f(x)?
  7. ()  Si consideri la funzione cosídefinita: f(n) = n; f(n + 1n2) = (n + 1n). Negli altri punti il grafico si ottiene congiungendo con segmenti i punti (n,f(n)) ed ((n + 1),f(n + 1)). Si tracci il grafico della funzione. Questa funzione è derivabile salvo che nei punti n ed n + 1n2. Si dica se esiste lim x+f(x). Si illustri qualitativamente come sia possibile modificare il grafico di questa funzione, in modo da rispondere alla domanda 6.
  8. Si mostri un esempio di funzione monotona la cui derivata prima ammette zeri. E’ possibile che f(x) ammetta infiniti zeri su ? E su un intervallo limitato?
  9. Si sa che f(x) è continua in x = 0 e che per x 0 vale
    f(x) = 5 + 3x2 + 2x4 +  o(x4).

    Si noti che questa funzione è derivabile per x = 0 (Teorema 96) ma che l’espressione scritta può non essere una formula di Taylor, perché la f(x) potrebbe non essere derivabile per x0. Ciò nonostante, si provi che 0 è punto di minimo locale della funzione.

  10. ()  Sapendo solamente che f(x) è continua in 5 e che per x 5 vale
    f(x) = 3 + 2(x 5) 7(x 5)9 +  o(x 5)9,

    può dedursi che x0 è punto di flesso di f(x)? Anche se  domf(x) = [1, 5]?

  11. Le due funzioni f(x) e g(x) siano di calsse C4() e per x x0 valga
    f(x) g(x) = 4(x x0)2 +  o(x x 0)2.

    Cosa può dedursi sulle tangenti alle due funzioni? E se invece

    f(x) g(x) = 3 + 4(x x0)2 +  o(x x 0)2

    cosa può dedursi sulle tangenti?

  12. Trovare una coppia di funzioni derivabili su , tali che
    lim x0f(x) = lim x0g(x)

    ma tali che nessuna retta sia tangente ad ambedue le funzioni.

  13. ()  Talvolta si trova la seguente come definizione di flesso: la funzione derivabile f(x) ha flesso in x0 se il grafico traversa la tangente nel punto (x0,f(x0)). Dire se questa definizione e quella data al paragrafo 5.3.2 si equivalgono. Si consideri la funzione all’esercizio 47 del Capitolo 1. Si dica se x0 = 0 è punto di flesso per questa funzione, per la definizione appena data, per la definizione al paragrafo 5.3.2, o per ambedue.
  14. Sia f(x) una funzione di classe C3 con f(x0)0. Mostrare che le due definizioni di punto di flesso, quella del paragrafo 5.3.2 e quella dell’esercizio 13, coincidono.
  15. Sia f(x) = x2 se x , ed f(x) = x2 altrimenti. Mostrare che il punto x0 = 0 è punto critico, ossia che la funzione è derivabile in x0 = 0, con derivata uguale a zero, ma che il punto x0 = 0 non è né punto di massimo, né punto di minimo, né punto di flesso.
  16. Calcolare
    lim x+e2x + 5x + cos x sin x x log x .

    Verificare se questa funzione verifica o meno le condizioni del teorema di l’Hospital e studiare il limite del quoziente delle derivate.

Capitolo 6
Ricapitolazioni

Il Trònfero s’ammalvola in verbizie
incanticando sbèrboli giocaci
sbramìna con solènnidi e vulpizie
tra i tavoli e gli ortèdoni fugaci.

Fosco Maraini, Via Veneto, in Gnòsi delle Fànfole.

In questo capitolo ricapitoliamo alcuni dei concetti fondamentali incontrati fino ad ora. Ossia, ricapitoliamo i concetti relativi alle successioni, incontrati in particolare nei capitoli 12. La ricapitolazione relativa alle funzioni si otterrà mostrando come i concetti studiati si possano usare per tracciare qualitativamente i grafici di funzioni. Naturalmente, definizioni e teoremi vanno studiati ciascuno nel proprio capitolo.

6.1 le successioni

Ricordiamo che indica l’insieme dei numeri naturali (incluso o meno 0, come generalmente si deduce dal contesto) e che una successione è una funzione il cui dominio è . Il simbolo usato per indicare una successione, invece di f(n), è (fn) oppure {fn}. Quando, come spesso accade, si intende che la successione prenda valori sull’asse delle ascisse, scriveremo (xn) oppure {xn}.

Il simbolo {xn} è ambiguo perché indica sia la successione, ossia la funzione nxn, che l’insieme dei numeri xn, ossia l’immagine della successione. Il significato va capito dal contesto.

Il grafico di una successione è l’insieme delle coppie (n,xn), che si rappresenta sul piano cartesiano come nell’esempio della figura 6.1, a sinistra. Si noti che in questa figura abbiamo indicato con n l’asse delle ascisse e con x quello delle ordinate, per coerenza con il simbolo {xn} usato per la successione. Quest’esempio aiuta anche a capire la differenza tra i due significati del simbolo {xn}. La figura 6.1, a sinistra riporta il grafico della funzione {xn} mentre a destra ne riporta l’immagine, ossia l’insieme {xn}.



figure 6.1: Successione e immagine: II grafico della successione ( n , ( - 1 ) n n ) è l'insieme dei punti del piano cartesiano ( 1 , - 1 ) , ( 2 , 1 2 ) , ( 3 , - 1 3 ) , ( 4 , 1 4 ) , L'immagine della successione è l'insieme dei punti sulla retta - 1 , 1 2 , - 1 3 , 1 4 ,

Grafico della successione ( ( - 1 ) N / n )
PIC
La sua immagine
PIC


In pratica però tracciare il grafico di una successione non è molto utile perché di una successione interessa il “comportamento asintotico”, ossia il comportamento per n + e questo non si vede disegnando pochi punti del grafico. Una successione è crescente se n > m implica xn xm (se n > m implica xn > xm la successione si dice strettamente crescente). Si diano le definizioni di successione decrescente e strettamente decrescente. Una successione strettamente monotona (crescente o decrescente) è una trasformazione iniettiva e quindi invertibile. Gli unici limiti che possono studiarsi per una successione sono i limiti per n +. In particolare una successione si dice

Le definizioni di limite di una successione sono state studiate al paragrafo 2. Dato che l’unico caso di limite che può studiarsi per una successione è quello per n +, invece di scrivere lim n+xn, si può scrivere piuù brevemente lim xn. Infine, ricordiamo che per le successioni vale il teorema delle funzioni monotone, che può enunciarsi come segue:

Teorema 156 Ogni successione monotona è regolare e precisamente vale:

Per interpretare l’enunciato di questo teorema, è importante aver capito i due significati diversi della notazione {xn}. Infine, ricordiamo il limite notevole

lim 1 + 1 nn = e.

Combinando questo limite col teorema sui limiti di funzioni composte, si trova:

lim 1 + a nn = ea, lim 1 1 nn = lim 1 + 1 nn = 1 e.

6.2 Studi di funzione

Si chiama “studio di funzione” il processo che conduce a tracciare qualitativamente il grafico di una funzione, individuandone dei punti particolarmente significativi. Nel fare ciò, si devono usare tutte le nozioni che abbiamo incontrato fino ad ora e conviene procedere con un certo metodo. Elenchiamone i punti salienti e poi commentiamoli.

A) il primo passo consiste nel determinare il dominio della funzione.
B) si determinano eventuali simmetrie e periodicità
C) Determinazione dei limiti (per x tendente agli estremi del dominio o ad altri punti notevoli) e degli eventuali asintoti.
D) Si studia quindi la continuità della funzione, identificando gli eventuali punti di discontinuità.
E) Si studia la derivabilità della funzione, individuando gli eventuali punti di non derivabilità.
F) Si determinano gli intervalli di monotonia ed i punti di estremo della funzione.
G) Si studia la convessità della funzione.

NOTA IMPORTANTE
In un compito d’esame usualmente viene proposta una funzione e vengono richieste solamente alcune delle proprietà del grafico. Per esempio, lo studio della convessità potrebbe non essere richiesto. Ciò non solo perché è diffcile, ma anche perché si valuta che porti via del tempo da dedicare invece ad altre domande. Per questo si sconsiglia di fare studi non richiesti. Infatti:
  1. parti in più oltre a quelle richieste non hanno punteggio, ma gli eventuali errori possono venir valutati;
  2. parti in più di una parte del compito non compensano eventuali parti non svolte. Il punteggio delle parti non svolte non viene comunque attribuito.

Il grafico della funzione va tracciato qualitativamente solo sulla base degli elementi richiesti, ed è importante che sia coerente con i risultati trovati, anche se sono sbagliati. Un grafico corretto ma non coerente con gli errori fatti viene considerato incoerente e penalizzato. Talvolta certi errori rendono impossibile tracciare un grafico (per esempio, se si trova che la funzione decresce per x > 0 e contemporaneamente che diverge positivamente per x + il grafico non può farsi). In questo caso una delle informazioni trovate è sbagliata. Se possibile, conviene correggerla. Se non c’è tempo di correggerla, al momento di tracciare il grafico, NOTARE ESPLICITAMENTE l’incoerenza dei risultati trovati, dicendo quali si conservano nel tracciare il grafico. Ciò per evitare penalizzazioni dovute al grafico incoerente. Inoltre, un compito d’esame può fare altre domande, per esempio di individuare il numero delle intersezioni tra il grafico tracciato e certe famiglie di curve, per esempio rette; di dedurre dal grafico tracciato quello di altre funzioni (per esempio, dal grafico di f(x) quello di 1f(x) o di |f(x)|).

Ora commentiamo i vari passi.

A) Determinazione del dominio della funzione. Ricordiamo che questo è un problema puramente scolastico. Il dominio della funzione fa parte della descrizione del processo fisico che si intende studiare, e quindi è assegnato insieme alla funzione stessa. Invece, come puro esercizio scolastico, si intende che la funzione è definita in ciascuno dei punti nei quali possono effettuarsi le operazioni mediante le quali viene assegnata.
B) Simmetrie e periodicità. Ricordiamo che una funzione è pari o dispari se il suo dominio è simmetrico rispetto all’origine ed inoltre è pari se f(x) = f(x) (grafico simmetrico rispetto all’asse delle ordinate) ed è dispari se f(x) = f(x) (grafico simmetrico rispetto all’origine). Se una funzione è pari o dispari ci si può limitare a studiare la funzione per x > 0 e ottenerne il grafico su tutto il dominio usandone la simmetria. Non va dimenticato di studiare esplicitamente la natura che il punto x = 0 ha rispetto alla funzione (continuità, derivabilità, punto di estremo…). Una funzione è periodica se esiste T > 0 tale che f(x) = f(x + T). Il numero T si chiama “periodo” della funzione. Se esiste un minimo periodo che è strettamente positivo, generalmente è tale numero che si chiama “periodo”. Naturalmente, una funzione periodica ha dominio illimitato sia superiormente che inferiormente ed è priva di limite per x + ed x , salvo il caso in cui sia costante. Se una funzione è periodica di periodo T, ci si può limitare a studiarne la restrizione all’intervallo [0,T] e quindi tracciarne il grafico per periodicità (senza dimenticare di studiare la continuità, derivabilità, massimi o minimi…in 0 e in T).
C) Determinazione dei limiti e degli asintoti. Se il dominio è illimitato, si calcolano i limiti per x + e per x . Se uno di questi limiti è finito, e vale l, la retta y = l si chiama “asintoto orizzontale” (destro, sinistro oppure bilatero). Se invece la funzione è un infinito del primo ordine rispetto all’infinito di confronto x, può esistere o meno un “asintoto obliquo”. Questo va determinato. Si calcolano quindi i punti x0 tali che uno almeno dei due limiti
lim xx0±|f(x)| = +.

In tal caso, la retta x = x0 si chiama “asintoto verticale” per la funzione. Ricordiamo che se x = x0 è un asintoto verticale, il punto x0 può appartenere o meno al dominio della funzione.

D) Continuità della funzione, ed eventuali punti di discontinuità. Conviene anche studiare se la funzione ammette o meno estensione continua a punti che non appartengono al dominio. La funzione è continua in x0 se
lim xx0f(x) = f(x0).

Può accadere che f(x) non sia definita in x0 ma che esista

lim xx0f(x) = l .

In tal caso, la funzione

g(x) = f(x) sex0 l  sex = 0

è continua in x0 e si chiama l’estensione per continuità di f(x) ad x0. Per esempio, la funzione

f(x) = e1x2

non è definita in 0 ma può essere estesa per continuità a 0 perché

lim x0e1x2 = 0.

Naturalmente, può accadere che si possa definire un’estensione della funzione che è continua o solo da destra o solo da sinistra, come accade per la funzione

f(x) = e1x.

Questa funzione è priva di limite per x 0 e si ha

lim x0f(x) = 0, lim x0+f(x) = +.

L’estensione

g(x) = f(x) sex0 0  sex = 0

non è continua in 0, ma è continua da sinistra in 0. Se f(x) non è continua in x0 si possono avere i tre casi seguenti:

  • discontinuità eliminabile: se il limite lim xx0f(x) = l , con lf(x0). Un esempio è in figura 6.2, a sinistra.

    figure 6.2: Discontinuità
    Discontinuit`a eliminabile

    PIC

    Discontinuità di prima specie o salto
    PIC


  • discontinuità di prima specie o salto se ambedue i limiti direzionali seguenti esistono finiti, ma diversi tra loro. Non si esclude che uno dei due possa essere uguale ad f(x0), si veda la figura 6.2, a destra.
  • discontinuità di seconda specie ogni altro caso. Esempi sono in figura 6.3.

    figure 6.3: Due discontinuità di seconda specie.

E) Si studia la derivabilità della funzione ed eventuali punti di non derivabilità. Supponiamo che esista, finito o meno, il limite seguente:
lim xx0f(x) f(x0) x x0

Si hanno i due casi seguenti:

  • il limite è finito. In tal caso la funzione è continua in x0 e il limite, che si chiama derivata di f(x) in x0, si indica col simbolo f(x 0). La retta
    y = f(x0) + f(x 0)(x x0) (6.1)

    si chiama retta tangente al grafico di f(x) nel punto (x0,f(x0)). Un esempio è in figura 6.4



    figure 6.4: Rette tangenti

    PIC


  • il limite è + oppure . In tal caso la funzione può essere discontinua in x0. Se però la funzione è continua in x0 allora si dice che la retta verticale x = x0 è tangente al grafico di f(x) in (x0,f(x0)). I due casi sono illustrati in fig 6.5.

    figure 6.5: Il limite del rapporto incrementale è + . A sinistra: funzione discontinua; a destra: funzione continua

    PIC PIC


Supponiamo ora che il limite (6.1) non esista, ma che esistano, finiti o meno, ambedue i limiti direzionali

lim xx0f(x) f(x0) x x0 = f(x 0), lim xx0+f(x) f(x0) x x0 = f+(x 0).

I due limiti si chiamano derivate direzionali (destra o sinistra) in x0. Si ha:

  • se la derivata destra è finita, la funzione è continua in x0 da destra; analoga affermazione per la derivata sinistra. Se una derivata direzionale è + oppure , la funzione può essere continua o meno.
  • Se le due derivate direzionali sono ambedue finite e diverse tra loro, il punto (x0,f(x0)) si dice punto angoloso e le due rette
    y = f(x0) + f(x 0)(x x0), y = f(x0) + f+(x 0)(x x0)

    si chiamano le tangenti al grafico di f(x) da sinistra o da destra in x0 (più correttamente, sono le tangenti in (x0,f(x0)) ai grafici delle restrizioni di f(x) a x x0, rispettivamente a x x0). Un esempio è in figura 6.6, a sinistra.



    figure 6.6: Sinistra: punto angoloso; destra: cuspide

    PIC PIC


  • se la funzione è continua in x0 e se le due derivate direzionali in x0 sono una + e l’altra , il punto (x0,f(x0)) si dice cuspide La retta x = x0 si dice ancora tangente al grafico in (x0,f(x0)). Un esempio è in figura 6.8, a destra mentre la figura 6.6 mostra due casi in cui il rapporto incrementale ha limite +.
  • Infine, supponiamo che f(x) sia definita su un intervallo [a,b] e x0 = a (oppure x0 = b). Se esiste la derivata, rispettivamente destra o sinistra, in x0, si può ancora parlare di tangente al grafico della funzione in (x0,f(x0)). Naturalmente, se la derivata direzionale è + oppure allora dovremo preventivamente richiedere che la funzione sia continua in x0.

    Osservazione 157 Supponiamo f(x) definita su (a,b), continua in x0 (a,b). Supponiamo che le due derivate direzionali in x0 esitano e siano ambedue + oppure . Allora, x = x0 è tangente verticale al grafico di f(x) nel punto (x0,f(x0)). Il grafico taglia la tangente nel solo punto (x0,f(x0)), perché la funzione è univoca. Quindi, il grafico sta da una parte della tangente per x < x0 e dall’altra per x > x0. Se accade che la funzione è convessa da una parte di x0 e concava dall’altra, il punto x0 si chiama flesso a tangente verticale Questo caso è illustrato nella figura 6.6, a destra.  

Lo studio della derivabilità nei punti in cui non si possono applicare le formule di derivazione, si fa studiando esplicitamente il limite del rapporto incrementale, generalmente mediante il Teorema di L’Hospital.

F) Gli intervalli di monotonia ed i punti di estremo della funzione. Gli intervalli di monotonia si determinano studiando il segno della derivata prima e quindi conducono alla risoluzione di opportune disequazione. Lo studio della monotonia può portare ad identificare immediatamente alcuni punti di estremo: quei punti x0 nei quali la funzione è continua e monotona di senso opposto dalle due parti del punto. In generale, i punti di estremo della funzione vanno cercati tra i punti in cui si annulla la derivata prima e tra i punti nei quali la funzione non è derivabile (inclusi gli estremi del dominio, se la funzione vi è definita). Alternativamente, invece di dedurre le proprietà di estremo dallo studio della monotonia, si può studiare il segno delle derivate successive (ma spesso ciò conduce a calcoli più complessi e inoltre non si può fare negli estremi del dominio e nei punti in cui le derivate non esistono).
G) Convessità della funzione. Quando la funzione è derivabile, conviene studiare la monotonia della derivata prima, ossia il segno della derivata seconda. Supponiamo ora x0 (a,b) e che esista f(x 0). Confrontiamo il grafico di f(x) con la retta tangente in (x0,f(x0)). Si hanno tre casi:
  • esiste un intorno di x0 in cui vale
    f(x) f(x0) + f(x 0)(x x0).

    In tal caso la funzione si dice convessa in x0

  • esiste un intorno di x0 in cui vale
    f(x) f(x0) + f(x 0)(x x0).

    In tal caso la funzione si dice concava in x0 La figura 6.7 mostra il grafico di una funzione che è convessa in alcuni punti, concava in altri.



  • esiste un I intorno di x0 tale che
    x I,x x0f(x) f(x0) + f(x 0)(x x0), x I,x x0f(x) f(x0) + f(x 0)(x x0)

    (o le analoghe, con i versi delle disuguaglianze a destra scambiati tra loro). In tal caso si dice che x0 è “punto di flesso”. Un esempio è in figura 6.8, a sinistra.



    figure 6.8: Sinistra: punto di flesso; destra: la convessità cambia, ma non c’è flesso (link)

    PIC PIC


    La figura 6.8, a destra, mostra una funzione che cambia di concavità in corrispondenza di un punto che non è di flesso, perché in tale punto non esiste la tangente al grafico della funzione.

Naturalmente, può darsi che nessuno dei casi descritti si verifichi. Si consideri l’esempio della funzione

f(x) = x2 sin(1x) sex0 0  sex = 0.

Capitolo 7
Numeri complessi

Non è per la sua cultura che lo amo—no, non è per quello. E’ un autodidatta; in realtà conosce una quantità di cose, solo che non stanno cosìcome le sa lui. Diario di Eva, Il diario di Adamo ed Eva di Mark Twain

In questo capitolo introduciamo le proprietà essenziali di una nuova classe di numeri che si chiamano numeri complessi Per quanto storicamente falso, conviene pensare ai numeri complessi come introdotti per risolvere l’equazione

x2 + 1 = 0,

ovviamente priva di soluzioni in .

7.1 La definizione dei numeri complessi

Si riferisca il piano ad un sistema di coordinate cartesiane ortogonali1 di origine in un punto O. In questo modo, un punto P viene identificato dalle sue coordinate x (ascissa) ed y (ordinata) e viene indicato in vari modi, per esempio P(x,y). I numeri complessi sono i punti del piano cartesiano dotati di due operazioni che hanno un significato fisico che vedremo, ma la notazione che si usa per indicare i numeri complessi è diversa da quella usuale della geometria analitica o della fisica. La seconda componente, ossia l’ordinata, si identifica mediante un “fattore” usualmente2 indicato con i, scritta indifferentemente prima o dopo. E il punto P di coordinate x ed y si indica con x + iy o anche x + yi. Questa notazione permette di identificare immediatamente l’ordinata del punto, che è y, e quindi anche l’ascissa, che è x. Dunque, l’ordine in cui esse vengono scritte non ha influenza e lo stesso numero complesso può rappresentarsi indifferentemente

x + iy = x + yi = yi + x = iy + x.

Inoltre, se una delle due coordinate è nulla essa si sottintende e quindi

xindica x + i0,iyindica 0 + iy.

Se ambedue le coordinate sono nulle, ossia se il punto corrisponde all’origine, esso si indica con 0. Si noti in particolare:

 1 indica 1 + i0 e si chiama unità dei numeri complessi;  i indica 0 + 1i e si chiama unità immaginaria

Inoltre, i numeri iy si chiamano numeri immaginari (talvolta “immaginari puri”) e quindi l’asse delle ordinate si chiama anche asse immaginario I numeri x = x + i0 si chiamano numeri complessi reali e l’asse delle ascisse si chiama anche asse reale Nel contesto dei numeri complessi, i termini “ascissa” ed “ordinata” vengono sostituiti dai termini parte reale e parte immaginaria Inoltre, i numeri complessi si indicano spesso con le lettere z, u, v, w ed è più frequente usare le lettere a e b (per esempio) invece di x ed y. Ossia, scriveremo

z = a + ib

e useremo le notazione seguenti per la parte reale e la parte immaginaria:

ez = a,mz = b.

Si noti che “parte reale” e “parte immaginaria” sono ambedue numeri reali. Se z = a + ib, il simbolo z indica il numero a + i(b) che si scrive più semplicemente a ib. Ossia,

z = a ib.

L’insieme dei numeri complessi si chiama anche piano complesso o piano di Argand-Gauss I numeri complessi si chiamano anche i “punti” del piano complesso. Per esercizio, si indichi un numero complesso z sul piano complesso, e quindi z. L’insieme dei numeri complessi, dotato delle operazioni che vedremo, si indica col simbolo . La rappresentazione a + ib si chiama rappresentazione algebrica dei numeri complessi. E’ importante anche una seconda rappresentazione, che si chiama “trigonometrica”.

Rappresentazione trigonometrica dei numeri complessi Consideriamo un’altra rappresentazione dei punti del piano cartesiano, e quindi anche dei punti del piano complesso, che si chiama la rappresentazione polare Si congiunga il punto P(x,y), ossia il numero complesso z = x + iy, con l’origine delle coordinate. Si trova un segmento la cui lunghezza è

r = x2 + y2.

Il numero r si chiama il modulo del numero complesso. Il segmento fa un’angolo 𝜃 con l’asse reale positivo.

Il numero 𝜃 si considera positivo se il semiasse reale positivo gira in senso antiorario per sovrapporsi al segmento PO, orientato da O verso P; negativo altrimenti.

Quest’angolo si chiama argomento o anomalia La coppia (r,𝜃) si chiama rappresentazione polare ad ogni coppia (r,𝜃) corrisponde un solo punto P.

Si noti però che la corrispondenza tra P e la sua rappresentazione polare non è biunivoca: l’angolo 𝜃 è determinato a meno di multipli di 2π se r > 0. Infatti,

(r,𝜃) e(r,𝜃 + 2π)
identificano il medesimo punto P. Se r = 0, tutte le coppie (0,𝜃) identificano l’origine delle coordinate. Si ritrova una corrispondenza biunivoca, ma solamente per r > 0, se si impone di scegliere 𝜃 [0, 2π). L’argomento cosìscelto si chiama argomento principale

Noti r e 𝜃, si ha

x = r cos 𝜃,y = r sin 𝜃

e quindi il numero complesso x + iy si scrive come

r cos 𝜃 + ir sin 𝜃

che usa scrivere come

r(cos 𝜃 + i sin 𝜃).

Si chiama questa la rappresentazione trigonometrica dei numeri complessi

7.2 Operazioni tra i numeri complessi

Per ora abbiamo descritto l’insieme dei numeri complessi. Descriviamo ora le operazioni tra essi, che sono due: la somma e il prodotto (che daranno anche la sottrazione e la divisione).



figure 7.1: sinistra: somma (1 + i) + (1 + 2i) Somma di due numeri complessi: il segmento congiungente ( 0,0 ) con ( 1,1 ) e il segmento congiungente ( 0,0 ) con ( 1,2 ) individuano un parallelogramma la cui diagonale è il segmento congiungente ( 0,0 ) con ( 1 + 1,1 + 2 ) ; destra [(cos π4 + i sin π4)][2(cos π3 + i sin π3)] Il numero complesso prodotto di due numeri complessi ha per modulo il prodotto dei moduli e per anomalia la somma delle anomalie

PIC PIC


7.2.1 Somma di numeri complessi

E’ l’operazione di somma di vettori con la regola del parallelogramma, ossia essa si fa sommando le componenti corrispondenti:

(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d).

Si osservi che

7.2.2 Il prodotto

Il prodotto di due numeri complessi si indica con z w (o anche semplicemente come zw) e si capisce meglio rappresentando i numeri in forma trigonometrica. Definiamo

[r(cos 𝜃 + i sin 𝜃)] [ρ(cos ϕ + i sin ϕ)] = rρ cos(𝜃 + ϕ) + i sin(𝜃 + ϕ) .

Ossia, il prodotto opera in questo modo: prima si sommano gli argomenti, e quindi il primo punto viene ruotato di tanto quanto è l’argomento del secondo, e poi si fa il prodotto dei moduli. Per chi conosce un po’ di elettrotecnica: è questa la forma che assume la legge di Ohm per le correnti alternate! Il numero

1 = 1 + i0 = 1(cos 0 + i sin 0)

è l’elemento neutro rispetto al prodotto:

z 1 = 1 z = z

per ogni z . Il numero w = 1z deve verificare

wz = 1.

Quindi, se z = r(cos 𝜃 + i sin 𝜃),

1 z = 1 r cos(𝜃) + i sin(𝜃) = 1 r(cos 𝜃 i sin 𝜃).

Definito il prodotto, si possono definire le potenze ad esponente intero:

z2 = z z,z1 = 1 z,z2 = 1 z2,

Il prodotto in notazione algebrica Usiamo i colori per distinguere un numero complesso dall’altro: sia

z = a + ib,w = c + id

quando i due numeri sono rappresentati in notazione algebrica e, corrispondentemente

z = r cos 𝜃 + i sin 𝜃,w = ρ cos ϕ + i sin ϕ.

Dunque

a = r cos 𝜃,b = r sin 𝜃, c = ρ cos ϕ,d = ρ sin ϕ.

Il prodotto è:

z w = r cos 𝜃 + i sin 𝜃 ρ cos ϕ + i sin ϕ (rρ) cos(𝜃 + ϕ) + i sin(𝜃 + ϕ) = (rρ) cos 𝜃 cos ϕ sin 𝜃 sin ϕ + i sin 𝜃 cos ϕ + cos 𝜃 sin ϕ = (r cos 𝜃)(ρ cos ϕ) (r sin 𝜃)(ρ sin ϕ) + i (r sin 𝜃)(ρ cos ϕ) + (r cos 𝜃)(ρ sin ϕ) = ac bd + i ad + bc.

Abbiamo quindi la seguente formula per il prodotto di numeri complessi in notazione algebrica:

z w = a + ib c + id = ac bd + i ad + bd. (7.1)

Non è necessario ricordare questa formula, perché si può ottenerla facilmente in questo modo: distribuiamo i prodotti sulle somme, ottenendo

a + ib c + id = ac + ibd + aid + ibid

Ora si proceda con le usuali regole algebriche, scambiando i simbili i nei prodotti e raccogliendoli. Si trova

a + ib c + id = ac + ibc + aid + ibid = ac + ibc + iad + (i i)bd = ac + i bd + ad + (i i)bd.

Confrontiamo (7.1) con (7.1). Si vede che la seconda restituisce la prima se3 ad i i = i2 si sostituisce 1. Infatti, con quest’ultima sostituzione si trova la formula del prodotto:

a + ib c + id = ac bd + i ad + bc.

Segue da qui che le operazioni algebriche tra i numeri complessi si fanno operando con le usuali regole algebriche, alle quali va aggiunta l’ulteriore “regola”

i2 = 1.

7.3 Il coniugato

Sia z = a + ib = r(cos 𝜃 + i sin 𝜃). Il coniugato del numero z è il numero

z̄ = a ib,

simmetrico di z rispetto all’asse reale. In notazione trigonometrica,

z̄ = r(cos 𝜃 i sin 𝜃).

Si noti che

zz̄ = r2 = |z|2.

I numeri z̄ e 1z hanno i medesimi argomenti ma in generale modulo diverso. Si ha z̄ = 1z se e solo se |z| = 1, ossia se e solo se il punto del piano cartesiano che corrisponde al numero complesso z è sulla “circonferenza goniometrica”, ossia sulla circonferenza di raggio 1 e centro l’origine delle coordinate.

Il coniugato è utile per esempio per scrivere in modo semplice l’espressione di 1z in rappresentazione algebrica:

1 z = 1 z z̄ z̄ = x iy |z|2 = x iy x2 + y2;

e quindi

w z = wz̄ |z|2 .

Si verifica immediatamente che il coniugato di una somma è la somma dei coniugati e il coniugato di un prodotto è il prodotto dei coniugati, ossia,

z + w¯ = z¯ + w¯,z w¯ = z¯ w¯.

Si suggerisce di verificare la regola relativa al prodotto sia usando la rappresentazione algebrica che quella trigonometrica. Notiamo infine che se z = a + ib,

ez = a = z + z̄ 2 ,mz = b = z z̄ 2i .

7.4 Radici di numeri complessi

Ricordiamo che la radice n–ma di un qualsiasi numero z è un numero w che risolve l’equazione

wn = z.

Vogliamo studiare quest’equazione tra i numeri complessi. Ricordiamo il significato geometrico del prodotto w w: è quel numero il cui modulo è |w|2 ed il cui argomento è il doppio dell’argomento di w. In generale, se

w = r(cos 𝜃 + i sin 𝜃)wn = rn(cos n𝜃 + i sin n𝜃);

ossia, wn ha per modulo |w|n e per argomento n𝜃. In particolare, se w0 allora wn0. Dunque, l’equazione

wn = 0

ha la sola radice w = 0. Sia invece

z = ρ(cos ψ + i sin ψ) = ρ cos(ψ + 2kπ) + i sin(ψ + 2kπ) 0.

Si ricercano numeri

w = r(cos 𝜃 + i sin 𝜃)

tali che

wn = zossiarn cos(n𝜃) + i sin(n𝜃) = ρ cos(ψ + 2kπ) + i sin(ψ + 2kπ) .

Quest’uguaglianza vale se e solo se rn = ρ, ossia r = ρn e inoltre

n𝜃 = ψ + 2kπ

ove k è un qualunque numero intero. Dunque, 𝜃 deve essere uno dei numeri

𝜃 = ψ + 2kπ n .

Sono questi infiniti argomenti ma, a causa della periodicità delle funzioni sin 𝜃 e cos 𝜃, solamente gli argomenti che si ottengono per k = 0, 1, , n 1 danno valori diversi di w. Ricapitolando:

Geometricamente, le radici n–me di z sono i vertici di un poligono regolare di n lati, i cui vertici giacciono sulla circonferenza di centro l’origine e raggio |z|n. La formula (7.2) talvolta si chiama anche formula di Moivre Torniamo ora all’uguaglianza

cos n𝜃+i sin n𝜃 = cos 𝜃 + i sin 𝜃n = k=0n n k cos k𝜃 (i)nk sin nk𝜃.

Uguagliando parte reale ed immaginaria di queste formule, si trovano espressioni per cos n𝜃 e sin n𝜃, scritte combinando solamente cos 𝜃 e sin 𝜃. Anche queste formule si chiamano formule di Moivre Un fatto notevole da notare è che i termini reali al membro destro devono avere n k pari e in tal caso sin nk𝜃 si esprime mediante potenze (di ordine pari) di cos 𝜃, ossia cos n𝜃 può rappresentarsi come combinazione di potenze di cos 𝜃, senza far intervenire sin 𝜃.

7.5 Esponenziale ad esponente complesso

Consideriamo un numero complesso non nullo, rappresentato in forma trigonometrica

z = r(cos 𝜃 + i sin 𝜃).

Dato che r > 0, si potrà scrivere

r = ea

(con a = log r). Dunque avremo

z = ea(cos 𝜃 + i sin 𝜃).

Quest’uguaglianza suggerisce di definire

ei𝜃 = cos 𝜃 + i sin 𝜃

cosìche

z = eaei𝜃.

Definiremo poi

ea+i𝜃 = eaei𝜃

cosìche

z = ea+i𝜃.

Si è cosìdefinita l’esponenziale di esponente complesso,

eα+i𝜃 = eα cos 𝜃 + i sin 𝜃 (7.3)

Questo è niente altro che un simbolismo diverso per la rappresentazione trigonometrica di numeri complessi. Però, l’esponenziale di numeri complessi cosìdefinita gode delle proprietà caratteristiche dell’esponenziale reale. Infatti, siano z e w due numeri complessi non nulli,

z = r(cos 𝜃 + i sin 𝜃) ,w = ρ(cos ϕ + i sin ϕ) .

I moduli sono positivi e quindi si può scrivere

r = eα,ρ = eβ.

Dunque, il prodotto è

zw = eαeβ cos(𝜃 + ϕ) + i sin(𝜃 + ϕ) = eα+β+i(𝜃+ϕ).

Si trova quindi

eα+i𝜃eβ+iϕ = e(α+β)+i(𝜃+ϕ).

Ed inoltre,

e0 = e0+i0 = e0 cos 0 + i sin 0 = 1 + i0 = 1.

Ossia, le proprietà cruciali dell’esponenziale reale continuano a valere per l’esponenziale complesso. La (7.3) definisce una funzione che ad un numero complesso associa un numero complesso, che si chiama l’esponenziale di numeri complessi. Le sue proprietà essenziali sono:

Queste proprietà sono le ovvie estensioni delle corrispondenti proprietà dell’esponenziale di numeri reali. Le seguenti proprietà invece non hanno analogo tra i numeri reali:

L’ultima proprietà mostra che l’esponenziale di numeri complessi è periodica di periodo 2πi. E quindi la definizione di logaritmo tra i numeri complessi, che non trattiamo, sarà alquanto delicata. Notiamo infine le formule seguenti:

eiπ = eiπ = 1,e2πi = 1, eiπ2 = i, eiπ2 = i.

L’uguaglianza

e2πi = 1

si chiama formula di Eulero La (7.3), che è la rappresentazione trigonometrica dei numeri complessi scritta in modo più compatto, è la forma più semplice e maneggevole quando si debbano fare operazioni di prodotto, quoziente, potenza e radice di numeri complessi. Per questo gli si dà il nome di rappresentazione esponenziale dei numeri complessi. Si noti che il numero 0 = 0 + i0 è l’unico numero complesso che non ha rappresentazione esponenziale, ossia non si può scrivere in forma ez. Infatti, l’esponenziale non si annulla mai. Usando la rappresentazione esponenziale dei numeri complessi, le radici n-me di

eα+i𝜃

sono rappresentano come

e(α+i𝜃)ne(2kπi)n,0 k n 1

(ed ovviamente k intero). I numeri

𝜖k = e(2kπi)n,0 k n 1

sono le n radici n-me di 1.

7.6 Continuità e derivate

Consideriamo ora una funzione a valori complessi di una variabile reale che indichiamo con t:

tz(t) = f(t) + ig(t).

Supponiamo che t appartenga ad un intervallo (a,b). Limiti e continuità si definiscono per componenti, ossia, per la definizione di limite,

lim tt0z(t) = lim tt0 f(t) + ig(t) = lim tt0f(t) + i lim tt0g(t) .

E quindi, in particolare, z(t) è continua in t0 se e solo se sia f(t) che g(t) lo sono. La derivata si definisce come il limite del rapporto incrementale,

lim h0z(t0 + h) z(t0) h = lim h0 f(t0 + h) + ig(t0 + h) f(t0) + ig(t0) h = lim h0f(t0 + h) f(t0) h + i lim h0 g(t0 + h) g(t0) h .

Dunque, anche la derivata si definisce per componenti e z(t) è derivabile se e solo se sono derivabili sia f(t) che g(t). In tal caso si ha:

 sez(t) = f(t) + ig(t) alloraz(t) = f(t) + ig(t).

A noi interessa calcolare la derivata dell’esponenziale. Per essa vale una forma in tutto analoga a quella che si ha per l’esponenziale reale:

Teorema 158 Vale:

d dtez0t = z 0ez0t.

Dim. Sia

z0 = a + ibcosìcheez0t = eat(cos bt + i sin bt).

Dunque,

ez0t = f(t)+ig(t), con f(t) =eat cos bt g(t) =eat sin bt.

Calcoliamo la derivata della parte reale e della parte immaginaria:

f(t) = eat a cos bt b sin bt, g(t) = eat a sin bt + b cos bt.

Quindi:

d dtez0t = f(t) + ig(t) = eat a cos bt b sin bt + ieat a sin bt + b cos bt (a + ib) eat cos bt + i sin bt = z 0ez0t.  

7.7 Il teorema fondamentale dell’algebra

L’esistenza delle radici permette di risolvere le equazioni della forma

zn + a = 0

ove a è il termine noto e z è l’incognita: Quest’equazione ha la sola soluzione nulla se a = 0. Altrimenti ammette n soluzioni. Consideriamo ora l’equazione che si ottiene uguagliando a zero un generico polinomio4

0 = anzn + a n1zn1 + a 1z + a0 = r=0na rzr,a n0. (7.4)

Se n = 1 oppure n = 2 allora quest’equazione ammette soluzioni (rispettivamente, una soluzione oppure due soluzioni) ed esiste una formula per rappresentare le soluzioni. Formule risolutive per le equazioni di terzo e quarto grado esistono, e sono state scoperte nel XVI secolo. Naturalmente, in generale le soluzioni sono numeri complessi. Tra il XVIII e il XIX secolo è stato provato che non esistono formule risolutive per equazioni di grado superiore al quarto (espresse mediante un numero finito di operazioni algebriche). Ciò nonostante, è stato provato il teorema seguente:

Teorema 159 (fondamentale dell’algebra) Ogni equazione di grado n > 0 ammette almeno una soluzione complessa.

Ora, si sa che se z = z0 risolve l’equazione (7.4) allora si può scrivere

anzn + a n1zn1 + a 1z + a0 = (z z0) r=0n1b rzr.

ossia, z z0 divide il polinomio. Il teorema 159 può ora applicarsi al polinomio

r=0n1b rzr.

Se n > 1 si trova un numero z1 che annulla questo polinomio e che quindi risolve (7.4). Ovviamente, può accadere che sia z1 = z0. Iterando questo procedimento, si viene a scrivere

r=0na rzr = (z z 0)r0 (z z1)r1 (z zν)rν

e

n = r1 + r2 + + rn. (7.5)

I numeri zj, che sono tutte e sole le soluzioni di (7.4) si dicono radici o anche zeri del polinomio e si dice che la radice zj di (7.4), equivalentemente lo zero zj del polinomio, ha molteplicità rj, ove rj è l’esponente del fattore (z zj). La (7.5) vuol dire che il numero totale delle radici, ciascuna contata secondo la propria moltaplicità, è uguale al grado del polinomio.

7.7.1 Polinomi a coefficienti reali

Ricordiamo queste proprietà dell’operazione di coniugio: il coniugato di una somma è la somma dei coniugati e il coniugato di un prodotto è il prodotto dei coniugati. Ossia

z + w¯ = z¯ + w¯,z w¯ = z¯ w¯.

Dunque, zk¯ = (z¯)k = z¯k. Ricordiamo inoltre che un numero è reale se e solo se coincide col suo coniugato. Consideriamo ora un polinomio a coefficienti reali

k=0na kzk

e supponiamo che esso si annulli in z0,

0 = k=0na kz0k.

Prendendo i coniugati dei suoi membri, e notando che 0 ̄ = 0, si trova

0 = k=0nā kz̄0k = k=0na kz̄0k.

Ossia, anche z̄0 è uno zero del polinomio, che pertanto è divisibile per il trinomio a coefficienti reali5

(z z0)(z z̄0) = z2 (2ez 0)z + |z0|2.

Dunque,

Teorema 160 Sia P(z) un polinomio a coefficienti reali e sia z0 un suo zero di molteplicità r. In tal caso, anche z0¯ è uno zero di P(z), della medesima moltiplicità r.

Di conseguenza, le radici non reali di un polinomio a coefficienti reali vengono a coppie, e quindi esse sono in numero pari. Ricordiamo ora che il numero totale delle radici di un polinomio è il grado del polinomio, e quindi un polinomio di grado dispari ha un numero dispari di radici. Di conseguenza, se i coefficienti di un polinomio di grado dispari sono reali, almeno una delle sue radici deve essere reale:

Teorema 161 Il numero delle radici reali di un polinomio di grado dispari e a coefficienti reali è dispari. In particolare, ogni polinomio a coefficienti reali di grado dispari ha almeno una radice reale.

Questo risultato si è già provato in altro modo, si veda il Corollario 114.

7.7.2 Il metodo di completamento dei quadrati

E’ utile ricordare come si ottiene la formula risolutiva di

az2 + bz + c = 0 cona0. (7.6)

Si nota che quest’equazione si sa risolvere se b = 0. In questo caso le soluzioni sono le due radici di ca. Se quest’equazione può ricondursi alla forma

a(z α)2 β = 0 (7.7)

allora essa è ancora immediatamente risolubile,

z = α + β a

(si ricordi che la radice nel campo complesso prende due valori, e quindi questa espressione rappresenta due soluzioni). Mostriamo che ogni equazione della forma (7.6) può ricondursi alla forma (7.7) mediante il metodo del completamento dei quadrati Prima di tutto si nota che risolvere (7.6) equivale a risolvere

z2 + 2 b 2az + c a = 0.

Vogliamo considerare il secondo addendo come il “doppio prodotto” di z con b2a. Dunque sommiamo e sottraiamo (b2a)2. Si trova

z + b 2a2 + c a b2 4a2 = 0.

E’ ora immediato vedere che l’equazione ammette due soluzioni, date da

b 2a + c a b2 4a2 = b + b2 4ac 2a .

Si noti che non abbiamo scritto ± di fronte alla radice perché per definizione la radice complessa prende due valori. In contrasto con ciò, la radice positiva di un numero reale positivo si chiama radice aritmetica

7.8 Alcuni esercizi

  1. Sul piano di Argand-Gauss si segni la posizione di un numero complesso z. Si segnino quindi i punti della lista seguente:
    1z, z̄, z̄, 1z̄, 1z̄,iz, iz¯, 1iz, 1iz¯.

    Si consideri in particolare il caso in cui z giace su uno dei quattro semiassi coordinati.

  2. Sia z = a + ib, w = c + id. Calcolare z̄w. chi conosce le espressioni in coordinate cartesiane ortogonali del prodotto scalare e del prodotto vettoriale, noti come queste si ritrovano in questo prodotto.
  3. Siano z = 1 2(1 + i) e w = z̄. Si identifichi la posizione di z e w sul piano complesso, e si rappresentino i due punti z + w e z w.
  4. Si calcolino i numeri in per n intero compreso tra 0 e 16.
  5. Usando la formula del binomio di Newton, si calcoli (1 + i)9. Si scriva quindi la rappresentazione trigonometrica del numero (1 + i) e si usi questa per calcolare (1 + i)9. Rappresentare questo numero sul piano di Argand-Gauss.
  6. I numeri complessi z, w abbiano modulo 1 e inoltre z abbia argomento 2π3 mentre w abbia argomento 4π3. Sul piano complesso, si individui il punto z + w. Si vuol sapere se esiste u tale che z + w + u = 0 e, nel caso affermativo, la sua posizione sul piano complesso.
  7. Si consideri un quadrato sul piano complesso, inscritto nella circonferenza trigonometrica e i cui lati sono paralleli agli assi coordinati oppure alle bisettrici degli assi. Si vuol sapere se i suoi vertici sono o meno radici di un certo ordine di qualche numero.
  8. Il numero complesso z abbia moduli 1 ed argomento π12. Calcolare un numero di cui z è radice quarta. Quanti sono tali numeri?
  9. Scrivere in forma trigonometrica il numero (cos π i sin π2).
  10. ()  Rappresentare sul piano di Argand-Gauss i numeri (12) cos π4

    +i sin π4 n e notare che essi si trovano su un numero finito di rette uscenti dall’origine. Dire se accade un fatto analogo per i numeri 2 cos π7 + i sin π7 n e 2 cos(2π) + i sin(2π) n.

  11. ()  Si mostri che vale l’uguaglianza (zw)2 = z2w2. Si consideri quindi l’uguaglianza 49 = 36 = 6. Dire se quest’uguaglianza è corretta. In generale discutere l’uguaglianza zw = zw.
  12. Rappresentare sul piano complesso i numeri z(t) = eit per t . E se invece si considerano i numeri z(t) = eit?
  13. rappresentare sul piano di Argand-Gauss l’immagine della trasformazione tteit.
  14. Calcolare le derivate prima e seconda della funzione f(t) = e2it e rappresentare sul piano di Argand-Gauss sia f(t) che f(t) ed f(t).
  15. ()  Scrivere la formula di McLaurin di ex e sostituire ad iy ad x. Trovare le relazioni tra la formula ottenuta e le formule di McLaurin di sin y e cos y (si ottiene una prima versione della “most remarkable formula in mathematics”, come si esprime R. Feyman, nelle Feyman Lectures on Physics).
  16. ()  Sia z(t) = Aei(ωt+α), w(t) = Bei(ωt+β). Dire se, fissati A ed ω, esitono valori di α e β tali che z(t) + w(t) = 0 per ogni t (è possibile cancellare un suono mediante un altro suono? Si calcolino le parti reali).
  17. ()  Sia z(t) = eiωt, w(t) = ei(ω+ν)t. Calcolare la parte reale di z(t) + w(t). Si riesce a scriverla in modo da vedere una relazione col fenomeno dei battimenti?
  18. ()  si consideri la funzione tz(t) = Aeiωt+ϕ. Se ne rappresenti il valore sul piano complesso per ogni valore di t. Si trova un vettore applicato nell’origine, ruotante (in quale verso?) al crescere del tempo t. Si riesce ad interpretare z(t) + z̄(t) facendo intervenire il moto armonico?

Capitolo 8
Equazioni differenziali

Ebbi dunque il mio relatore, tanto coscienzioso quanto ben disposto; si lasciò sfuggire qualche lacuna nelle dimostrazioni, però mi diede utili consigli sulle virgole. André Weil, Ricordi di apprendistato, vita di un matematico

In questo capitolo studiamo tre tipi di equazioni differenziali, ossia equazioni in cui l’incognita è una funzione, e che coinvolgono, insieme alla funzione incognita, anche le sue derivate.

ATTENZIONE
Nello studio delle equazioni differenziali è cruciale questo risultato, provato al Teorema 195: ogni funzione continua su un intervallo ammette primitive.

8.1 Introduzione

Le equazioni differenziali sono un argomento importantissimo in tutte le applicazioni della matematica, e molto vasto. Noi ci limitiamo a studiare le equazioni differenziali di tre classi particolari, che ora descriviamo. Diciamo però prima di tutto che, a differenza delle equazioni studiate fino ad ora, l’incognita da determinare quando si “risolve” un’equazione differenziale è una funzione derivabile. Le applicazioni fisiche richiedono che tale funzione sia definita su un intervallo. Le equazioni differenziali che studieremo hanno infinite soluzioni. Le applicazioni alla fisica richiedono di identificare tra tutte le soluzioni una (o più) che soddisfano certe condizioni accessorie. Noi ci limiteremo a considerare delle condizioni accessorie dette condizioni iniziali o anche condizioni di Cauchy Vedremo che la soluzione che verifica queste condizioni è unica se valgono opportune ipotesi usualmente soddisfatte nelle applicazioni. Descriviamo ora le equazioni differenziali che studieremo.

Equazioni a variabili separabili. Le equazioni a variabili separabili sono equazioni differenziali del primo ordine ossia equazioni in cui compare, insieme alla funzione incognita x(t), anche la sua derivata prima (ma non compaiono derivate successive). Eventualmente dopo opportune manipolazioni, le equazioni a variabili separabili si riconducono alla forma seguente:

x(t) = f(x(t))g(t). (8.1)
La proprietà essenziale è che la funzione f non dipende esplicitamente da t mentre la funzione g non dipende da x. Per esempio, l’equazione differenziale x = sin tx(t) NON è un’equazione a variabili separabili.

Definizione 162 Una funzione x(t) si chiama soluzione dell’Eq (8.1) se ha le seguenti proprietà:

Osservazione 163 (IMPORTANTE)

  1. Come si è detto, la funzione x(t) da determinare deve essere definita su un intervallo. Un’equazione a variabili separabili (con f(x) e g(t) continue) ammette infinite soluzioni. E’ importante notare che soluzioni diverse della medesima equazione differenziale possono essere definite su intervalli diversi.
  2. la variabile indipendente è stata indicata con la lettera t perché in pratica indica il tempo. Però la stessa equazione differenziale potrebbe essere scritta con lettere diverse, per esempio
    y(x) = f(y(x))g(x).

    In questo caso la variabile “tempo” si è indicata con la lettera x.

  3. La forma (8.1) in cui abbiamo scritto l’equazione differenziale è corretta, ma generalmente non usata. Di regola non si indica la dipendenza della soluzione dalla variabile “tempo” e la (8.1) si scrive usualmente in forma
    x = f(x)g(t).

    E’ importante tener conto di ciò per esempio quando si vuol calcolare la derivata seconda di x, che va calcolata usando la regola di derivazione della funzione composta:

    x(t) = g(t)f(x(t)) + g(t)f(x(t))x(t) = = g(t)f(x(t)) + g2(t)f(x(t))f(x(t)).
  4. La funzione g(t) potrebbe essere costante. In questo caso, inglobando la costante nella funzione f(x), l’equazione differenziale prende forma
    x = f(x)

    e si chiama autonoma o tempo invariante

Il problema di Cauchy per la (8.1) consiste nel trovare la soluzione o le soluzioni che verificano la condizione accessoria x(t0) = x0 ove t0 ed x0 sono assegnati. Ossia si chiede di determinare una soluzione il cui grafico contiene il punto (t0,x0). Convenzionalmente, t0 si chiama istante iniziale e il problema di Cauchy si chiama anche problema ai dati iniziali Il problema di Cauchy per la (8.1) si scrive

x = f(x)g(t) x(t0) = x0;

Vedremo che se f(x) è una funzione di classe C1 mentre g(t) è continua, il problema di Cauchy ammette soluzione unica, definita in un intorno di t0.

Equazioni differenziali lineari del primo ordine. Le equazioni differenziali lineari del primo ordine sono sono le equazioni

x(t) = a(t)x(t) + f(t)

usualmente scritte

x = a(t)x + f(t). (8.2)

La funzione a(t) si chiama il coeffciente dell’equazione differenziale (lineare del primo ordine) mentre f(t) si chiama il termine noto Assumeremo che a(t) ed f(t) siano continue1. L’equazione differenziale del primo ordine si dice a coeffciente costante quando a(t) è costante e si chiama omogenea quando f(t) = 0. Quando f(t)0 l’equazione si dice completa o anche affne Data l’equazione affne (8.2), la sua equazione omogenea associata è

x = a(t)x.

Notiamo che un’equazione differenziale lineare omogenea del primo ordine

x = a(t)x

è anche un’equazione differenziale a variabili separabili. Per definizione, x(t) è una soluzione dell’equazione differenziale (8.2) se è di classe C1 su un intervallo (a,b) e se, sostituita nell’equazione, verifica l’uguaglianza per ogni t (a,b). Il problema di Cauchy per la (8.2) consiste nel cercare la soluzione che soddisfa la condizione accessoria x(t0) = x0, ossia il cui grafico contiene il punto (t0,x0). Esso si scrive

x = a(t)x + f(t) x(t0) = x0.

Vedremo che nel caso delle equazioni lineari con coefficienti e termini noti continui su , il problema di Cauchy ammette una ed una sola soluzione. Questa affermazione è analoga a quella fatta per le equazioni differenziali a variabili separabili, ma c’è una differenza importante: Nel caso delle equazioni differenziali lineari, le soluzioni del problema di Cauchy sono definite su . Nel caso delle equazioni a variabili separabili in generale il dominio è un intervallo (diverso da ) anche se il membro destro è definito per ogni x e per ogni t.

Equazioni differenziali lineari del secondo ordine. Sono le equazioni di forma

x + bx + cx = f(t). (8.3)
In quest’equazione, f(t) si chiama il termine noto o forzante e b, c si chiamano i coefficienti. Noi studieremo solamente le equazioni differenziali lineari del secondo ordine a coefficienti costati, mentre il termine noto potrà essere costante o meno. Ancora, l’equazione si dice omogenea se il termine noto è nullo; si dice affne o completa altrimenti; e l’equazione lineare omogenea del secondo ordine associata alla (8.3) è
x + bx + cx = 0.

Per definizione, x(t) è una soluzione dell’equazione differenziale (8.3) se è di classe C1 su un intervallo (a,b) e se, sostituita nell’equazione, verifica l’uguaglianza per ogni t (a,b). Nel caso delle equazioni differenziali del secondo ordine, il problema di Cauchy consiste nel risolvere

x + bx + cx = f(t), x(t0) = x0,x(t 0) = x1.

Ossia, si richiede una soluzione che in un istante t0 ha il valore x0 e anche tale che la sua derivata nel medesimo istante t0 vale x1. Geometricamente, si cerca una soluzione il cui grafico passa per il punto (t0,x0) e che, in tale punto ha tangente di pendenza x1. Convenzionalmente, l’istante t0 si chiama ancora istante iniziale Ricordando l’interpretazione della derivata come velocità istantanea, il problema di Cauchy consiste nel trovare una traiettoria tx(t) che ad un certo istante t0 passa per la posizione x0 con velocità x1.

Anche nel caso delle equazioni differenziali lineari del secondo ordine, con termine noto definito su , le soluzioni sono definite su .

Osservazione 164 Consideriamo il problema

x + bx + cx = f(t),x(t 0) = x0

Questo non è un problema di Cauchy perché non impone alcuna condizione alla velocità iniziale, ed ammette infinite soluzioni: una soluzione per ciascuna condizione che si ottiene assegnando anche il valore di x(0). Analogamente, il problema x + bx + cx = f(t), x(t 0) = x1 non è un problema di Cauchy.  

8.2 Soluzione delle quazioni differenziali a variabili separabili

Ricordiamo che queste sono le equazioni della forma

x = f(x)g(t)ossiax(t) = f(x(t))g(t). (8.4)

Le funzioni f(x) e g(t) sono continue (più avanti richiederemo la derivabilità di f(x)). Studiamo prima come trovare tutte le soluzioni dell’equazione, e poi come trovare le soluzioni del problema di Cauchy

x = f(x)g(t),x(t 0) = x0. (8.5)

Il primo passo nella ricerca delle soluzioni consiste nel ricercare le eventuali soluzioni costanti. Un’equazione a variabili separabili può ammettere o meno soluzioni costanti. Naturalmente, se f(x) 0 oppure g(t) 0 l’equazione si riduce a

x = 0

e le sue soluzioni sono tutte e sole le funzioni costanti. Le funzioni definite su un intervallo e costanti, sono tutte e sole quelle con derivata nulla. Dunque, le soluzioni x(t) k che risolvono la (8.4) sono quelle per cui vale

0 = f(k)g(t)per ogni t.

Ciò accade se il numero k è uno zero della funzione f(x). Si ha quindi:

Primo passo della ricerca di soluzioni: si risolve l’equazione

f(x) = 0.
Se il numero k risolve quest’equazione, allora la funzione costante
x(t) = k
è soluzione di (8.5).

Ora ricerchiamo soluzioni non costanti. Se f(x(t))0 per un valore t = t0, la disuguaglianza continua a valere in un intorno di t0, grazie al teorema di permanenza del segno per le funzioni continue. Dunque, in un intorno di t0 si può scrivere

1 f(x(t))x(t) = g(t). (8.6)

Le due funzioni

g(t),h(x) = 1 f(x)

sono continue. Dunque ammettono primitive G(t) ed H(x). Ricordando la formula per la derivata delle funzioni composte, si vede che la (8.6) è niente altro che

d dtH(x(t)) = g(t) = d dtG(t).

Abbiamo cosìdue funzioni della variabile t, definite sul medesimo intervallo e con la medesima derivata. Dunque, la differenza di queste due funzioni è costante:

H(x(t)) = G(t) + c. (8.7)

Quest’espressione si chiama integrale primo o integrale generale dell’equazione a variabili separabili. Ogni soluzione non costante dell’equazione si trova assegnando a c un opportuno valore. E’ anche possibile che certi valori di c portino ad identificare soluzioni costanti, ma ciò non è garantito perché il procedimento che abbiamo fatto (in particolare la divisione per f(x(t)) ) non è lecito se x(t) è una soluzione costante.

8.2.1 Problema di Cauchy per le equazioni differenziali a variabili separate

Consideriamo ora il problema di Cauchy (8.5) e ricerchiamo condizioni perché esso ammetta soluzioni, e perchè la soluzione sia unica. Vale il seguente

Teorema 165 (Teorema di Cauchy) Se la funzione g(t) è continua in un intorno di t0 e se la funzione f(x) è continua in un intorno di x0, il problema di Cauchy (8.5) ammette soluzione, definita in un opportuno intorno di t0. Se inoltre f(x) è di classe C1, la soluzione è unica.

Per trovare esplicitamente la soluzione, dobbiamo prima di tutto controllare se la soluzione richiesta è costante, cosa che accade se f(x0) = 0. Altrimenti, dobbiamo sostituire t0 ed x0 nei due membri di (8.7). Ciò identifica il valore della costante c. Ossia, si deve scegliere

c0 = H(x(t0)) G(t0).

Ciò fatto, per ogni t si risolve rispetto ad x l’equazione

H(x(t)) = G(t) + c0.

Osservazione 166 Se f(x0)0, la funzione continua f(x) ha segno costante in un intorno di x0 cosìche H(x) è ivi continua e strettamente monotona. Infatti, la sua derivata H(x) = 1f(x) ha segno costante. Dunque l’immagine di H(x) è un intervallo I che contiene G(t0) + c. Per t “vicino” a t0, avremo G(t) + c I, perché anche G(t) è continua Essendo strettamente monotona, H(x) è invertibile. L’unica soluzione x(t) del problema (8.7), e quindi del problema di Cauchy, è data da

x(t) = H1 G(t) + c 0

ed è definita per ogni t in un opportuno intorno di t0. Però non è detto che sia sempre possibile esprimere questa funzione mediante funzioni elementari. Spesso dovremo contentarci dell’espressione implicita (8.7) e della determinazione del valore c0.  

Il significato geometrico del teorema 165 va capito bene: esso asserisce che, se g(t) è continua ed f(x) è derivabile, i grafici di soluzioni diverse della medesima equazione differenziale non si intersecano. La figura 8.1 mostra, in azzurro, i grafici di alcune soluzioni dell’equazione differenziale

x = sin x. (8.8)

Il grafico in rosso interseca le soluzioni dell’equazione differenziale e quindi non è grafico di una soluzione di (8.8).



figure 8.1: un grafico che non è grafico di soluzione: Alcuni grafici di soluzioni che non si intersecano. Invece, un altro grafico che interseca i precedenti non può essere soluzione.

PIC


Osservazione 167 Si sa, dalla tavola delle derivate fondamentali, che

d dtet = et, d dteat = aeat.

Quindi, la funzione ceat risolve il problema di Cauchy

x = ax,x(0) = c.

Il Teorema 165 garantisce che non ci sono altre funzioni che verificano queste condizioni. Infatti, il secondo membro f(x) = ax è funzione derivabile di x.  

Vediamo ora un’applicazione del Teorema 165, che conduce a risolvere un’equazione differenziale lineare omogenea del primo ordine.

Esempio 168 Sia a(t) una funzione continua e consideriamo l’equazione differenziale

x = a(t)x.

Vogliamo trovarne tutte le soluzioni. Come sempre quando si studiano equazioni a variabili separabili, se ne cercano prima di tutto le soluzioni costanti. In questo caso l’unica soluzione costante è x(t) 0. Se x(t) è una soluzione non costante, essa rimane o sempre positiva o sempre negativa. Infatti, essendo continua e definita su un intervallo, se cambiasse segno dovrebbe annullarsi in un certo istante t0 e quindi x(t) sarebbe una soluzione non costante del problema di Cauchy

x = a(t)x,x(t 0) = 0.

Cioè, questo problema avrebbe sia la soluzione non costante x(t) che la soluzione identicamente nulla. Il Teorema 165 mostra che ciò non può essere, e quindi che x(t) non si annulla: o prende valori solamente positivi oppure prende valori solamente negativi. Dunque, possiamo dividere per x(t) ottenendo

a(t) = x(t) x(t) = d dt log |x(t)|.

Sia ora A(t) una primitiva di a(t). Allora vale

log |x(t)| = A(t) + c ossia|x(t)| = eceA(t).

Il numero c è qualsiasi e quindi il numero k = ec è un numero positivo qualsiasi:

|x(t)| = keA(t),k > 0.

Ma, x(t) ha segno costante, e quindi abbiamo

per ogni t vale x(t) = |x(t)| oppure x(t) = |x(t)|.

Dunque avremo

x(t) = +keA(t) oppurex(t) = keA(t).

In definitiva,

x(t) = keA(t)

con k = ±ec reale qualsiasi, non nullo. Si noti che la soluzione x(t) 0 non si è ritrovata. Però, noi sappiamo che x(t) 0 è una soluzione dell’equazione e quindi possiamo permettere a k di prendere il valore 0, trovando

x(t) = keA(t)k reale qualsiasi (8.9)

come espressione di tutte le soluzioni.  

Si noti il ruolo particolare delle soluzioni costanti: talvolta queste non si ritrovano nell’integrale generale. Può essere possibile farvele comparire forzando la costante ad assume dei valori che non potrebbe assumere. Talvolta invece ciò non può farsi. Per questa ragione, le soluzioni costanti si chiamano anche soluzioni singolari Un’altra applicazione importante del Teorema 165 è che spesso permette di tracciare qualitativamente il grafico delle soluzioni, senza risolvere l’equazione differenziale, come mostra l’esempio seguente:

Esempio 169 Consideriamo l’equazione differenziale2

y = (1 x2) sin y

Il Teorema 165 permette immediatamente di concludere che le soluzioni sono tutte funzioni limitate. Infatti, quest’equazione ha infinite soluzioni costanti, che “affettano” il piano in strisce parallele:

y(x) = kπ,k .

Ovviamente queste soluzioni sono limitate. Sia y(x) un’altra soluzione. Il punto (x0,y(x0)) del suo grafico starà in una striscia

{(x,y),x ,kπ < y < (k + 1)π}.

Il grafico della soluzione non può uscire da questa striscia altrimenti, per il teorema dei valori intermedi, dovrebbe intersecare il grafico di una delle soluzioni costanti; e ciò non può essere per il Teorema 165. In realtà può dirsi anche di più: consideriamo una soluzione il cui grafico sta nella striscia 0 < y < π (le altre strisce si trattano in modo analogo). In questa striscia, sin y > 0 e quindi avremo

y(x) > 0se e solo se (1 < x < 1).

Dunque, una soluzione y(x) (il cui grafico è in questa striscia) decresce per x < 1 e per x > 1. In particolare, x = 1 è punto di minimo ed x = +1 è punto di massimo delle soluzioni. Note queste informazioni, non è diffcile disegnare qualitativamente il grafico della soluzione. I grafici di alcune soluzioni sono in figure 8.2.  



figure 8.2: Grafici di soluzioni dell’equazione dell’esempio 169: Grafici qualitativi di soluzioni strettamente contenuti nelle strisce × ( k π , ( k + 1 ) π ) .

PIC


Infine, consideriamo l’esempio seguente, che mostra che il problema di Cauchy (8.5) in generale ha più soluzioni, ovviamente quando la funzione f(x) non è di classe C1:

Esempio 170 Si consideri il problema di Cauchy

x = x3,x(1) = 0.

Ovviamente,

x(t) = 0

risolve questo problema. Si verifichi che anche la funzione

x(t) = 2 3(t 1) 32 set 1 0  set < 1

risolve il medesimo problema di Cauchy.  

8.2.2 Domini massimali di soluzione

Per definizione, il dominio di una soluzione di un’equazione differenziale deve essere un intervallo (limitato o meno). Può venire il dubbio che nel caso in cui il membro destro di un’equazione a variabili separabili sia regolare il dominio debba essere . E’ importante sapere che ciò è falso.

Esempio 171 Consideriamo il problema di Cauchy

x = 1 + x2,x(t 0) = x0.

Ricordando che

d dt tan(t + c) = 1 + tan 2(t + c)

si vede immediatamente che la soluzione di questo problema di Cauchy è

x(t) = tan (t t0) + arctan x0

definita sull’intervallo

t0 π 2 arctan x0 < t < t0 + π 2 arctan x0.

La soluzione ha per dominio un intervallo limitato, nonostante il fatto che il secondo membro dell’equazione non dipenda esplicitamente da t, e sia una funzione di classe C. Il dominio della soluzione cambia al variare di t0, e questo è ovvio; ma, fissato il valore di t0, cambia anche al variare di x0.  

Naturalmente, una soluzione definita su un intervallo (a,b) è anche soluzione su qualsiasi sottointervallo (c,d) (a,b). L’interesse di quest’osservazione si vede leggendola al contrario: può essere che si riesca ad identificare un intervallo (c,d) su cui la soluzione è definita, ma che questo non sia il massimo intervallo su cui la soluzione è definita. Tale massimo intervallo si chiama dominio massimale della soluzione. E’ molto facile verificare se un intervallo su cui abbiamo trovato una soluzione è dominio massimale o meno. Torniamo a considerare le soluzioni dell’equazione dell’Esempio 171. Queste divergono per x tendente agli estremi dell’intervallo su cui sono definite. Ciò avviene sempre:

Teorema 172 Si consideri l’equazione differenziale

x = g(t)f(x).

Supponiamo che g(t) sia continua su e che f(x) sia derivabile (e quindi continua) su . Consideriamo la soluzione che verifica

x(t0) = x0.

Sia (S,T) il dominio massimale della soluzione e sia T < +. Allora,

lim tT|x(t)| = +.

Proprietà analoga vale per t S+ se S > .

Di conseguenza:

Una soluzione definita su può avere limite o meno per t + oppure per t . Per tracciare qualitativamente il grafico di soluzioni di equazioni differenziali, è utile conoscere il risultato seguente:

Teorema 173 Sia f(x) una funzione di classe C1() e consideriamo un’equazione differenziale del primo ordine autonoma

x = f(x).

Sia x(t) una sua soluzione definita su una semiretta. Se

lim t+x(t) = l (oppure lim tx(t) = l ).

Allora,

f(l) = 0.

Ossia, le soluzioni di equazioni differenziali autonome del primo ordine, con secondo membro regolare, se ammettono limite per x + oppure x , convergono al valore di una soluzione costante.

8.3 Le equazioni differenziali lineari

La seconda classe di equazioni che vogliamo trattare è quella delle equazioni differenziali lineari, limitandoci ai casi:

8.3.1 Equazioni differenziali lineari del primo ordine

Studiamo l’equazione

x = a(t)x + f(t). (8.10)

Ricordiamo che quest’equazione si dice completa o affne se f(t)0 e che l’equazione differenziale lineare omogenea ad essa associata è quella che si ottiene ponendo f(t) = 0, ossia è

x = a(t)x. (8.11)

Questa è un’equazione a variabili separabili e si è già risolta all’Esempio 168. Ogni sua soluzione ha forma

x(t) = keA(t)

ove A(t) è una qualsiasi primitiva di a(t). Se vogliamo la soluzione che verifica x(t0) = x0 sceglieremo

k = eA(t0)x 0e quindix(t) = eA(t)A(t0)x 0.

Nel caso particolare in cui a(t) a è costante, una delle primitive è at e quindi le soluzioni sono

x(t) = keat

Risolviamo ora l’equazione completa. Presentiamo i calcoli nel caso in cui a(t) a è costante. In modo del tutto analogo troveremo la soluzione anche nel caso del coeffciente variabile. Prima di tutto scriviamo la (8.10) come

x ax = f(t).

Poi moltiplichiamo i due membri per eat:

eatx aeatx = eatf(t).

L’espressione a sinistra è la derivata di un prodotto e quindi si ha:

d dteatx(t) = eatf(t).

Dunque, una primitiva del membro destro e una del membro sinistro differiscono per una costante (ricordiamo che stiamo lavorando su un intervallo):

eatx(t) = k +cteasf(s)ds

ossia

x(t) = eatk + eatcteasf(s)ds

ove k è un qualsiasi numero reale. Quando a = a(t) calcoli del tutto analoghi portanto a trovare la formula seguente per la soluzione. In questa formula, A(t) è una qualsiasi primitiva di a(t):

x(t) = eA(t)k + eA(t)ct eA(s)f(s) ds. (8.12)

Osserviamo ora questa formula, notando in particolare due fatti importanti.

La formula (8.12) mostra che x(t) è somma di due addendi. Il primo è

eA(t)k.

Al variare della costante arbitraria k quest’addendo dà tutte le soluzioni dell’equazione differenziale lineare omogenea associata. Il secondo è

eA(t)ct eA(s)f(s) ds. (8.13)

Questa è una particolare soluzione dell’equazione completa (quella che si annulla per t = c). Dunque: l’integrale generale di (8.10) si ottiene scegliendo una soluzione particolare dell’equazione (8.10) stessa e sommandogli tutte le soluzioni dell’omogenea associata (8.11).

Se accade che il termine affne è combinazione lineare di due funzioni

αf(t) + βg(t)

allora

cteA(s) αf(s) + βg(s) ds = αcteA(s)f(s)ds + βcteA(s)g(s)ds

si ricordi la proprietà di linearità del calcolo delle primitive. Dunque, quando il termine noto è somma di funzioni più semplici, per trovare una soluzione particolare si possono trovare soluzioni particolari corrispondenti ai singoli addendi, e poi sommarle. Introduciamo ora i termini seguenti: il membro destro di (8.12) si chiama integrale generale di (8.10) mentre la funzione in (8.13) si chiama integrale particolare di (8.10). Ciò che abbiamo notato è particolarmente importante, e vale la pena di evidenziarlo:

Per trovare l’integrale generale dell’equazione completa (8.10) si calcola, in qualunque modo, anche semplicemente per tentativi, una soluzione particolare dell’equazione (8.10) stessa e le si sommano tutte le soluzioni dell’omogenea associata (8.11). Quando il termine noto è somma di più addendi, una soluzione particolare si trova ricercando soluzioni particolari relative ai singoli addendi, e quindi sommandole.

8.3.2 Problema di Cauchy per le equazioni differenziali lineari del primo ordine

Ricordiamo che il problema di Cauchy per le equazioni differenziali lineari del primo ordine è il problema

x = a(t)x + f(t),x(t 0) = x0. (8.14)

Supponiamo che f(t) sia definita su . Allora, questo problema ammette soluzione unica, definita su . Essa si ottiene imponendo l’uguaglianza

x(t0) = x0 ossiax0 = eA(t0)k + eA(t0)ct0 eA(s)f(s) ds.

In particolare, se si è scelto c = t0 e come primitiva A(t) quella che si annulla in t0, basta scegliere k = x0. Ciò completa quanto si può dire in generale sull’equazione differenziale lineare del primo ordine. Però in pratica è importantissimo saper trattare col minimo di calcoli alcuni casi particolari, che ora andiamo a vedere. Si tratta di equazioni col coeffciente costante e termine noto di tipo particolare, che si incontra frequentemente nelle applicazioni alla fisica.

Casi particolari di equazioni differenziali lineari del primo ordine, a coefficienti costanti

Vogliamo dare dei metodi semplici per calcolare una soluzione particolare dell’equazione

x = ax + f(t)

(con coeffciente a costante) quando il termine noto f(t) ha forma particolare. Esaminiamo i casi che interessano:

Il caso f(t) = 1 ed a0In questo caso, si ricerchi una soluzione di forma x(t) = c, costante. Sostituendo nei due membri dell’equazione si vede che deve essere

0 = ac + 1ossia c = 1a.

Dunque, se f(t) = α, costante, una soluzione particolare è

x(t) = α a.

La forma esplicita della soluzione non va ricordata, nè in questo caso né nei successivi. Bisogna invece capire il procedimento in modo da poterlo usare correttamente, ricavando volta per volta l’espressione della soluzione particolare.

Il caso f(t) = t ed a0Si ricerchi una soluzione di forma

x(t) = ct + d.

Sostituendo nei due membri dell’equazione si vede che deve aversi

c = act + ad + te quindi c = 1ad = 1a2.

Il caso f(t) polinomio ed a0Procedendo per sostituzione, come nei casi precedenti, si vede che una soluzione è un polinomio dello stesso grado di f(t).

Il caso f(t) = 1 ed a = 0. In questo caso l’equazione è

x = 1

e le sue soluzioni si ottengono semplicemente calcolando primitive, x(t) = t + c. Conviene però cercare di procedere come nei casi precedenti, per capire meglio il metodo. In questo caso, x(t) = α non risolve l’equazione completa, infatti, x(t) = α risolve l’equazione omogenea. Sostituendo si trova infatti

0 = aα + 1 = 0 α + 1

e l’uguaglianza non può valere. Però, se si prova a sostituire

x(t) = αt

si trova

α = 0 (αt) + 1

e ora l’uguaglianza vale con α = 1. Ossia in questo caso la soluzione è un polinomio, di grado 1 invece che di grado 0.

Il caso f(t) polinomio ed a = 0Procedendo come sopra, si vede che una soluzione particolare è un polinomio, di grado n + 1 se il termine noto f(t) ha grado n. I coefficienti del polinomio si ricavano sostituendo nei due membri e richiedendo che i due membri siano uguali (alternativamente ed in modo più semplice, calcolando le primitive dei due membri).

Il caso f(t) = ebt con baIn questo caso, una soluzione particolare ha forma

x(t) = αebt α = 1 ba 

come si vede immediatamente sostituendo nei due membri dell’equazione.

Il caso f(t) = ebt con b = aIn questo caso, x(t) = αebt = αeat risolve l’equazione omogenea associata, e quindi non può risolvere l’equazione completa. Infatti, sostituendo si trova

αaeat = aαeat + eat ossia0 = eat

uguaglianza ovviamente falsa. Una soluzione particolare però si trova scegliendo

x(t) = teat,

come si vede immediatamente sostituendo nei due membri dell’equazione.

Il caso f(t) = p(t)ebt con p(t) polinomio.Vanno esaminati separatamente due casi:

caso ab:
una soluzione particolare dell’equazione completa è
x(t) = q(t)ebt

ove q(t) è un polinomio dello stesso grado di p(t).

caso a = b:
una soluzione particolare dell’equazione completa è
x(t) = q(t)eat (8.15)

ove q(t) è un polinomio di grado n + 1 se n è il grado di p(t). I coefficienti del polinomio si ricavano sostituendo nei due membri e richiedendo che i due membri siano uguali.

Nei casi particolari precedenti, un’attenzione particolare è necessaria quando il temine forzante f(t) ha forma p(t)y(t), con p(t) polinomio ed y(t) soluzione dell’equazione differenziale lineare omogenea associata (e quindi y(t) multiplo di eat). In tal caso una soluzione particolare ha forma y(t) = q(t)eat ove q(t) è un polinomio il cui grado supera di 1 quello di p(t).

Osservazione 174 Quest’osservazione semplifica un po’ i calcoli nel caso a = b: il termine costante q0 del polinomio q(t) conduce a q0eat che è una soluzione dell’equazione lineare omogenea associata e quindi possiamo limitarci a lavorare con polinomi q(t) privi di termine costante; ossia, possiamo sostituire la (8.15) con

x(t) = tq1(t)eat

con q1(t) polinomio dello stesso grado di p(t).  

Notiamo ciò che hanno in comune i casi particolari precedenti: il termine noto appartiene ad un insieme 𝒮 di funzioni, che gode di questa proprietà: le derivate di elementi di 𝒮 sono ancora elementi dell’insieme; e inoltre, moltiplicando elementi di 𝒮 si trovano altri elementi di 𝒮. L’insieme 𝒮 = {α sin ωt} con α , ω non ha questa proprietà di invarianza, perché la derivata di sin ωt è ω cos ωt. Però, l’insieme 𝒮 = {α sin ωt + β cos ωt} (con α e β reali qualsiasi) gode della proprietà detta sopra. E quindi:

Il caso f(t) = sin ωtIn questo caso una soluzione particolare è

x(t) = α sin ωt + β cos ωt

come si vede sostituendo nell’equazione: per avere una soluzione, l’uguaglianza seguente deve valere per ogni t:

αω cos ωt βω sin ωt = aα sin ωt + aβ cos ωt + sin ωt.

Ciò accade se

αω = aβ βω = aα + 1  ossia α = a ω2+a2 β = ω ω2+a2.

In modo analogo si tratta il caso f(t) = cos ωt ed i casi in cui il termine noto è combinazione lineare di polinomi moltiplicati per seni e coseni.

8.3.3 L’equazione differenziale lineare del secondo ordine

Premettiamo un’osservazione importante sull’equazione differenziale lineare omogenea del primo ordine, a coeffciente costante:

Si è già notato che le soluzioni dell’equazione

x = ax
sono tutte e sole le funzioni x(t) = keat. Qui, a è costante. L’osservazione che ci interessa è che sia a che la costante k possono essere sia reali che complessi, si veda il paragrafo 7.6. Consideriamo ora le soluzioni di
x = ax + bect
con a, b e c numeri complessi ed a diverso da c. Un calcolo analogo a quello fatto nel caso reale mostra che le soluzioni sono le funzioni
keat + γect
(sostituendo nell’equazione si trova γ = b(c a)).

Passiamo ora a capire come sia possibile risolvere equazioni lineari del secondo ordine, a coefficienti costanti, omogenee o meno. Per questo indichiamo con D l’operazione di fare la derivata e consideriamo un’equazione data in questa forma

(D m1)(D m2)x = f(t). (8.16)

Spieghiamo cosa si intende con questa notazione. Con (D m2)x intendiamo

(D m2)x(t) = Dx(t) m2x(t) = x(t) m 2x(t)

A quest’espressione applichiamo D m1, ossia

(D m1) (D m2)x = (D m1) x(t) m 2x(t) = D x(t) m 2x(t) m1 x(t) m 2x(t) = x(t) m2x(t) m 1x(t) m 1m2x(t) .

Dunque, la (8.16) è niente altro che l’equazione di secondo ordine

x (m1 + m2)x + m 1m2x = f. (8.17)

Come risolvere la (8.16) è immediatamente evidente. Si introduca il simbolo y(t) per indicare la funzione (ancora incognita)

y(t) = (D m1)x(t).

Allora, la funzione y(t) deve risolvere l’equazione differenziale

y m 2y = f(t), (8.18)

equazione che sappiamo risolvere. Calcolata y(t), la soluzione x(t) di (8.16) si ottiene semplicemente risolvendo

x m 1x = y(t). (8.19)

Questi sono calcoli che già sappiamo fare, con m1, m2 sia reali che complessi. Ma ora, se l’equazione da risolvere è data nella forma

x + bx + cx = f(t), (8.20)

si sa come ridurla alla forma (8.16): si risolve l’equazione

λ2 + bλ + c = 0 (8.21)

ottenendo le due soluzioni m1 ed m2, che saranno numeri reali oppure complessi. Si sa che queste soluzioni verificano

m1 + m2 = b,m1m2 = c

e quindi la (8.20) è niente altro che la (8.16), con questi numeri m1 ed m2; e quindi si sa come risolvere tutte le equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti, del secondo ordine. In questo contesto, l’equazione (8.21) si chiama l’equazione caratteristica dell’equazione differenziale e le sue soluzioni si chiamano autovalori dell’equazione differenziale.

Si ricordi che se i coefficienti b e c sono reali, gli autovalori possono essere sia reali che complessi, coniugati l’uno dell’altro.

Osservazione 175 Si parla di “equazione caratteristica” ed “autovalore” anche nel caso delle equazioni lineari del primo ordine. Nel caso di x = ax, l’equazione caratteristica è λ a = 0 e l’unico autovalore è a. In particolare, è reale se il coeffciente è reale.  

E’ del tutto ovvio che un metodo di fattorizzazione analogo si possa applicare a tutte le equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti, di qualsiasi ordine. A noi non interessa scrivere esplicitamente una formula per le soluzioni dell’equazione (8.20). La (8.20) in generale si risolve risolvendo prima la (8.18) e poi la (8.19). Interessa piuttosto conoscere il risultato seguente, che è semplice conseguenza dei fatti 1–3 studiati per le equazioni del primo ordine:

Oltre a questo fatto, interessa:

Casi particolari di equazioni differenziali lineari del secondo ordine, omogenee

Esaminiamo i seguenti casi, che si risolvono applicando i metodi visti per le equazioni lineari del primo ordine con termine noto di tipo particolare.

Caso 1: autovalori reali e distinti. In questo caso, risolvendo una dopo l’altra le due equazioni del primo ordine (8.18) e (8.19), si vede che l’integrale generale dell’equazione è

αem1t + βem2t

con α e β arbitrari numeri reali.

Caso 2: autovalori coincidenti. Sia m = m1 = m2 il valore comune degli autovalori In questo caso, risolvendo una dopo l’altra le due equazioni del primo ordine (8.18) e (8.19), si vede che l’integrale generale dell’equazione è

αemt + βtemt

con α e β arbitrari numeri reali. Si noti il caso particolare in cui m1 = m2 = 0. In questo caso la soluzione generale è

α + βt.

Caso 3: autovalori complessi e coniugati. In questo caso gli autovalori sono distinti e quindi, risolvendo una dopo l’altra le due equazioni del primo ordine (8.18) e (8.19), si vede che l’integrale generale dell’equazione è

x(t) = αem1t + βem2t (8.22)
con α e β arbitrari numeri che ora potranno essere o reali o complessi. Nella maggior parte delle applicazioni i coefficienti dell’equazione sono reali e quindi m1 ed m2 sono tra loro coniugati
m1 = ξ + iω,m2 = ξ iω.

In tal caso, la (8.22) prende forma

x(t) = eξt αeiωt + βeiωt .

Se α e β sono numeri complessi qualsiasi, queste soluzioni prendono valori complessi. Spesso interessa identificare quelle che prendono valori reali. Dato che eiωt ed eiωt sono tra loro coniugate, ciò si ottiene scegliendo anche α e β tra loro coniugati:

α = c + id,β = c id.

Con questa scelta si trova

x(t) = eξt 2e (c + id)eiωt = 2eξt c cos ωt d sin ωt.

Nei corsi di fisica si preferisce scrivere quest’espressione in una forma diversa. Prima di tutto questa si scrive

eξtc2 + d2 c c2 + d2 cos ωt d c2 + d2 sin ωt.

I numeri

c c2 + d2, d c2 + d2

sono le coordinate di un punto della circonferenza trigonometrica e quindi esiste un angolo ϕ tale che

c c2 + d2 = cos ϕ, d c2 + d2 = sin ϕ.

Dunque,

x(t) = Aeξt (cos ϕ) cos ωt (sin ϕ) sin ωt = Aeξt cos(ωt + ϕ). (8.23)

In quest’espressione, A è un numero non negativo arbitrario. Anche ϕ è un numero arbitrario ma naturalmente basta scegliere ϕ [0, 2π). Quando la soluzione x(t) è scritta in forma (8.23), si usa la seguente terminologia:

Casi particolari di equazioni differenziali lineari del secondo ordine complete

Nel caso affne, le soluzioni si trovano risolvendo a catena le due equazioni differenziali del primo ordine  (8.18) e (8.19), con calcoli che sappiamo già fare. Consideriamo esplicitamente i casi in cui il termine noto ha forma particolare, e ricerchiamo soluzioni particolari dell’equazione. A queste, per ottenere la soluzione generale, dovremo aggiungere tutte le soluzioni dell’equazione differenziale lineare omogenea associata. ossia

SOMIGLIANZA col caso del primo ordine: ricercheremo soluzioni particolari di forma p(t)eγt, con p(t) polinomio di grado n, se γ non è autovalore dell’equazione; altrimenti ricercheremo soluzioni di forma tp(t)eγt se γ è autovalore semplice oppure t2p(t)eγt se γ è autovalore doppio. In ambedue i casi, p(t) ha grado n (si veda l’Osservazione 174 per spiegare l’assenza del termine di grado 0 e, nel caso dell’autovalore doppio, anche di grado 1). DIffERENZA rispetto al caso del primo ordine: il procedimento per la ricerca della soluzione particolare ora va fatto due volte, una per l’equazione (8.18) e una seconda volta per (8.19). Ciò spiega perché è possibile che il grado debba essere aumentato di due unità invece che di una.

Nel caso delle equazioni del primo ordine (a coefficienti reali) ξ + iω non è mai un autovalore dell’equazione e quindi queste funzioni non sono mai soluzioni dell’equazione; e quindi si ricerca una soluzione particolare in forma

q1(t)eξt sin ωt + q 2(t)eξt cos ωt (8.24)

con q1(t) e q2(t) polinomi ancora di grado n. SOMIGLIANZA col caso del primo ordine: anche nel caso dell’equazione lineare del secondo ordine si ricerca una soluzione di questa stessa forma (8.24) se ξ + iω non è autovalore dell’equazione3; DIffERENZA rispetto al caso del primo ordine: nel caso del secondo ordine, il numero complesso ξ + iω può essere autovalore dell’equazione (necessariamente semplice se i coefficienti sono reali). In questo caso, dovremo aumentare il grado di 1, ricercando una soluzione particolare di forma

eξt tq 1(t) sin ωt + tq2(t) cos ωt

con q1(t) e q2(t) polinomi del medesimo grado di p(t).

Quando il termine forzante ha forma p(t)eξt sin ωt oppure p(t)eξt cos ωt, con ξ + iω autovalore dell’equazione, si dice che si presenta il fenomeno della risonanza e si dice che il termine forzante è risonante

8.3.4 Problema di Cauchy per le equazioni differenziali lineari del secondo ordine

Ricapitolando, nel caso di un generico termine noto f(t) (e non solo quando f(t) ha forma particolare) l’integrale generale di (8.17) è

x(t) = αu1(t) + βu2(t) + F(t)

con F(t) integrale particolare dell’equazione completa ed u1(t), u2(t) integrali particolari dell’equazione omogenea associata (questi avranno forme diverse a seconda che gli autovalori siano reali o meno, coincidenti o meno). Il problema di Cauchy per l’equazione del secondo ordine (8.17) consiste nel determinarne una soluzione che soddisfa alle ulteriori condizioni di Cauchy

x(t0) = x0,x(t 0) = x1.

Non è diffcile mostrare

Teorema 176 Sia f(t) continua su . Il problema di Cauchy ammette soluzione unica qualunque siano t0, x0 ed x1 e questa soluzione è definita su .

8.3.5 Il comportamento in futuro e la stabilità

Le applicazioni alla fisica delle equazioni differenziali, lineari o meno, richiedono spesso di poter dedurre informazioni sul comportamento delle soluzioni in futuro, ossia per t +, senza dover preventivamente risolvere l’equazione.

Noi ci limitiamo a considerare questo problema per le soluzioni dei problemi di Cauchy

x = ax,x(t 0) = x0. (8.25)
x + bx + cx = 0,x(t 0) = x0,x(t 0) = x1, (8.26)
con coefficienti reali e costanti. Si noti: abbiamo esplicitamente assunto che il termine affne sia nullo.

Diamo quindi alcune definizioni in forma semplificata, valida solamente per le equazioni differenziali (8.25) e (8.26).

Ripetiamo che se l’equazione da studiare non fosse lineare a coefficienti costanti, queste definizioni andrebbero precisate meglio. Le soluzioni della (8.25) sono le funzioni

x(t) = eatx 0.

Dunque, ricordando che a è reale, si hanno i risultati compendiati nella tabella 8.1.


Table 8.1: Equazioni differenziali del primo ordine omogenee, con coeffciente reale e costante

soluzioni oscillanti mai stabilit quando a 0 stabilità asintotica quando a < 0

Consideriamo ora l’equazione differenziale (8.26) a coefficienti reali. Introduciamo le notazioni nella tabella 8.2, a sinistra. Ricordiamo infatti che se i coefficienti sono reali, si ha in ogni caso

eλ1 = eλ2.

Con queste notazioni, le soluzioni (in forma reale) si esprimono come scritto nella tabella 8.2, a destra mentre i risultati sulla stabilità per l’equazione (8.26), quando i coefficienti sono reali, si leggono nella tabella 8.3.


Table 8.2: Secondo ordine, coefficienti reali e costanti. Sinistra: notazioni. Destra: Equazioni del secondo ordine omogenee, soluzioni

Δ = b2 4c > 0 allora λ1 = b+b2 4c 2 λ2 = bb2 4c 2 Δ = b2 4c = 0 allora λ 1 = λ2 = λ Δ = b2 4c < 0 allora λ 1 = ξ + iω = λ̄2.
Δ > 0 αeλ1t + βeλ2t Δ = 0 αeλt + βteλt Δ < 0 Aeξt cos(ωt + ϕ)


Table 8.3: Secondo ordine, coefficienti reali e costanti (e quindi eλ1 = eλ2. Se gli autovalori sono reali allora λ1 = eλ1, λ2 = eλ2)

soluzioni oscillanti quando Δ < 0 stabilità quando eλ1 0eλ2 < 0  oppure eλ1 = eλ2 = 0 ma λ1λ2 stabilità asintotica quando eλ1 < 0,eλ2 < 0 (non si esclude λ1 = λ2 < 0)

8.4 Manipolazioni usate nei corsi applicativi

Anche nel contesto delle equazioni differenziali, nei corsi di fisica e di ingegneria verranno usate delle manipolazioni piuttosto “libere”, che è bene capire5. Prima di tutto consideriamo un modo veloce per risolvere equazioni a variabili separabili. La giustificazione di questo metodo è quella che noi abbiamo illustrato al paragrafo 8.2. Consideriamo quindi l’equazione a variabili separabili

x = g(t)f(x) ossiah(x(t))x(t) = g(t) ove h(x) = 1 f(x).

Come si è visto, per trovarne le soluzioni, basta notare che

h(x(t))x(t) = d dtH(x(t))

ove H(x) è primitiva di h(x). E dunque

d dtH(x(t)) = d dxG(t)

con G(t) primitiva di g(t). Ora calcoliamo le primitive dei due membri. Il simbolo usato per indicare le primitive di H(x) è

H(x) = h(x)dx + c

e pensando di fare la sostituzione x = x(t) (con x(t) soluzione di cui ancora non conosciamo l’esistenza) si trova

h(x)dx = h(x(t))dx(t) = h(x(t))x(t)dt = g(t)dt.

Leggendo il primo e l’ultimo termine si trova che basta uguagliare

h(x)dx = g(t)dt

e poi sostituire x con la funzione incognita x(t), Se uno dimentica che il segno di primitiva è dx, da intendere come un unico simbolo indivisibile, potrebbe sembrargli che questa formula sia stata ottenuta intendendo x = dx dt ; “moltiplicando per dt” i due membri dell’equazione differenziale e poi mettendo davanti a tutto il simbolo , operazioni prive di senso. Nelle applicazioni, spesso si devono considerare sistemi di equazioni differenziali. Per esempio, si considera il sistema

x = f(x,y) y = g(x,y).

L’incognita è la coppia di funzioni (x(t),y(t)), dipendente da una variabile t che, come al solito, non si indica esplicitamente. Usando la notazione di Leibniz, la variabile “nascosta” tviene esplicitamente indicata almeno nel membro sinistro, e il sistema si scrive

dxd t = f(x,y) dyd t = g(x,y). (8.27)

A questo punto i fisici dividono un’equazione per l’altra e “semplificano” dt, ottenendo

dy dx = g(x,y) f(x,y) ossiay = g(x,y) f(x,y)

una sola equazione nell’incognita y, e con la x che è la variabile indipendente. La spiegazione di questo procedimento è la seguente: supponiamo di aver trovato una soluzione (x(t),y(t)) del sistema (8.27). Se accade che x(t 0)0 allora, almeno localmente, in un intorno di t0, la funzione tx(t) è strettamente monotona e quindi invertibile. La sua funzione inversa t = t(x) ha derivata

dt dx = t(x) = 1 x(t)con x = x(t).

Si può quindi costruire la funzione composta y(t(x)) e

d dxy(t(x)) = y(t(x)) 1 x(t(x)).

I valori di t e di x sono correlati da

x = x(t) ossiat = t(x)

e quindi (almeno localmente) y(t(x)) è funzione della sola x, che viene indicata come y(x), “nascondendo” t. Quindi

scrivendo y(x) per y(t(x)) si hay = y(x) = dy dx = g(x,y) f(x,y).

Va tenuto presente però che, a differenza delle pratiche descritte al paragrafo 3.4, questo procedimento ha senso soltanto in un intorno di un punto assegnato: in generale, un dato iniziale (x0,y0) per cui f(x0,y0)0 (oppure g(x0,y0)0, scambiando x con y) e che il risultato è corretto finché la traiettoria non incontra un punto in cui f(x,y) si annulla. Però, non c’è nessun modo di capire se e quando ciò accadrà, guardando il dato iniziale.

8.5 Alcuni esercizi

  1. Dire quali delle equazioni differenziali seguenti sono scritte in forma normale, quali sono a variabili separate e quali sono lineari:
    x2y = (log x)y + sin x,x(y)2 = (log x)y + sin x,x d dx(y)2 = (log x)y + sin x, x = x2 sin t, x = x sin t, x = x sin t + cos t.
  2. Identificare le soluzioni costanti delle equazioni differenziali a variabili separabili seguenti, e spiegare se esse possono usarsi per studiare la limitatezza delle altre soluzioni
    x = (t3 1)(x3 1), y = (t3 1)(y2 1), x = (t2 1)(x2 1), y = y(y2 1)(x2 4), y = x(y2 1)(x2 4),y = xy2(y2 1)(x2 4).

    E’ possibile avere anche qualche informazione sulla monotonia delle soluzioni?

  3. Sapendo che x(t) verifica
    x = 3x2 sin t,x(0) = 1

    calcolarne le derivate prima, seconda e terza per t = 0.

  4. Si consideri l’equazione differenziale
    x = 2x2.

    Sia x(t) la soluzione che verifica x(0) = 1. Si vuol sapere se esitono valori di α > 1 tali che questa soluzione verifichi anche x(1) = α. Si vuol sapere inoltre se esistono valori di β > 0 tali che la soluzione x(t) verifichi x(1) = β.

  5. Si determinino i domini massimali delle soluzioni dei seguenti problemi di Cauchy. L’equazione differenziale è x = 2x2 mentre la condizione di Cauchy è una delle seguenti:
    x(0) = 0,x(1) = 0,x(0) = 1, x(1) = 1,x(1) = 2,x(1) = 2.
  6. Si consideri l’equazione del moto armonico
    mx = kx (8.28)

    (m > 0 indica la massa e k > 0 è la costante elastica). Moltiplicando ambedue i membri per x(t) si trovi la legge di conservazione dell’energia

    1 2mv2 + 1 2kx2 = E =  costante.

    Si interpretino i due addendi che figurano in quest’uguaglianza.

  7. Si sappia che una funzione x(t) definita su un intervallo verifica
    1 2mv2 + 1 2kx2 = 1 2m x(t) 2 + 1 2kx2(t) = E =  costante. (8.29)

    Si mostri che la funzione x(t) risolve l’equazione del moto armonico (8.28). Quindi le due equazioni (8.28) e (8.29) “sono equivalenti” nel senso che hanno le medesime soluzioni. Si noti però che una è scritta in forma normale e l’altra no.

  8. Si considerino le funzioni y(t) = αt2, con α parametro reale.
    1. Si mostri che ciascuna di queste funzioni risolve l’equazione differenziale y = 2yt. Si noti che l’equazione differenziale non è definita per t = 0, ma le soluzioni dell’equazione hanno estensione continua a t = 0. Cosa si nota se si prova ad imporre la condizione di Cauchy y(0) = 0?
    2. Esistono soluzioni dell’equazione che verificano lim t0+y(t) = 1?
  9. ()  Per t > 0 si consideri l’equazione differenziale y = yt2. Si vuol sapere se esistono soluzioni dell’equazione differenziale tali che lim t0+y(t) = + oppure lim t0+y(t) = c .
  10. ()  Si vuole un’equazione differenziale soddisfatta da una funzione f(x) che gode di questa proprietà, che deve valere salvo un numero finito di valori x0: la tangente in (x0,f(x0)) al grafico della funzione incontra l’asse delle ascisse in un punto x che deve verificare xx0 = c, con c numero indipendente da x0 (se c = 2 si confronti con l’esercizio 15 del Cap. 3).
  11. ()  Per t > 0 si consideri l’equazione differenziale y = (tan y)t2. Si imponga la condizione y(1) = π2 (si noti che il secondo membro non è definito per y = π2. Si mostri che esiste una soluzione che verifica questa condizione, ma che il suo dominio di esistenza massimale non è un intervallo aperto.
  12. Al variare del parametro reale α si studi la stabilità dell’equazione differenziale y = y αy.
  13. Si consideri l’equazione differenziale y = y αy + sin t con α0. Si mostri che una soluzione particolare è y(t) = (1α) cos t e si calcoli una soluzione particolare quando α = 0.
  14. ()  Si considerino l’osservazione 166 e l’esempio 170. Si spieghi perchè l’argomento nell’osservazione 166 non si applica al caso dell’esempio 170 (quante soluzioni ha l’equazione (32)x23 = t?). Si usi la spiegazione trovata per costruire una terza soluzione del problema di Cauchy all’esempio 170.
  15. ()  Siano x(t) ed y(t) due soluzioni diverse del medesimo problema di Cauchy (8.5), definite sullo stesso intervallo6 [t0,T]. Calcolando le primitive dei due membri di (8.5), si ha
    x(t) = x0 +0tg(s)f(x(s))ds,y(t) = x 0 +0tg(s)f(y(s))ds.

    Usando la proprietà di monotonia del calcolo delle primitive (esercizio 21 del Capitolo 4) si ottenga per 0 t T

    |x(t) y(t)|0t|g(s)|f(x(s)) f(y(s)) ds.

    Si deduca, usando l’esercizio 23 del Capitolo 4, che

    |x(t) y(t)| T(HK)M

    con M = max [0,T]|x(t) y(t)|, H = max [0,T]|g(t)|, K = max [0,T]|f(x)|. Si spieghi perché questa disuguaglianza non può valere se il numero T è stato scelto in modo che sia THK < 12 e se x(t) e y(t) sono diverse. Ciò mostra che, se valgono le ipotesi del Teorema di Cauchy, i grafici di due soluzioni diverse non possono intersecarsi, nemmeno se una delle due soluzioni è costante (caso non considerato nell’osservazione 166).

  16. Si xonsideri il problema di Cauchy x = 1x, x(0) = 1. Si mostri che la soluzione è definita per t > 1 e se ne studi il limite per t 1+. Si spieghi la relazione di quanto trovato col Teorema 172.

Capitolo 9
Integrali definiti ed impropri

Erano tali per me queste angustie che sopraggiunta l’invasione dei Francesi, e nella età di soli 20 anni correndo pericolo della libertà e della vita, in quelli orribili frangenti dicevo fra me “questo tuttavia è meno male che lo stare alla scuola”. Monaldo Leopardi, Autobiografia.

L’integrale è un numero che si associa ad una funzione definita su un intervallo (e dotata di opportune proprietà). Nel caso che la funzione prenda valori positivi, il suo integrale definisce l’area della parte di piano compresa tra il grafico e l’asse delle ascisse.

9.1 La definizione dell’integrale

Sia f(x) una funzione limitata e definita su un intervallo [a,b]. Dunque, assumiamo che esista un numero M tale che |f(x)| < M per ogni x [a,b]. Si noti che non richiediamo che la funzione f(x) prenda valori maggiori o uguali a zero. chiamiamo trapezoide individuato dalla funzione f(x) l’insieme dei punti (x,y) tali che

a x b,e f(x) y 0 sef(x) 0 0 y f(x)  se f(x) 0,

si veda la figura 9.1, nella quale [a,b] = [0, 6]. Il trapezoide è la parte di piano tratteggiata.



figure 9.1: Nel piano cartesiano, il trapezoide relativo alla funzione f è individuato dalla parte di piano compresa tra il grafico di f e l'intervallo [ a , b ] su cui f è definita

PIC


Vogliamo definire un numero che corrisponda al concetto intuitivo di area del trapezoide di f(x), se f(x) prende valori non negativi; oppure, in generale, alla differenza tra le aree della parte di trapezoide sopra l’asse delle ascisse e di quella che sta sotto. Per questo, suddividiamo l’intervallo [a,b] con un numero finito di punti equidistanti1.

a = x0 < x1 < x2 < < xn2 < xn1 < xn = b,  con xk = a + kba n ,    0 k n .

In questo modo,

[a,b] = [x0,x1) [x1,x2) [xn2,xn1) [xn1,xn].

Abbiamo cioè costruito una partizione di [a,b] di tipo particolare: abbiamo rappresentato [a,b] come unione di intervalli (disgiunti) chiusi a sinistra ed aperti a destra (salvo l’ultimo che è anche chiuso a destra). Indichiamo con 𝒫n la partizione introdotta sopra e chiamiamo finezza della partizione il numero δn = (b a)n, che è la distanza tra due punti consecutivi della partizione. Data la partizione 𝒫n, indichiamo con mi ed Mi i numeri

mi = inf x[xi,xi+1)f(x), Mi = sup x[xi,xi+1)f(x).

Ricordiamo che la funzione f(x) è limitata: |f(x)| < M. Dunque, per ogni indice i si ha:

M mi Mi M.

Associamo ora alla partizione 𝒫n due numeri, sn ed Sn,

sn = i=0n1m i(xi+1 xi) = ba n i=0n1m i, Sn = i=0n1M i(xi+1 xi) = ba n i=0n1M i. (9.1)

Questi numeri rappresentano somme di “aree” di rettangoli, l’area essendo presa col segno negativo se il rettangolo è sotto l’asse delle ascisse. La figura 9.2 illustra i rettangoli che si usano per costruire la sn quando i punti di divisione xi sono i numeri interi i. Si faccia la figura analoga per Sn.



figure 9.2: La sommatoria, per i = 0 , , ( n - 1 ) dell'area dei rettangoli di base x i , x i + 1 e altezza m i è una approssimazione per difetto dell'area del trapezoide relativo a f .

PIC


E’ chiaro che

M(b a) sn Sn M(b a) (9.2)

(la disuguaglianza intermedia segue dal fatto che ciascun addendo di sn è minore o uguale all’addendo corrispondente di Sn). Per per la proprietà di Dedekind esistono i numeri

s = sup n{sn},S = inf n{Sn}.

Si potrebbe provare che

s SossiaS s 0. (9.3)

Più precisamente:

M(b a) sn s = sup n{sn} inf n{Sn} = S Sn M(b a).

 

DEfiNIZIONE DI INTEGRALE DI RIEMANN
Sia f(x) una funzione definita su un intervallo [a,b] e limitata. Se accade che
s = Sossias = sup n{sn} = inf n{Sn} = S
il numero s = S si chiama integrale di Riemann (o semplicemente integrale) di f(x) su [a,b]; e la funzione f(x) si dice integrabile su [a,b]. L’integrale di Riemann si chiama anche integrale definito

L’integrale di Riemann di f(x) su [a,b] si indica col simbolo

abf(x)dx.

Osservazione 177 Si noti il contrasto tra i termini integrale definito ed integrale indefinito. Il primo indica un numero mentre il secondo indica l’insieme di tutte le primitive di f(x).  

Usando la definizione, si verifichi che una funzione costantemente uguale a c su [a,b] ha integrale uguale a c (b a), ossia uguale all’area del rettangolo di base [a,b] ed altezza c, se c 0; all’opposto dell’area se c < 0. L’integrale abf(x)dx si interpreta come area del trapezoide quando accade che f(x) 0; come differenza tra l’area della parte di trapezoide che sta sopra l’asse delle ascisse e quella che sta sotto altrimenti.

Osservazione 178 (Sulla notazione)   La notazione abf(x)dx ha una ragione storica e va presa come unico blocco: non si possono separare ab e dx. Anzi, sarebbe anche lecito scrivere semplicemente abf invece di abf(x)dx. Il simbolo più complesso aiuta a ricordare certe formule che vedremo, sia in questo che in corsi successivi. Inoltre, sottolineiamo che abf(x)dx è un numero. La “variabile” x non ha alcun ruolo e si chiama la variabile muta d’integrazione “Muta” nel senso che il simbolo prescelto per essa non influisce sul valore dell’integrale, e può essere cambiato a piacere. Quindi,

abf(x)dx =abf(s)ds =abf(y)dy =abf(ξ)dξ

E’ però importante capire subito un uso della variabile muta d’integrazione e del simbolo dx. Talvolta si ha una famiglia di funzioni xf(x,y), una funzione di x [a,b] per ogni valore del parametro y. Può essere necessario integrare ciascuna di queste funzioni, ottenendo un numero per ogni valore di y; ossia ottenendo una funzione della variabile y:

Φ(y) =abf(x,y)dx.

E’ la presenza della notazione dx che ci dice quale è la variabile muta d’integrazione e quale è il parametro.  

Esempio 179 Quest’esempio mostra la debolezza della definizione che abbiamo scelto: per calcolare

abcdx = c(b a)

basta usare un solo rettangolo. Non c’è nessun bisogno di suddividere il trapezoide in “tanti” rettangoli. Ciò fa capire che dovendo calcolare numericamente l’integrale di una funzione il cui grafico è quello in figura 9.3, a sinistra, converrà usare una partizione non uniforme dell’intervallo [a,b], mettendo pochi punti di suddivisione dove la funzione è circa costante e tanti punti dove varia velocemente. La figura 9.3, a destra, mostra che un metodo ancora più effciente consiste nell’approssimare l’area da calcolare mediante trapezi, invece che mediante rettangoli. Nella figura a destra abbiamo disegnato i trapezi usando meno punti di suddivisione di quanti ne avessimo usati per i rettangoli per non confondere il lato del trapezio col grafico della funzione; e ciò nonostante è evidente che l’approssimazione mediante “pochi” trapezi è migliore di quella con “tanti” rettangoli.  



figure 9.3: Nella figura a sinistra, l'area del trapeziode è approssimata per difetto dalla somma delle aree dei rettangoli come in fig.9.2. Nella figura a destra, il segmento congiungente i punti ( x i , f ( x i ) e ( x i + 1 , f ( x i + 1 ) è il lato obliquo del trapezio rettangolo con base maggiore f ( x i ) e base minore f ( x i + 1 ) (o viceversa).

PIC PIC


Una definizione più generale. L’esempio 179 mostra l’utilità per il calcolo numerico di approssimare il valore dell’integrale mediante partizioni dell’intervallo [a,b] ottenute con punti non equidistanti. Si potrà quindi cercare di ripetere la costruzione dell’integrale usando partizioni con punti non equidistanti, costruendo le somme s ed S con formule analoghe a quelle delle sn ed Sn e mandando a zero la finezza della partizione, ossia la massima delle distanze tra i punti consecutivi della partizione. Potrebbe venire il dubbio che in questo modo si ottenga un numero diverso da quello che si trova mediante partizioni con punti equidistanti. Senza indugiare a provarlo, diciamo che ciò non accade.

9.1.1 Proprietà dell’integrale

Le proprietà cruciali dell’integrale sono la linearità, la monotonia e l’additività.

Linearità dell’integrale. In generale si chiama “lineare” una trasformazione che si distribuisce sulla somma e da cui “si portano fuori” le costanti moltiplicative; ossia una trasformazione, diciamo 𝒥, con questa proprietà:

𝒥 αf + βg = α𝒥f + β𝒥g.

L’integrale di Riemann ha questa proprietà. Infatti, vale:

Teorema 180 Siano f(x) e g(x) due funzioni integrabili sul medesimo intervallo [a,b] e siano α e β due numeri reali. In tal caso la funzione αf(x) + βg(x) è integrabile su [a,b] e inoltre vale

ab αf(x) + βg(x) dx = αabf(x)dx + βabg(x)dx.

La dimostrazione non è diffcile ma un po’ macchinosa. Questa proprietà si chiama linearità dell’integrale Ricordiamo che

f+(x) = max{f(x), 0},f(x) = min{f(x), 0}

da cui

f(x) = f+(x) + f(x),|f(x)| = f+(x) f(x).

Si potrebbe provare:

Teorema 181 La funzione f(x), limitata su (a,b), è integrabile se e solo se sono integrabili ambedue le funzioni f+(x) ed f(x).

Ciò combinato con la proprietà di linearità dell’integrale dà:

Teorema 182 Se f(x) è integrabile su [a,b] allora |f(x)|è integrabile su [a,b]. Inoltre, valgono le uguaglianze

abf(x)dx =abf +(x)dx +abf (x)dx, ab|f(x)|dx =abf +(x)dx abf (x)dx.

Monotonia dell’integrale. E’ pressoché immediato dalla definizione di integrale:

Teorema 183 Sia f(x) integrabile e positiva. Allora,
abf(x)dx 0.

Sia ora
g(x) f(x) ossiaf(x) g(x) 0.

Usando la linearità si vede che

0 ab f(x) g(x) dx =abf(x)dx abg(x)dx.

Dunque:

Corollario 184 Se f(x) e g(x) sono integrabili sul medesimo intervallo [a,b] e se g(x) f(x) per ogni x [a,b], allora si ha

abg(x)dx abf(x)dx.

Questa proprietà si chiama monotonia dell’integrale Usando l’integrabilità del valore assoluto (Teorema 182) e la disuguaglianza

|f(x)| f(x) |f(x)|

si trova

abf(x)dx ab|f(x)|dx.

Additività dell’integrale. Sia f(x) definita su [a,b] e sia c (a,b). Vale

Teorema 185 La funzione f(x) è integrabile su [a,b] se e solo se è integrabile sia su [a,c] che su [c,d] e in tal caso si ha
abf(x)dx =acf(x)dx +cbf(x)dx.

Questa proprietà si chiama additività dell’integrale Grazie a questo teorema, possiamo definire la funzione integrale di f(x). Sia f(x) integrabile su [a,b]. Per ogni x (a,b] calcoliamo la funzione
F(x) =axf(s)ds.

Poniamo inoltre

F(a) = 0

cosìche F(x) è definita su [a,b]. La funzione F(x) si chiama la funzione integrale di f(x).

Integrale ed operazioni. La proprietà di linearità mostra le relazioni tra le operazioni di somma e di moltiplicazione per costanti e il calcolo dell’integrale. Il Teorema 182 mostra che se f(x) è integrabile allora f+(x), f(x) e |f(x)| sono integrabili, senza dare modo di calcolarne l’integrale. Vale anche:

Teorema 186 Si ha:
Va detto però che non c’è alcuna relazione semplice tra gli integrali di due funzioni e quello del loro prodotto o del loro quoziente.

9.1.2 Classi di funzioni integrabili

Valgono i due teoremi seguenti:

Teorema 187 Se f(x) è continua sull’intervallo limitato e chiuso [a,b], essa è integrabile su [a,b] e quindi su ciascun suo sottointervallo.

Teorema 188 Se f(x) è monotona sull’intervallo limitato e chiuso [a,b], essa è integrabile su [a,b] e quindi su ciascun suo sottointervallo.

Combinando questi teoremi con la proprietà di additività dell’integrale, segue che se l’intervallo [a,b] è unione di due o più sottointervalli su ciascuno dei quali la funzione ha restrizione continua oppure monotona, allora la funzione f(x) è integrabile su [a,b]. Dimostrazione del Teorema 188. Supponiamo per fissare le idee che la funzione sia crescente su [a,b]. Notiamo che la funzione è limitata su [a,b]. Infatti vale

f(a) f(x) f(b).

Suddividiamo l’intervallo [a,b] in n parti uguali [xi,xi+1) e consideriamo le somme (9.1), ossia

sn = i=0n1m i(xi+1 xi) ove mi = inf x[xi,xi+1)f(x), Sn = i=0n1M i(xi+1 xi)ove Mi = sup x[xi,xi+1)f(x).

cosìche

mi = f(xi),Mi f(xi+1).

Ricordiamo che l’integrale esiste se

s = Sove s = sup n{sn}S = inf n{Sn}

e che in generale (si veda la (9.3)):

0 S s.

Dobbiamo quindi provare che la differenza S s non è strettamente positiva. Ossia2, dobbiamo provare che per ogni 𝜖 > 0 vale

0 S s < 𝜖.

Notiamo che

sn s S Sn0 S s Sn sn.

Dunque, basta provare che per ogni 𝜖 > 0 esiste un opportuno N = N𝜖 tale che

SN sN < 𝜖.

Si ricordi che l’intervallo [a,b] si è diviso in n parti uguali, ossia xi+1 xi = (b a)n. Dunque si ha

Sn sn = i=0n1(M i mi)(xi+1 xi) = b a n i=0n1(M i mi) = b a n i=0n1 M i f(xi) b a n i=0n1 f(x i+1) f(xi) = b a n [ f(x1) f(x0) + f(x2) f(x1) + + f(xn1) f(xn2) + f(xn) f(xn1) ] = b a n f(b) f(a) .

Queste relazioni valgono per ogni n. fissato 𝜖 > 0 esiste N tale che

b a N f(b) f(a) < 𝜖

e quindi vale

0 S s SN sN 𝜖,

come volevamo.  

9.1.3 La media integrale

Sia f(x) integrabile su [a,b] e sia

m = inf [a,b]f(x),M = sup [a,b]f(x).

Consideriamo le due funzioni

h(x) m,k(x) M

cosìche

h(x) f(x) k(x).

La monotonia dell’integrale mostra che

m(b a) =abh(x)dx abf(x)dx abk(x)dx = M(b a);

ossia esiste c (m,M) tale che:

c(b a) =abf(x)dx.

Il numero c è ovviamente definito da

c = 1 b aabf(x)dx.

La sua proprietà essenziale è di essere compreso tra inf [a,b]f(x) e sup [a,b]f(x). Il numero c si chiama la media integrale di f(x). Sia ora f(x) continua su [a,b]. Ricordando il teorema dei valori intermedi si ha:

Teorema 189 Se f(x) è continua su [a,b], la sua media integrale è uno dei valori della funzione; ossia esiste x0 [a,b] tale che

(b a)f(x0) =abf(x)dxossiaf(x 0) = 1 b aabf(x)dx.

Se f(x) 0, il significato del numero c, media integrale di f(x) su [a,b], è il seguente: il numero c è l’altezza del rettangolo di base [a,b], la cui area è uguale a quella del trapezoide. Ciò è illustrato in figura 9.4. La figura mostra anche la bisettrice del primo quadrante che non ha alcun ruolo nella media integrale. E’ disegnata solo per sottolineare il fatto che l’unità di misura è la medesima sui due assi.



figure 9.4: La media integrale

PIC


9.2 Integrale orientato

Nel simbolo dell’integrale di Riemann

ab

necessariamente a b. Vogliamo ora definire questo simbolo anche nel caso a > b. Ciò si fa semplicemente ponendo

abf(x)dx = baf(x)dx.

Uno dei due membri è definito e l’uguaglianza definisce l’altro. Si noti che se a = b si trova

aaf(x)dx = 0.

L’integrale

abf(x)dx

cosìintrodotto, senza che debba essere a b, si chiama integrale orientato Per esso valgono tutte le proprietà viste per l’integrale di Riemann, salvo la monotonia che richiede un po’ di cautela, perché le disuguaglianze cambiano verso quando si cambia segno ai due membri. Quindi:

la disuguaglianza

abf(x)dx ab|f(x)|dx
NON VALE PER L’INTEGRALE ORIENTATO perché il secondo membro può essere negativo ed il primo positivo. Essa va sostituita da
abf(x)dx ab|f(x)|dx.
Invece, la definizione della media integrale rimane la stessa anche per l’integrale orientato: la media integrale sull’intervallo di estremi x0 ed x1 è
1 x1 x0x0x1 f(s)ds
e tale numero è compreso tra l’estremo inferiore e l’estremo superiore dei valori che la funzione prende sull’intervallo di estremi x0 ed x1, sia quando x0 < x1 che quando x1 < x0.

Invece, per l’integrale orientato vale la proprietà di additività

abf(x)dx =acf(x)dx +cbf(x)dx

senza alcun vincolo sull’ordine dei tre numeri a, b e c. Usando ciò, si può definire la funzione integrale

F(x) =axf(s)ds

sia per x a che per x < a (ovviamente, se è definita f(x)). Infatti

F(x) =axf(s)ds = axf(s)ds  sex a (ax indica l’integrale di Riemann), xaf(s)ds sex < a (xa indica l’integrale di Riemann).

In particolare,

Teorema 190 Se f(x) 0 è definita su e positiva, la funzione

F(x) =axf(s)ds

è crescente su .

9.3 La funzione integrale

Ricordiamo che se f(x) è integrabile su [a,b] essa è integrabile su ogni sottointervallo. In particolare è integrabile su [a,x] e quindi possiamo definire la funzione integrale di f(x), ossia la funzione

F(x) =axf(s)dsx (a,b],F(a) = 0.

Se accade che la funzione f(x) è definita anche a sinistra di a, la funzione integrale si definisce anche a sinistra di a, facendo intervenire l’integrale orientato:

se x < a alloraF(x) =axf(s)ds = xaf(s)ds.

Se la funzione f(x) ha segno costante, la funzione integrale è monotona:

Teorema 191 Se f(x) è positiva la funzione integrale è crescente mentre se f(x) è negativa allora la funzione integrale è decrescente.

Dim. Proviamo la crescenza, supponendo che f(x) sia positiva. Sia x1 < x2 e proviamo che F(x1) F(x2). Ciò è ovvio se x1 < a < x2 perché in tal caso F(x1) 0 F(x2). Quindi consideriamo i due casi a x1 < x2 ed x1 < x2 a:

caso a x1 < x2: usando l’additività dell’integrale si ha
F(x2) =ax2 f(s)ds =ax1 f(s)ds +x1x2 f(s)ds ax1 f(s)ds = F(x1)

perché x1x2f(s)ds 0.

caso x1 < x2 a: la definizione di integrale orientato e l’additività dell’integrale danno
ax1 f(s)ds = x1af(s)ds = x1x2 f(s)ds +x2af(s)ds = x1x2 f(s)ds x2af(s)ds = x1x2 f(s)ds +ax2 f(s)ds = x1x2 f(s)ds + F(x2) F(x2)

perché x1 < x2 e quindi x1x2f(s)ds 0.  

Proviamo il lemma seguente:

Lemma 192 Sia f(x) integrabile su [a,b] e sia x0 [a,b]. Si ha:

lim h0x0x0+hf(s)ds = 0

(se x0 = a allora h > 0 mentre se x0 = b allora h < 0).

Dim. Ricordiamo che una funzione integrabile è per definizione limitata:

|f(x)| Mx [a,b].

Dunque si ha

0 x0x0+hf(s)ds x0x0+h|f(s)|ds x0x0+hMds = M|h|.

L’asserto segue dal teorema di confronto dei limiti.  

Conseguenza di questo risultato è che la funzione integrale è continua anche se f(x) può non essere continua:

Teorema 193 La funzione F(x) è continua su [a,b].

Dim. Va provato:

lim h0 ax0+hf(s)ds ax0 f(s)ds = 0

(se x0 = a oppure x0 = b allora h > 0 oppure h < 0). L’additività dell’integrale permette di scrivere

ax0+hf(s)ds ax0 f(s)ds =ax0 f(s)ds +x0x0+hf(s)ds ax0 f(s)ds =x0x0+hf(s)ds0

per il Lemma 192, come si voleva.  

Proviamo ora:

Lemma 194 Sia f(x) continua in x0 [a,b]. Allora,

lim h0 1 hx0x0+hf(s)ds = f(x 0).

Dim. Va provato che per ogni 𝜖 > 0 esiste δ > 0 tale che se |h| < δ si ha

f(x0) 𝜖 < 1 hx0x0+hf(s)ds < f(x 0) + 𝜖. (9.4)

Usando la continuità di f(x) in x0 si trova: per ogni 𝜖 > 0 esiste δ > 0 tale che se s (x0 δ,x0 + δ) si ha:

f(x0) 𝜖 < f(s) < f(x0) + 𝜖.

Scegliamo h con |h| < δ. La monotonia dell’integrale dà (sia se h > 0 che se h < 0, usando la definizione di integrale orientato):

1 hx0x0+h f(x 0) 𝜖ds 1 hx0x0+hf(s)ds 1 hx0x0+h f(x 0) + 𝜖ds

ossia, se |h| < δ si ha

f(x0) 𝜖 1 hx0x0+hf(s)ds f(x 0) + 𝜖,

che è quanto volevamo provare.  

Se f(x) è una funzione integrabile qualsiasi, la funzione F(x) può non essere derivabile. Invece, se f(x) è continua la funzione F(x) è derivabile:

Teorema 195 (Teorema fondamentale del calcolo integrale) Se f(x) è continua su [a,b], la funzione F(x) è derivabile su (a,b) e vale

F(x) = f(x)x (a,b),F +(a) = f(a),F (b) = f(b).

Ossia, la funzione integrale di una funzione continua f(x) ammette derivata3 in ogni punto di [a,b], ed F(x) è la funzione integranda f(x). Di conseguenza,

Corollario 196 Ogni funzione continua su un intervallo ammette primitive.

Dimostrazione del Teorema 195. La funzione f(x) è continua su [a,b] e quindi il Lemma 194 può applicarsi in ciascun punto di [a,b]. Dunque, per ogni x [a,b] si ha:

f(x) = lim h0 1 hxx+hf(s)ds = lim h0 1 h ax+hf(s)ds axf(s)ds = lim h0 1 h F(x + h) F(x) = F(x)

(intendendo che F(x) indica la derivata destra se x = a e la derivata sinistra se x = b).  

L’importanza pratica di questo risultato sta nel fatto che, se f(x) è continua, il calcolo dell’integrale definito può ottenersi tramite il calcolo delle primitive. Ossia, la F(x), funzione integrale, è una particolare primitiva di f(x): è quella primitiva che si annulla in a. Ricordiamo ora che due primitive diverse su un intervallo (a,b) di una medesima funzione hanno differenza costante. Quindi, se mediante le tecniche di calcolo delle primitive, si è trovata una qualsiasi primitiva F(x) della funzione continua f(x), si ha:

abf(x)dx = F(b) F(a).

Lo scarto F(b) F(a) si indica anche col simbolo

Fab

e quindi si scrive

abf(x)dx = F ab.

9.3.1 Integrazione per sostituzione

Il teorema fondamentale del calcolo integrale permette di correlare integrali calcolati mediante trasformazioni del dominio di integrazione. Sia f(x) continua su [a,b] e sia F(x) una sua primitiva. Come si è visto,

abf(x)dx = F(b) F(a). (9.5)

Sia ϕ(t) una funzione continua su un intervallo [α,β] e derivabile su (α,β). Supponiamo inoltre che ϕ([α,β]) [a,b]. Quindi esistono punti c e d in [a,b] tali che

ϕ(α) = c,ϕ(β) = d.

E’

d dtF(ϕ(t)) = F(ϕ(t))ϕ(t) = f(ϕ(t))ϕ(t)

e quindi

F(ϕ(β)) F(ϕ(α)) =αβf(ϕ(t))ϕ(t)dt.

Ma,

F(ϕ(β)) F(ϕ(α)) = F(d) F(c) =cdf(x)dx

e quindi si ha anche

cdf(x)dx =αβf(ϕ(t))ϕ(t)dt

ossia

αβf(ϕ(t))ϕ(t)dt =ϕ(α)ϕ(β)f(x)dx. (9.6)

Si noti che questa formula vale in generale per l’integrale orientato. Anzi, anche se l’integrale a sinistra di (9.6) è un’integrale di Riemann, può ben essere che gli estremi dell’integrale di destra coincidano o anche che sia ϕ(α) > ϕ(β).

Osservazione 197 Se l’integrale da calcolare è (9.5) allora dovremo identificare un intervallo [α,β] ed una trasformazione ϕ(t) tale che ϕ(α) = a e ϕ(β) = b (o viceversa) e tale che l’integrale a sinistra in (9.6) sia più facile da calcolare di quello a destra. Non abbiamo richiesto che la funzione ϕ(t) sia iniettiva. Se lo è allora la formula (9.6) si può scrivere nella forma

abf(x)dx =ϕ1(a)ϕ1(b)f(ϕ(t))ϕ(t)dt.  

9.4 Integrale improprio

Si chiama integrale improprio quello che si ottiene estendendo l’integrale di Riemann a funzioni dotate di asintoto verticale oppure definite su una semiretta (o ambedue le cose) mediante il calcolo di un limite. Conviene vedere separatamente i due casi seguenti, che verranno poi combinati insieme. Introduciamo un termine: sia f(x) definita su un intervallo (a,b), limitato o meno. Non si richiede che la funzione sia limitata. La funzione f(x) si dice localmente integrabile quando è integrabile (nel senso di Riemann e quindi anche limitata) su ogni intervallo [c,d] limitato e chiuso contenuto in (a,b).

9.4.1 L’integrale su una semiretta

Consideriamo una funzione f(x) definita sulla semiretta [a, +) ed integrabile (nel senso di Riemann e quindi limitata) su ogni intervallo [a,T]. E’ cosìpossibile definire la funzione

F(T) =aT f(x)dx

Consideriamo

lim T+F(T).

Se questo limite esiste, finito o meno, si definisce

a+f(x)dx = lim T+F(T)

e si chiama integrale improprio (su (a, +)) di f(x). Si hanno i casi elencati nella tabella 9.1


Table 9.1: I casi dell’integrale improprio

Se l'integrale improprio si dice si scrive lim T+aT f(x)dx = l integrale convergente a+f(x)dx = l lim T+aT f(x)dx = ± integrale divergente a+f(x)dx = ± lim T+aT f(x)dx non esiste non esiste indeterminato oscillante

9.4.2 L’integrale in presenza di un asintoto verticale

Supponiamo che la funzione f(x) sia definita su (a,b] ed abbia asintoto verticale x = a:

lim xa|f(x)| = +.

Supponiamo inoltre che sia localmente integrabile su (a,b]. In questo caso, si può definire la funzione

F(𝜖) =𝜖bf(x)dx

per ogni 𝜖 (a,b] e si può studiarne il limite per 𝜖 a+. Se questo limite esiste lo indicheremo col simbolo

abf(x)dx = lim 𝜖a+𝜖bf(x)dx

e lo chiameremo ancora integrale improprio su (a,b). Se il limite è finito diremo che l’integrale improprio converge; se è + oppure diremo che diverge. Se il limite non esiste, diremo che l’integrale improprio non esiste (equivalentemente, oscilla o è indeterminato). Ossia, per l’integrale improprio su (a,b] si può fare una tabella analoga alla 9.1.

9.4.3 Casi più generali

I due casi precedenti possono combinarsi tra loro. Per esempio:

9.5 Criteri di convergenza per integrali impropri

In pratica, il calcolo di un integrale improprio è diffcile e non si riesce a fare esplicitamente. Si danno però dei criteri che assicurano la convergenza o divergenza dell’integrale, che conviene esaminare prima nel caso di funzioni positive.

9.5.1 Criteri di convergenza: funzioni positive su semirette

Per fissare le idee, supponiamo di lavorare su una semiretta verso destra, [a, +) e di avere una funzione che prende valori maggiori o uguali a zero e che è integrabile su ogni intervallo limitato [a,b]. Consideriamo la funzione

TaT f(x)dx.

Questa è una funzione crescente di T perché la f(x) è positiva. Quindi, per il teorema delle funzioni monotone,

lim T+aT f(x)dx

esiste, finito o meno. Dunque,

Teorema 198 Se la funzione f(x) prende valori maggiori o uguali a zero, l’integrale improprio

a+f(x)dx

converge oppure diverge. Esso non può essere oscillante.

Quindi, se possiamo dire che esiste M tale che

aT f(x)dx < M

per ogni T allora l’integrale converge; se invece la funzione di T è minorata da una funzione divergente a +, l’integrale improprio diverge. Quest’osservazione si usa confrontando la funzione f(x) con funzioni di “forma più semplice” il cui integrale si sa calcolare. Infatti:

Teorema 199 (di confronto per gli integrali impropri) Siano f(x) e g(x) localmente integrabili su [a, +). Valga inoltre

0 f(x) g(x).

Allora:

a+g(x)dx < +a+f(x)dx < +; a+f(x)dx = +a+g(x)dx = +.

Siamo quindi ridotti a cercare delle funzioni di confronto g(x) abbastanza semplici. Ricordando che gli infinitesimi fondamentali di confronto per x + sono le funzioni

g(x) = 1 xγ

è naturale confrontare con queste funzioni, i cui integrali si calcolano facilmente:

 seγ1 aT 1 xγdx = 1 1γ 1 Tγ1 1 aγ1   seγ = 1aT 1 xdx = log T log a

Dunque, si ha la situazione riassunta nella tabella 9.2.


Table 9.2: integrali impropri su una semiretta

0 f(x) M 1 xγ γ > 1 a+f(x)dx < + f(x) M 1 xγ γ 1 e M > 0 a+f(x)dx = +

Inoltre,

Teorema 200 la funzione f(x) (non negativa) abbia parte principale M xγ per x +. I due integrali impropri di f(x) e di 1xγ hanno lo stesso comportamento.

Dim. Infatti, l’ipotesi implica che M0 e inoltre

f M xγper x +.

e quindi in particolare, per x abbastanza grande, vale

1 2 M xγ f(x) 2M xγ.  

Si noti che la condizione

0 f(x) < M 1 xγ

si verifica in particolare se f(x) è (positiva ed) un infinitesimo per x +, di ordine maggiore di 1xγ. Dunque,

Teorema 201 Se f(x) 0 ed inoltre per x + la funzione f(x) è un infinitesimo di ordine maggiore di 1x1+𝜖 con 𝜖 > 0, ossia

f(x) =  o 1 x1+𝜖 per x + e con 𝜖 > 0 ,

allora l’integrale improprio

a+f(x)dx

è convergente.

E’ importante notare che nell’enunciato precedente la condizione 𝜖 > 0 è cruciale. La condizione che f(x) sia infinitesima di ordine maggiore ad 1x, con esponente esattamente 1, non implica la convergenza dell’integrale. Per esempio,

f(x) = 1 x log x =  o 1 x
ma una primitiva di 1(x log x) è log(log x) e quindi
lim T+2T 1 x log xdx = lim T+log(log T) log(log 2) = +.

9.5.2 Criteri di convergenza: funzioni positive su intervalli

Consideriamo il caso in cui f(x) 0 su (a,b], con asintoto verticale x = a. In questo caso, la funzione

𝜖𝜖bf(x)dx

è decrescente e quindi dotata di limite per x a+, finito o meno. E quindi si può ancora enunciare il teorema del confronto, come segue:

Teorema 202 (di confronto per gli integrali impropri) Siano f(x) e g(x) localmente integrabili su (a,b]. Valga inoltre

0 f(x) g(x).

Allora:

abg(x)dx < +abf(x)dx < +; abf(x)dx = +abg(x)dx = +.

Naturalmente, è ancora naturale scegliere come funzione di confronto gli infiniti campione f(x) = 1(x a)γ. Vale anche in questo caso

Teorema 203 la funzione f(x) (non negativa) abbia parte principale M (xa)γ per x a. I due integrali impropri di f(x) e di 1(x a)γ hanno lo stesso comportamento.

Quindi, va capito quando diverge oppure converge l’integrale improprio di 1 (xa)γ. E’ ancora vero che l’integrale improprio è divergente se γ = 1, però ora le due condizioni γ > 1 e γ < 1 hanno ruolo scambiato:

ab 1 (x a)γdx < + seγ < 1, ab 1 (x a)γdx = + seγ 1.

Quindi, si può ancora dare una tavola analoga alla 9.2, ma con versi delle disuguaglianze scambiate. Si veda la tabella 9.3 (dove c > a e si intende che f(x) è integrabile nel senso di Riemann su [a + 𝜖,c] per ogni 𝜖 > 0).


Table 9.3: integrali impropri su un intervallo

0 f(x) M 1 (xa)γ γ < 1 acf(x)dx < + f(x) M 1 (xa)γ γ 1 e M > 0 acf(x)dx = +

Si noti che la condizione

0 f(x) < M 1 xγ

si verifica in particolare se f(x) è (positiva ed) un infinito per x +, di ordine inferiore ad 1(x a)γ. Dunque,

Teorema 204 Se f(x) 0 ed inoltre per x a+ la funzione f(x) è un infinito di ordine inferiore ad 1(x a)1𝜖 con 𝜖 > 0, ossia

f(x) =  o 1 (x a)1𝜖 per x a+ e con 𝜖 > 0 ,

allora l’integrale improprio

abf(x)dx

è convergente.

Ripetiamo ancora che se f(x) è un infinito di ordine inferiore esattamente ad 1 (ossia se nell’enunciato precedente si ha 𝜖 = 0) niente può affermarsi dell’integrale improprio di f(x).

9.5.3 Il caso delle funzioni che cambiano segno

Ricordiamo le notazioni

f+(x) = max{f(x), 0},f(x) = min{f(x)0}

cosìche

f(x) = f+(x) + f(x),|f(x)| = f(x) f(x).

Dunque, se |f(x)| ha integrale improprio convergente, anche le due funzioni f+(x) e f(x) hanno integrale improprio convergente. E quindi la loro somma f(x) ha integrale improprio convergente. Si può quindi enunciare

Teorema 205 Una funzione localmente integrabile il cui valore assoluto ha integrale improprio convergente, ha essa stessa integrale improprio convergente.

E si noti che quest’asserto vale sia su semirette che su intervalli. In sostanza, questo è l’unico criterio (ovviamente solo suffciente) di cui disponiamo per provare che una funzione di segno variabile ha integrale improprio convergente: si prova che è assolutamente integrabile (ossia che il suo valore assoluto è integrabile) usando i criteri noti per le funzioni di segno costante. Se ne deduce che l’integrale improprio della funzione converge.

9.6 Alcuni esercizi

  1. Si traccino i grafici delle funzioni
    f(x) =  sgn(sin x),g(x) =  sgn(sin 2x),h(x) =  sgn(sin 4x)

    e si calcolino gli integrali su [0,π] dei loro prodotti.

  2. Sia f(x) integrabile su (a,a) e dispari. Si mostri che aaf(x)dx = 0.
  3. Trovare una funzione pari e non nulla, tale che aaf(x)dx = 0, con a > 0.
  4. ()  Se esiste, si trovi un esempio di funzione integrabile f(x) 0, definita su [0, 1], con 01f(x)dx = 0. Può essere che f(x) sia continua? (Si ricordi il teorema di permanenza del segno).
  5. Sia f(x) continua su , con xf(x) > 0 per x0. Mostrare che f(x2) ha integrale strettamente positivo su qualsiasi intervallo.
  6. Sia f(x) dispari e continua su . Mostrare che 11f(x3)dx = 0.
  7. Sia f(x) integrabile su [a,b] e non negativa. Si mostri che
    aabf(x)dx abxf(x)dx babf(x)dx.

    E se f(x) è negativa?

  8. ()  Si provi che se f(x) è positiva su e localmente integrabile e g(x) crescente, allora
    H(x) =0g(x)f(s)ds

    è crescente. Esaminare cosa può dirsi se g(x) è decrescente, e cosa può dirsi di

    K(x) =g(x)0f(s)ds

  9. I due problemi seguenti sono formulazioni diverse dello stesso fatto:
    • sia f(x) C1(0, +). Calcolare
      abf(t)f(t)dt.

    • sia f(x) continua per t 0. Mostrare che per ogni t > 0 si ha
      0tf(s) 0sf(r)drds 0

      (è possibile che, con f(x) non nulla, valga l’uguaglianza per un opportuno t > 0? E per ogni t > 0?) Sia f C(). Mostrare che la disuguaglianza precedente vale anche se t < 0 intendendo l’integrale come integrale orientato.

  10. ()  Sia f(x) monotona crescente su . Mostrare che esiste il limite
    lim T+0T f(x2)dx.

    Il limite può essere nullo?

  11. La funzione f(x) sia positiva, con integrale improprio convergente su [0, +). Si chiede di sapere se può essere lim x+f(x) = a > 0.
  12. ()  La funzione f(x) sia positiva, con integrale improprio convergente su [0, +). Si chiede di sapere se deve essere lim x+f(x) = 0.
  13. ()  Sia
    f(x) = 1 sen (12n) < x < n 0  altrimenti.

    Si disegni il grafico di f(x) e (usando la formula (1.6)) si calcoli

    0+f(s)ds.

  14. ()  Si dica se esiste una funzione continua e positiva, con integrale improprio finito su [0, +), ma priva di limite per x +.
  15. Sia
    0+f(s)ds = L

    (L finito o meno). Calcolare

    lim x+0x3(3+sin x)f(s)ds.

  16. Sia f(x) una funzione per la quale converge l’integrale improprio
    +f(x)dx.

    Mostrare che

    +f(x)dx =+f(x + a)dx

    per ogni a . Cosa può dirsi se l’integrale improprio diverge oppure oscilla?

  17. Si mostri che 0tf(t s)g(s)ds = 0tf(s)g(t s)ds. Spiegare come si trasforma questa formula se l’integrale è sull’intervallo [a,t] con a0 (incluso il caso a = , supponendo la convergenza degli integrali impropri).
  18. ()  Si considerino le funzioni definite all’esercizio 26 del Cap. 2, ossia le funzioni definite su [0, 1] da
    fn(x) = 0 se0 x 1n n  se1n < x < 2n 0  se2n x 1.

    Si calcoli 01f n(x)dx e si consideri la successione di numeri 01f n(x)dx. Se ne calcoli il limite e si rifletta sulla relazione, o mancanza di relazione, che intercorre tra questa successione e il limite di {fn(x)}, per ogni x [0, 1], calcolato all’esercizio 26 del Cap. 2.

  19. ()  Una sbarretta di densità variabile è distesa sull’intervallo [a,b] dell’asse x. Sia ρ(x) la densità del punto di ascissa x. In fisica, si definiscono massa e centro di massa della sbarra i due numeri seguenti:
    M =abρ(x)dx,x 0 = 1 Mabxρ(x)dx = 1 abρ(x)dxabxρ(x)dx.

    Si provi che se ρ(x) = f(x) vale

    x0 = bf(b) af(a) f(b) f(a) f(b) f(a) .

  20. Sia f C(a,b) e sia
    S(x) = axxf(x)dx axf(x)dx ,x (a,b).

    Usando la formula di L’Hospital si provi che

    lim xaS(x) = a;

    ossia: il centro di massa di un segmento [a,x] tende ad a quando la lunghezza del segmento tende a 0.

Appendix A
Glossario

 

1come gli insiemi.

2più precisamente, una tale funzione si chiama funzione univoca

3I numeri complessi verranno introdotti al Cap. 7 e usati al Capitolo 8.

4La corrispondenza si costruisce come segue: si fissa un punto O della retta, che si chiama origine, e un’unità di misura per le lunghezze. Ad un numero a > 0 corrisponde il numero che dista a dall’origine, a destra di essa; ad a < 0 si fa corrispondere il numero che dista a dall’origine, a sinistra di essa. Il numero 0 corrisponde all’origine delle coordinate.

5attenzione il dominio della funzione segno, come qui definita, è . Certi testi non definiscono  sgn(x) per x = 0.

6talvolta viene detto che M(x) è la “parte decimale” del numero x. Ciò è corretto se x si rappresenta con la usuale notazione posizionale, come x = x0 100 + x1 101 + x2 102 (i coefficienti x0, x1, sono interi). In tal caso, M(x) = x1 101 + x2 102. Però i numeri si possono rappresentare anche in altri modi. Per es. 1 = 0,9999 ma questa non è la rappresentazione di 1 in notazione posizionale e la mantissa non è la “parte decimale” di questa rappresentazione.

7simmetria ortogonale

8notare che il concetto di “espressione analitica” è qualcosa di vago e molto elastico: sinx, costruita con considerazioni meccaniche, è un’espressione analitica?

aPierre Gassend, contemporaneo di Cartesio e propugnatore dell’empirismo nelle scienze.

1Il numero e si chiama numero di Eulero o anche costante di Nepero

2il primo si calcolerà al paragrafo 2.2.2 mentre gli altri non verranno provati.

3per contrasto, si ricordi che la definizione di limite non richiede che la funzione sia definita in x0.

4si riformuli la definizione col linguaggio degli intorni.

5si ricordi che i polinomi sono somme di monomi. I monomi sono le funzioni axn con n intero non negativo. Quindi f(x) = 2xπ + 3x3 non è un polinomio.

6la continuità delle funzioni goniometriche si proverà al paragrafo 2.2.2

7ovviamente con a > 0 e diverso da 1

8la dimostrazione è in appendice.

9ossia, la somma dei primi termini della progressione geometrica, si veda l’appendice 1.10.

10il valore di a1 è n, ma non è necessario conoscerlo per applicare il procedimento che stiamo illustrando.

1altre notazioni si vedranno in seguito. Notiamo che l’ultima, col punto sovrapposto, si usa quasi solamente in problemi di meccanica ed è la notazione introdotta da Newton.

2attenzione al fatto che la maggior parte degli autori intende che anche le derivate direzionali, come le derivate, debbano essere finite e non dà nome al limite direzionale del rapporto incrementale, quando questo non è finito.

3invece l’esistenza di f(n)(x) nel solo punto x0 implica l’ esistenza della derivata f(n1)(x) in un intorno di I di x0 e quindi le derivate precedenti a quella di ordine n 1 sono continue su I mentre la f(n1)(x) è continua in x0 ma potrebbe essere discontinua in ogni altro punto.

4Come si è notato, l’esistenza della derivata n-ma su (a,b) implica la continuità delle derivate degli ordini inferiori, e anche di f(x). Dunque f Cn(a,b) quandi ammette le derivate fino a quella di ordine n in ogni punto di (a,b) e tale derivata è continua.

5la notazione  o1(x x0),  o1(x x0) è sovrabbondante. Non ha alcun interesse distinguere gli  o l’uno dall’altro. Ma in questo caso aiuta a seguire i calcoli.

6come usa fare, e come noi faremo al Cap. 8.

7Notiamo anche questo fatto: il simbolo d viene manipolato come appena descritto, e quindi viene considerato la trasformazione hdfh = f(x0)h; però poi compaiono anche espressioni del tipo “il differenzaile è piccolo”. In questo caso si intende che dfh = f(x0)h è un infinitesimo di ordine superiore rispetto ad altre funzioni i h che si stanno considerando, che per esempio possono tendere a zero come h. Ma l’espressione usata fa pensare che si stia confondendo la trasformazione differenziale con i suoi valori.

8conduce anche alla definizione di convessità, che qui non consideriamo.

1non si esclude che x0 indichi +.

2non si esclude che x0 indichi .

3per il teorema di permanenza del segno.

4per il teorema sui limiti delle funzioni composte.

5proprietà B)

6proprietà C)

7proprietà A)

8proprietà C).

9si veda il Corollario 145 per la dimostrazione.

10Se ci sono zeri non reali e multipli, di molteplicità n, il denominatore avrà un fattore (x2 + bx + c)n a cui si fanno corrispondere addendi

Akx + Bk (x2 + bx + c)k,1 k n.

Le primitive di tali addendi si trovanoiterando integrazioni per parti, come si è visto, quando k = 2, all’Esempio 131.

1ossia una semiretta (r,+) se α = + oppure in intervallo (α 𝜖,α).

2ricordiamo che f(k)(x0) indica la derivata k-ma in x0 e che f(0)(x0) indica f(x0).

3Ricordiamo che quando una funzione è convessa si dice che il suo grafico ha la concavità rivolta verso l’alto.

4questa è la condizione suffciente nella seconda parte del Teorema 151. La dimostrazione della parte necessaria è più complicata perché niente dice che ogni c (a,b) debba comparire in (5.3).

5essendo f(x) 0 su (a,b) se e solo se f(x) è crescente, il teorema si può anche enunciare come segue: la funzione f(x) è convessa su (a,b) se e solo se f(x) è ivi crescente. Quest’enunciato vale anche se la funzione f(x) ammette la sola derivata prima.

1con la medesima unità di misura per le lunghezze su ambedue gli assi.

2ma non sempre: in elettrotecnica i indica la corrente e quindi l’ordinata si indica col “fattore” j.

3si noti che questa sostituzione è consistente col fatto che i2 = (1 + i0), numero che abbiamo deciso di indicare semplicemente con 1.

4si ricordi: in un polinomio gli esponenti di z devono essere INTERI. Ricordiamo inoltre che il polinomio in (7.4) si dice “di grado n” se il coeffciente an è diverso da zero. Un’equazione si dice di grado n se è ottenuta uguagliando a zero un polinomio di grado n.

5si è già usato questo fatto nel calcolo delle primitive di funzioni razionali.

1è suffciente che ammettano primitive, anche in senso generalizzato.

2di proposito qui cambiamo le lettere usate per la soluzione e per la variabile indipendente.

3ciò accade in particolare se gli autovalori sono reali.

4quest’ultimo fatto, nel caso delle equazioni differenziali di primo o di secondo ordine, è conseguenza del teorema di unicità di soluzione.

5Si confronti con quanto si è detto al paragrafo 3.4.

6Le soluzioni sono definite su intervalli aperti. Spiegare perché qui è lecito considerare un intervallo chiuso.

1Stiamo presentando una definizione semplificata di integrale. La semplificazione consiste nel richiedere che i punti siano equidistanti. Vedremo in seguito che questa condizione, che semplifica le definizioni (ma non le dimostrazioni, che però verranno omesse), è poco appropriata per il calcolo numerico degli integrali.

2si ricordi la proprietà di Archimede.

3direzionale negli estremi a e b

1noi abbiamo preferito usare x0 solo nel caso in cui x0 è un numero, usando lettere greche altrimenti, ma ovviamente ciò è stato fatto solo per fissare le idee.